“Fiabe devianti” di Marco Della Luna (Aurora Boreale Editore)

Terrore, incesto e ironia di Mario Marchisio

Quando si tratta di narrare cose a prima vista impossibili, le opzioni fondamentali si riducono a due: la via del fantastico e quella del meraviglioso. Mentre la prima via non postula nel lettore alcun assenso circa la credibilità dei fatti narrati, e si limita a elaborare una serie di artifici atti a renderli in qualche modo credibili - mira cioè a sospendere, anche solo per pochi minuti, l’incredulità di chi legge - la seconda presuppone la piena e indiscussa accettazione dei fatti.

 

Marco Della Luna, che aveva pubblicato sotto lo pseudonimo di Angelo Neri i versi classicheggianti di Kastalia, con la raccolta delle Fiabe devianti imbocca saggiamente la seconda via, quella appunto del «meraviglioso», come si addice a un genere letterario che cerca di affascinare i lettori senza porsi il problema della credibilità.

 

Della Luna è di certo un affabulatore nato: egli trae dal suo baule magico una cornucopia di personaggi ora dolcissimi ora crudeli, e li scatena sulla scena nella giostra inarrestabile di metamorfosi, rovine e insperate salvezze messa in moto con un’arte ammirevole, tutta giocata intorno all’eterna polarità che si contende l’animo umano.

 

Il Bene e il Male risultano perciò sempre in primo piano, anche scambiandosi le parti, con tutto l’armamentario dei loro simboli, non escluse le più inquietanti sfumature.

 

Va inoltre osservato come lo stile di queste fiabe si avvalga di una scrittura liquida, elastica, luminosa, capace di scivolar via senza mai incresparsi: il contrasto con la violenza anche brutale dei fatti narrati non potrebbe essere maggiore.

 

Mettendo a frutto la grande lezione della letteratura fiabesca, il nostro autore non esita di fronte ad alcun eccesso. Nel suo mondo, una regina può trasformarsi in un mostro volante dalle orribili fattezze e ingoiare tutt’intero il re suo marito dopo aver offerto in olocausto al demonio Sarcofas la figlioletta nascitura (Mico e il Mostro Nero).

 

Un uomo, a sua volta, stipula un accordo col diavolo per ottenere l’eterna giovinezza: ma dovrà divorare - allo scadere di ogni annata - un proprio figlio maschio, appena partorito e senza che il neonato abbia modo di gettare un solo sguardo sul genitore antropofago (Stellino e i suoi fratelli).

Altrove, un figlio scopre che il padre e la madre, al servizio di oscure potenze, si tramutano nottetempo in lupi e - proni davanti a un loro gigantesco simile - ricevono l’ordine perentorio di sacrificare il bambino, consegnandolo alla belva affinché possa cibarsene (Rufino nella Valle Beata).

 

Intorno al tema del cibo ruota poi un gioiello narrativo come I bimbi del Cuoco, mirabolante caleidoscopio di resurrezioni «cloacali» (non aggiungo altro per non diminuire di un’oncia il piacere di chi leggerà questa fiaba, forse la più geniale).

 

Nel mondo di Marco Della Luna, infine, si può addirittura peccare post-mortem, come avviene a un personaggio ne Il volo di Flavio, o una fanciulla può chiedere a suo padre, ottenendo l’assenso all’incesto, di unirsi in matrimonio col fratello (così nello scorcio conclusivo del già citato Mico e il Mostro Nero); e con un rocambolesco incesto all’orizzonte termina l’avventura di Camilla, La bimba fatata.

 

Fiabe «devianti», dunque, nonché sadiche, atroci, demoniache: non soltanto nel senso di diaboliche, ma anche in quello di vicissitudini in cui spicca l’azione di un daimon, uno spirito pericoloso e tuttavia di natura per nulla infernale.

 

Non è un caso allora che un’intensa vena satirica serpeggi fra le pagine di questo libro, in un continuo contrappunto che ne vivacizza il disegno rendendolo ancor più complesso e sorprendente.

 

Ad esempio, non si sottraggono all’ironia e al dissimulato sarcasmo di Della Luna le istituzioni religiose e i loro rappresentanti, né l’illusione novecentesca che esalta i presunti prodigi della scienza psicologica. Si veda in particolare, su quest’ultimo argomento, Il caso di Cappuccetto Rosso, paradossale continuazione della celebre fiaba.

 

Se i temi truculenti e sanguinosi possono a tratti ricordare alcuni aspetti delle saghe nordiche (penso a Beowulf), o certe fiabe goticheggianti raccolte dai fratelli Grimm, l’ordito della narrazione ingloba – senza scosse o sbavature – anche suggestioni dalle Mille e una notte così come dalla mitologia greca e dai poemi epici indiani.

 

Ed è proprio all’insegna dell’antica sapienza indù che si richiama una splendida fiaba come Samudra.

 

In essa, abbandonando in un sol colpo ogni sorta di efferatezze, il nostro autore evoca suggestiva-mente l’intera vicenda umana nella sua sostanza di sogno, la stessa materia di cui noi tutti, volenti o nolenti, siamo intrisi fino al collo.

 

 

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Articolo pubblicato il 19/03/2023