OS-SERV-AZIONE, primo passo necessario per comprendere come agire coerentemente al senso delle cose, al servizio della vita.

Perché le cose sono come sono per ragioni precise, ma non necessariamente sono quelle che noi crediamo giuste e buone.

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 71 del 18.01.2022 che è stato suddiviso in 6 articoli. Questo è il n°4.

-------------------------

Quante cose crediamo di conoscere anche se non ce ne siamo mai veramente interessati. Quante cose ci sfuggono anche se crediamo di essere attenti a tutto. Quante cose ci muovono anche se crediamo di essere liberi e indipendenti. La nostra ignoranza è pari solo alla nostra presunzione e proprio per questo ci rifiutiamo categoricamente di ammetterlo. Tuttavia, volenti o nolenti, saremo costretti a ricrederci per il nostro stesso bene e nonostante i tentativi di impedirlo.

-------------------------

 

Un paio di cose mi solleticano. Per prima c’è l’aspetto del nucleo minimo che proietta sé stesso all’interno della società. In effetti mi ci ritrovo perché tante volte mi è capitato, disquisendo di amenità varie, di parlare con persone, amici e colleghi, di criticare chi si trova ai vertici di una presunta piramide, ma di osservare che noi facciamo lo stesso nel nostro piccolo. Per seconda c’è una cosa che mi incuriosisce, cioè quella che la storia ripete se stessa, come hai detto poco fa. C’è però una variabile interessante, secondo me. L’età media si è molto alzata, ed è un parametro anche questo. Vuol dire che anche in tutta questa confusione, il periodo che noi passiamo in vita, tende ad allungarsi, come conseguenza di quello che facciamo, no? E quindi una certa condizione di equilibrio, o no?

 

Non come conseguenza, ma come una variabile immessa, inserita, aggiunta. Hai detto bene, ma ciò che sta accadendo adesso è estremamente sintomatico di quello che avviene ogni volta prima di una trasformazione all’interno dello stesso processo, che si ripete ogni volta ripartendo daccapo su basi apparentemente diverse, ma che invece non cambiano mai, perché di fondo lo strumento attraverso il quale tutto appare intorno a noi è l’essere umano stesso. Il quale non cambia nella sua struttura di elaborazione dei dati che riceve. Quello che hai rilevato è giusto; anche io l’ho messo in evidenza più volte. Oggi in Italia ci sono oltre 4.5 milioni di persone che hanno un’età superiore a 81 anni, quindi oltre l’attuale aspettativa di vita e di conseguenza hanno una certa probabilità di morire in qualsiasi momento per qualsiasi causa. Ma se lo dici così crudamente qualcuno reagisce e per assurdo può giungere ad ucciderti prima che sia giunto il tuo tempo. Se fai notare questa cosa, insieme devi raccontare che tutte o gran parte di queste persone che hanno superato il limite sono tenute in vita in maniera più o meno artificiale. Non solo per artifici della medicina, ma anche organizzativi di una società che vuole sostenere sè stessa, sempre e comunque, il più a lungo possibile. Indipendentemente da quello a cui serve questo vivere più a lungo. Che però come tu hai giustamente fatto notare è un dato di fatto! Quindi qualcosa significa. È segno di un qualcosa! Certo! In tutti i processi che si ripetono costantemente nella storia, compreso questo, l’embrione della capacità di arrivare al punto di massa critica, in cui si colloca il punto di non ritorno da cui scaturisce una trasformazione, viene, per così dire, potenziato in relazione a quanti più strumenti si hanno a disposizione per poterla fare. Un po’ come se dicessi che per risolvere un calcolo avessi bisogno della potenza contemporaneamente fornita da circa 8 miliardi di computer in rete (ovvero quanti sono attualmente gli umani abitanti del pianeta), con tutte le loro diverse peculiarità. Computer connessi tra di loro per fornire la necessaria potenza di calcolo. Ed è in realtà qualcosa di simile che sta avvenendo: ciascuno di noi contribuisce a suo modo a questo processo di elaborazione e trasformazione. Infatti prima che possa avvenire un certo cambiamento occorre mettere in campo tutte le forze disponibili per poterlo attuare. Occorre disporre di tutto quello che serve per un cambiamento essenziale. Occorre fare in modo che gli strumenti che nasceranno, completamente nuovi, da questa situazione, accettino di essere confrontati ed utilizzati per elaborare tutti gli stimoli che perverrenno a loro non solo dal proprio punto di vista egocentrico, come unico esistente, ma da un punto di vista essenziale molto diverso, totalmente diverso, onnicomprensivo. Noi abbiamo strutturato adesso una società in cui ogni passo che facciamo deve essere codificato, perché solo così è gestibile e perché solo così teoricamente lo si può garantire ed assicurare. Ma sappiamo anche che non può essere così. Quello che stiamo facendo non ci assicura un posto di lavoro, neppure la salute, neppure la longevità. Lo ha potuto fare, relativamente, in un periodo in cui eravamo concentrati a fare altro e quindi la nostra essenza ha potuto lavorare indisturbata in tal senso, negli ultimi 40-50 anni a partire dal boom economico globale, poiché eravamo proiettati verso alcune cose e un po’ meno su altre, lasciando libere queste ultime di evolvere secondo uno schema più generale e più vicino a quello che tu intendevi. Ma lo abbiamo riacciuffato per ricondurlo all’interno del canale dei valori che noi abbiamo scavato e riteniamo fondamentale e corretto, indipendentemente dal fatto che lo sia davvero. Il canale entro il quale devono scorrere le cose per essere ritenute giuste, belle e buone, in modo accettato e condiviso dalla maggioranza degli esseri umani. Questo abbiamo fatto! Però questo canale, seppure scavato con le migliori intenzioni, non porta al mare ma conduce ad un “depuratore”. Sono stato chiaro?  

 

Certo!

 

Quindi ci stiamo dirigendo tutti verso una specie di depuratore e non verso il mare a cui crediamo di arrivare così facendo. In quel depuratore saremo, o siamo già, sottoposti ad una bella frullatina, in modo da separare le scorie più grossolane e, dopo un’aggiustatina chimica qua e là, forse potremo procedere verso il mare. Forse! Detto così sembra un po’ troppo perentorio e negativamente tranciante nei confronti del bello, del buono e del giusto, quali reali possibilità di essere conseguiti mediante l’uso dei nostri più alti valori morali. Ma fondamentalmente e praticamente non è così, poiché noi non sappiamo niente di tutto ciò, non sappiamo a cosa si possano applicare tali concetti perché li adattiamo ad un campo estremamente limitato di percezioni che nulla hanno a che vedere con la realtà, che è illimitata e onnicomprensiva. Se potessino vedere tale immensità ne avremmo timore e ne saremmo paralizzati, incapaci di qualsiasi azione. Infatti la realtà, come la verità e la vita, non si ferma davanti ai nostri principi e alla nostra morale, non si ferma di fronte ai nostri interessi, non si ferma di fronte a ciò che noi riteniamo bello, giusto e buono, ma fa quello che deve fare sostenuta da una intelligenza a noi completamente sconosciuta ed irraggiungibile allo stato attuale. Quindi laddove non ci sono riuscite la famiglia, la scuola, la società, la scienza, la religione, l’arte, la filosofia, la cultura, le relazioni sessuali tra esseri umani, cosa mai possiamo aspettarci se non un intervento esterno dotato di una forza in grado di vincere gli ostacoli che si sono prodotti a causa di tutti questi tentativi? Un intervento in grado di azzerare tutte le distorsioni che noi abbiamo elette a sistema sociale per permetterci di ripartire su una base minimale sensata nei confronti della vita. Se qualcuno di voi avesse voglia di fare un lavoro, che peraltro non auguro a nessuno, di guardare le cose ed annotarle per poterle esaminare nelle loro varie espressioni e così poter comprendere se ce ne sia almeno una che possa andare d’accordo con un’altra, vi rendereste conto che è impossibile e tuttavia ha ragione d’essere. E nel momento in cui si scopre tale ragione, si comprende all’istante anche il senso della vita. E si comprende anche che, nonostante tutta la sofferenza che avviene quando noi agiamo così, guardando cosa accade, è necessario che noi mandiamo giù tutto, assaporando tutte le sfumature positive e negative che ciò comporta. Con dignità e fino in fondo.

 

Può essere difficile capire in concreto cosa c’è da fare. Lavorare su sé  stessi, solo questo basta?

 

Basta e avanza! Solo che noi quando diciamo “lavorare su sé stessi” pensiamo che sia un invito rivolto agli altri! È su di noi invece che dobbiamo lavorare, senza ombra di dubbio. Dovremo cominciare ad ascoltare bene e comprendere ancora meglio ciò che noi diciamo per agire coerentemente. Occorre lavorare su sé stessi diciamo; non pronunciamo mai altre parole come “occorre che io lavori su me stesso” per comprendere veramente. Noi ci esprimiamo, ma non ci ascoltiamo, e così tutto cade nel vuoto. Se solo ascoltassimo le nostre espressioni ci renderemmo conto che, pur sapendo quello che dobbiamo fare, non lo facciamo. Perché non è un passo verso l’esterno o dall’esterno verso l’interno di altri; è un passo che noi dobbiamo fare al nostro interno, dal nostro interno verso il nostro interno. Ovvero ce la dobbiamo smazzare da soli! La cosa più strana di tutto questo discorso è che dopo tutti questi anni (dal 2008 ormai ne sono passati 14) che sparo lì queste cose nessuno abbia mai sparato a me.

 

Figurati! Ma non sei l’unico. Io di questi discorsi ne ho sentiti anche da altri.

 

Si, è vero, ma quegli altri non ne parlano mai in contesti troppo vicini a loro, ai propri cari, congiunti o amici, proprio per evitare reazioni dirette ed imprevedibili come quella che ho appena citato. Ne parlano solo con gente sconosciuta e lontana, che non li possa facilmente raggiungere in qualche modo. E che qualche istante dopo ha già dimenticato chi e cosa ha detto tizio o caio. Oppure facilmente confonde ciò che ha udito con quello a cui già credeva in precedenza. Attenzione, queste sono modalità molto diverse. È come quando tu devi smazzare all’interno della tua famiglia gli affari della tua famiglia. Non lo fai con qualcuno al di fuori. È ben diverso: all’interno di una cerchia conosciuta puoi produrre il cambiamento o il disastro. In questo frangente, parlando con persone che mi conoscono personalmente, corro un rischio ben maggiore e reale. Quando affermo di stare stuzzicando cose che poi sono inarrestabili non sto raccontando frottole, ma corro seriamente un rischio reale (basti pensare a quante amicizie, relazioni o conoscenze sono terminate in malo modo anche solo per una parola, quando non abbiano scatenato aggressioni, omicidi o guerre). Non sto raccontando qualcosa che può succedere oppure no ad una persona sconosciuta della quale non avrò mai notizia. Parlo sapendo bene quali tasti e nodi nascosti sto toccando all’interno più profondo di ciascuno di noi delle cui reazioni nessuno, e dico proprio nessuno, può prevedere la portata.

 

È la seconda volta, la seconda occasione in cui tocchi un punto cruciale che è quello seguente: per poter evolvere, andare incontro alla società e poterci rapportare ad essa, dobbiamo conoscere noi stessi e dobbiamo tenere conto e liberarci anche da quei legami di sangue e, come ha detto la persona che è intervenuta prima, è necessario che cambiamo noi e tu rispondi che sì il cambiamento parte da noi stessi. Prima hai accennato ad una prima fase importante di questo processo di cambiamento che consiste nell’autoosservazione e nell’osservazione. Io però mi faccio questa obiezione: non è facile fare questo cambiamento da soli. Io sinceramente lo sento addirittura impossibile. 

 

C’è qualcosa dentro che vi si oppone!

 

Ma al di là dell’opposizione che sentiamo, che io sento, devo dire che personalmente tante volte, sebbene voglia intensamente fare questo cambiamento, mi ritrovo come in uno stato di cecità, di incapacità e sento il bisogno di un aiuto, che non significa dipendenza, ma significa semplicemente avere uno specchio, un gruppo, una persona, un’esperienza o, la butto lì, “qualcosa che mi viene dall’alto”, ma che mi consente di fare qualche passo avanti, di avere qualche invito, uno squarcio per comprendere e andare avanti. E invece tante volte, personalmente, ho la sensazione di essere in una condizione di stallo. Nonostante tutta questa tensione fortissima, questo desiderio fortissimo del cambiamento. Cioè io tante volte ho la sensazione che la mia osservazione, la mia riflessione, la mia attenzione, siano insufficienti e ci voglia altro.

 

Verissimo! Hai riassunto perfettamente la fase che conduce fino all’osservazione. Ed hai introdotto molto chiaramente che manca altro per poter rendere efficace tale fase e forse occorra anche un aiuto. Manca altro, certamente! E l’aiuto (necessario) non può arrivare prima che un primo sforzo, perchè si possa produrre altro, venga compiuto ed elaborato dentro di noi. Ma come può essere elaborato ciò? Come può avvenire se, come hai detto, la tua buona volontà incontra un ostacolo apparentemente insormontabile? Quando noi osserviamo non basta l’osservazione a farci comprendere ciò che noi osserviamo. Occorre sperimentare che ciò che abbiamo osservato non è modificabile. Allora se io osservo la relazione con un altro e vedo che questa si riproduce costantemente in un certo modo, producendo sempre la stessa conseguenza, devo cominciare a prendere nota che ho osservato una cosa che si riproduce sempre uguale, come l’esempio del bicchiere rotto ad ogni partita, sulla quale non riesco ad intervenire e che essa segue una legge che sfugge alla mia attenzione e consapevolezza. Se faccio attenzione sufficiente per una volta magari riesco a non romperlo, ma, appena perdo tale controllo, immediatamente si riproduce nuovamente. Rompo di nuovo un bicchiere. Cosa significa ciò? Vuol dire che qualsiasi aiuto noi possiamo ricevere ci può essere veramente d’aiuto solamente dopo che noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare per poter ricevere un aiuto, che abbia un senso comprensibile da noi come tale, e non sia controproducente a causa della nostra disattenzione o mancanza di coscienza sufficiente. Se a uno che ha appena attraversato un deserto ed è disidratato, gli si dà da bere cinque litri di acqua tutti d’un fiato per cercare di reidratarlo immediatamente, quello muore. Occorre comprendere lo stato delle cose e quali siamo le reali possibilità di intervento per fornire il necessario aiuto; non bastano buone intenzioni e volontà. Addirittura possono essere fatali. Occorre comprendere veramente quale sia la necessità e quale l’aiuto necessario in tale situazione.

 

---------------------

Prosegue nei prossimi incontri

 

foto e testo

pietro cartella

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 23/05/2023