Il “vaiolo delle scimmie” e la paura di una nuova epidemia

Osservazioni del gastroenterologo prof. A. Ponzetto

Non si è ancora esaurito il pericolo del contagio della pandemia da SARS-CoV2 che già si presenta una nuova inquietante potenziale emergenza: il “vaiolo delle scimmie”.

Questo preoccupante problema, da qualche settimana, tiene banco su tutti i media, senza peraltro che questi riescano a fornire informazioni scientifiche probanti in merito alla trasmissibilità e contagiosità di questo poxvirus sull’uomo e sull’eventuale possibile sviluppo della conseguente malattia virale.

Prendiamo atto della ridda di segnalazioni contrastanti, approssimative, sovente viziate da esagerazioni terroristiche che contribuiscono ad aumentare paure ed insicurezza nella collettività. Inoltre, ci sembra, in questa particolare circostanza, di constatare un ingiustificato ritardo nelle informazioni ufficiali da parte delle Autorità Sanitarie istituzionali in merito a questa nuovo possibile contagio virale. Almeno questa è la sensazione percepibile che tante persone manifestano sui mezzi di informazione e sui social.

In sintesi, si sta creando una situazione d’informazione sanitaria carente e poco rassicurante che inevitabilmente da spazio alle più ardite e fantasiose ipotesi di nuovi possibili eventi pandemici. Evento questo che crea ulteriore confusione e disagio sociale.

Ci giungono in merito le osservazioni del gastroenterologo prof. Antonio Ponzetto (Department Medical Science, University of Turin) che cerca di tradurre in termini semplici questa complessa e controversa problematica sanitaria.

Nel ringraziare l’Autore per la sua costante collaborazione, auguriamo una buona lettura dell’articolo che segue (M.B.).

 

Il virus del Vaiolo delle scimmie è un membro di una grande famiglia definita Poxviridae

Il Faraone egiziano Ramses V morì a circa 30 anni, nell’anno 1145 prima dell’era corrente, ma contrariamente alla ferrea regola che imponeva la mummificazione entro 70 giorni, per un anno la procedura non fu portata a termine.

Una delle possibili ragioni si desume dal fatto che il viso della mummia (figura 1) è sfigurato da bubboni, che sembrano quelli tipici del vaiolo.

Pertanto, un’ipotesi plausibile è che il sovrano si ammalò e morì a causa del vaiolo.

La malattia non era mai stata riportata in precedenza, non è descritta nel Talmud e si suppone che solo in seguito si diffuse dall’Egitto nel vicino Oriente, forse portata dai cammelli, i quali sono infettati da un loro specifico Camelpoxvirus (CMLV). (1 Babkin, 2 Li et al.) molto simile geneticamente a quello umano. 

In alternativa è stato proposto che l’addomesticamento degli animali cosiddetti da allevamento avvenuto fra il 10mila ed il 6mila Avanti Cristo (AC) abbia portato gli umani a contatto con gli svariati membri della famiglia Poxviridae, ed in conseguenza sia avvenuto il passaggio del virus specifico dei bovini e dei bufali (ora chiamato Vaccinia virus) all’uomo, dai cavalli (Horsepox) e/o dai roditori (Monkeypox) all’uomo ed alle scimmie.

Tutti i sopracitati virus possono infettare gli umani, come anche il virus del cervo rosso, e la vicinanza con questi animali per motivi di lavoro, di caccia, di svago o anche per carenza di attenzione (tipicamente con gli scoiattoli ed i gerbilli, o altri animali da compagnia) può favorire l’infezione umana. Sono stati identificati in Africa altri virus geneticamente vicini a quello del vaiolo: gli Yatapoxvirus, fra i quali il Taterapox (TATV), il Tanapox isolato nell’area del fiume Tana in Kenia, ma diffuso soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo (RDC); e lo Yabapox che causa una forma di istiocitoma (un tumore benigno di un tipo di globuli bianchi).

Il virus del mollusco contagioso (fig2) è un membro della famiglia dei Parapoxvirus; è abbastanza diffuso ed infetta numerose specie con le quali l’uomo è a contatto, fra cui pecore, capre, cavalli. Infatti i lavoratori addetti alla mungitura ed alla cura di questi animali nel corso della attività lavorativa molto spesso vengono infettati. Altri virus simili che possono venir trasmessi sia all’uomo che alle scimmie ed ai roditori sono noti nei bovini, nei camelidi e nei pinnipedi (foche, otarie).

Il nome Monkeypox fu appioppato ad un “nuovo” poxvirus identificato a Copenaghen nel 1958 isolato dal liquido dell’esantema osservato in una scimmia importata dall’Asia. In seguito, l’ospite naturale è stato identificato nei roditori africani: ratti, topi, gerbilli e scoiattoli; questi ultimi sono esaminati di tanto in tanto: in uno studio degli anni 90’ nella Repubblica del Congo sono stati testati 347 scoiatoli catturati nell’ambiente, e di questi 85 erano positivi per anticorpi contro questo virus.

In molti stati africani l’infezione è riportata apparire ogni anno negli abitanti; per esempio, in Congo fra aprile 1996 e ottobre 1997 fu trovata in 250 su 500mila abitanti esaminati in 78 villaggi (Fig3).

Piccole epidemie locali sono riportate spesso in Nigeria, Liberia, Benin, Costa d’Avorio, Gabon e Sud Sudan, ed è ovvio che l’esportazione di materiali, di animali esotici, ed i viaggi (inclusi quelli dei Medici senza frontiere) sono veicoli di diffusione anche di questo virus.

Per esempio, negli USA nel 2003 fu riconosciuta una piccola epidemia di Monkeypox diffusa in 6 stati, con 87 casi accertati e centinaia di pazienti messi isolamento.

L’origine dell’epidemia fu identificata: tutte le infezioni furono causate da “cani della prateria”, una specie appartenente alla famiglia degli scoiattoli, (fig4) acquistati da un singolo venditore in quanto animali d’affezione. Questi aveva importato dall’Africa animali esotici con la malattia in incubazione e li aveva lasciati nella stessa area del negozio con gli altri animali. Da allora i Centers for Disease Control (CDC) statunitense monitorizzano strettamente questa infezione, come fa da tempo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO).

Molte agenzie federali americane si occupano del rischio di bioterrorismo, i cui rischi negli USA non sono modesti; infatti, negli anni sono avvenuti numerosi attacchi – o semplici minacce - alla popolazione con mezzi biologici.  Il CDC ne riporta una serie:

1984 a Dalles, Oregon: 751 casi di tifo causati da Salmonella typhi, ad opera dei membri di una setta religiosa che infettò le salse dell’insalata in 10 ristoranti (3).

1991 nel Minnesota attacco con la tossina del ricino

1995 Tokio. Attacco con il gas Sarin nella metropolitana: si ebbero 8 morti, ed inoltre 17 ricoveri in rianimazione, molti con grave patologia, per un totale di 5510 individui intossicati.

1995 Ohio, diffusione del batterio della peste.

1995 Arkansas, un attacco terroristico con la tossina del ricino

1996 Dallas, Texas. 47 laboratoristi infettati intenzionalmente con Shigella disenteriae.

1997 Washington DC, minaccia di attacco con Bacillus antracis.

1998 multiple minacce di attacco con il Bacillo dell’antrace, inclusa una il 20 dicembre a Los Angeles al Federal Building: 91 impiegati furono bloccati nell’edificio.

2001, 18 settembre. Dopo l’attacco terroristico alle torri gemelle a New York furono inviate a due senatori del partito democratico alcune lettere contenenti spore di antrace. 5 impiegati degli uffici furono infettati e morirono, 17 furono ospedalizzati e si salvarono solo grazie alla tempestiva terapia antibiotica. Le spore, infatti, causano la forma respiratoria, più mortale rispetto a quella cutanea o gastrointestinale; la forma cutanea (fig 5) si verifica sporadicamente in USA nei lavoratori della lana e/o del pellame e negli allevatori di pecore. La diagnosi differenziale delle lesioni deve confrontarle con quelle della varicella, del vaiolo, della peste e non è semplice in prima istanza. Il responsabile dell’attacco del 18 settembre è ritenuto esser stato Bruce Ivins, un ex laboratorista del centro di bioterrorismo dell’esercito americano, il quale si suicidò poco dopo esser stato incriminato.

A causa della possibilità ed il timore di un possibile attacco terroristico con il Monkeypox, il cosiddetto vaiolo delle scimmie, il 17 marzo 2021 fu condotto un esercizio di previsione e prevenzione del rischio di cui fu poi pubblicato il rapporto (4). 19 esperti mondiali provenienti da Africa, Asia, Europa ed America esaminarono le inadeguatezze nei meccanismi di allerta internazionali ed esplorarono le capacità di prevenire e rispondere alle conseguenze di un attacco terroristico con questo agente biologico.

Le conclusioni furono: 1) ad oggi la comunità internazionale soffre per la debolezza dei meccanismi di allerta; 2) molte nazioni (per lo più in Africa) non hanno sistemi per una risposta alle pandemie; 3) i sistemi di controllo della guerra biologica sono carenti in molte nazioni; 4) sono insufficienti i finanziamenti per rendere molti Stati pronti alla risposta al rischio.

L’ipotesi di lavoro fu la seguente. Una nazione (A), con 70 milioni di abitanti è in perenne conflitto con quella vicina, che ne conta 250 milioni. Un gruppo di terroristi di A si appropria del virus sviluppato nei laboratori di stato di A e sparge l’infezione contro un migliaio di persone nella nazione vicina ed in breve la malattia si diffonde in tutta la nazione. I confini non sono immediatamente chiusi e in pochi mesi il virus ha contagiato il mondo intero (ne è stato un esempio il virus SARS-CoV-2).

Nel caso del Monkeypox un primo nuovo caso di malattia negli Stati Uniti fu osservato nel novembre 2021 in un viaggiatore proveniente dalla Nigeria, dove piccole epidemie si verificano ogni anno e sono ben conosciute dai medici (5).  Un successivo caso fu identificato il 1° maggio 2022, mentre al 31 maggio sono stati confermati dalle autorità sanitarie 15 casi in 10 stati USA, (1 in ogni stato, 4 a New York), uno in Australia, uno negli Emirati Arabi Uniti, di più in Europa: 109 nel Regno Unito, 49 in Portogallo, 23 in Spagna, 26 in Canada, 12 in Olanda, 7 in Francia, 5 in Germania, 4 in Italia (6). La maggioranza dei casi identificati finora si è verificato in individui attivi sessualmente con partners dello stesso sesso, spesso arrivati ad un servizio per malattie sessualmente trasmesse a causa di una lesione non identificata a livello genitale o anale. Nessuno dei pazienti è morto.

In Africa, dove la malattia è endemica, i casi riportati dal WHO dall’inizio dell’anno sono 1284 in Congo (RDC) con 58 decessi, 46 in Nigeria, 25 in Camerun dei quali 9 deceduti (6).

SINTOMI. La malattia di solito inizia con febbre elevata, brividi, cefalea, lesioni cutanee, linfoadenopatia laterocervicale, sottomandibolare, ascellare o inguinale; tuttavia, in alcuni casi la febbre non sale. L’incubazione usualmente è di 6-14 giorni, ma può arrivare a 21. Il decorso negli individui sani e ben nutriti è favorevole, lo è meno nei soggetti con immunodeficienza o in quelli affetti da tumore in terapia con antiblastici o con malattie curate con anti-tumor necrosis factor (per esempio malattia di Crohn). Le complicanze sono rare, solo in 3 casi negli USA nel corso dell’epidemia del 2003 si sono verificati cheratite (lesione della cornea), ed encefalopatia per edema cerebrale, poi risolte.  La casistica maggiore è riportata dalla Repubblica del Congo (7,8), dove invece la mortalità non è rara.

VACCINAZIONE. Chi oggi ha più di 43 anni era stato vaccinato contro il vaiolo e ne porta memoria a causa di una cicatrice su di una spalla; la vaccinazione era obbligatoria in Italia fino al 1979, anno in cui fu sospesa dato che non si erano più verificati casi di vaiolo nel mondo per due anni consecutivi.

La stragrande maggioranza dei vaccinati è protetta contro il Monkeypox anche dopo 50 anni dalla inoculazione, fatto che si evince dai dati osservati in Africa.  Chi non è mai stato vaccinato, ha gravi patologie ed è a contatto con un soggetto a rischio, può essere trattato con le immunoglobuline umane iperimmuni.

TERAPIA. La terapia dell’infezione è limitata ai soli casi gravi, o nei soggetti immunocompromessi (per esempio con infezione da virus HIV); sono approvati dall’FDA tre farmaci:

1) Cidofovir (Vistide) che era già disponibile per la cura della cheratite da Citomegalovirus in pazienti HIV positivi. La tossicità renale di questo prodotto è elevata e deve essere usato con cautela.

2) Tecovirimat (in compresse o iniezione); questo farmaco impedisce l’uscita del virione dalla cellula infettata perché interferisce con la proteina VP37 della parete virale esterna. La sua tossicità è limitata ed ha scarsa interferenza con altri farmaci in quanto non è metabolizzato dai citocromi del fegato. Tuttavia, nei rari casi di carenza degli enzimi epatici UGT1 e 4 questo farmaco può avere efficacia ridotta.

Il Tecovirimat è stato approvato per l’uso anche in Italia.

3) Brincidofovir. La sua approvazione da parte di FDA ed EMA non è ancora ottenuta, ma in caso di emergenza può essere richiesto al CDC.

In conclusione:

a) il Monkeypox è un virus endemico nei paesi dell’Africa sub-Sahariana, dove ha come ospiti naturali i roditori.  

b) la malattia causata da questo virus è autolimitante nei soggetti privi di gravi patologie.

c) negli USA ed in Europa nessuno ha avuto una malattia grave in conseguenza dell’infezione.

d) chi è vaccinato contro il vaiolo è protetto contro il Monkeypox.

e) farmaci attivi contro questo virus sono disponibili.

f) Il WHO non ritiene che siano presenti rischi di pandemia.

Antonio Ponzetto

Bibliografia. 

1) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4379562/ Babkin IV, Babkina I. The Origin of the Variola Virus.  Viruses 2015;7(3):1100-02.

2) Li Y, Carroll DS, Gardner SN et al. On the origin of smallpox: Correlating variola phylogenics with historical smallpox record. PNAS 2007;104(40):15787-792.

3) Torok TJ, Tauxe RL, Wise RP, et al.  A Large Community Outbreak of Salmonellosis Caused by Intentional contamination of Restaurant Salad Bars. JAMA 1987; 278:389-395.

4) Simulazione di attacco terroristico con il vaiolo delle scimmie. Il rapporto finale. https://www.nti.org/wp-content/uploads/2021/11/NTI_Paper_BIO-TTX_Final.pdf

5) Ogoina D, Iroezindu M, James HI, Oladokun R, Yinka-Ogunleye A, et al. Clinical Course and Outcome of Human Monkeypox in Nigeria. Clin Infect Dis. 2020;71(8):e210-e214. doi: 10.1093/cid/ciaa143

6) WHO report   https://www.who.int/emergencies/disease-outbreak-news/item/2022-DON388

7) Jezek ZM, Scczeniowski KM, Paluku M, Putombo M, Grab B. Human monkeypox: clinical features of 282 patients. J Infect Dis 1987;156:293-298.

8) Jezek Z, Marennikova SS, Mutumbo M, Nakano JH, Paluku KM, Szczeniowski M. Human monkeypox: a study of 2,510 contacts of 214 patients. J Infect Dis 1986; 154:551-555.

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Articolo pubblicato il 08/06/2022