
Comunista, massone e Presidente d’una Repubblica governata come ne fosse il Re
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Funerali di stato, ma laici, per Giorgio Napolitano che, morto a 98 anni, riposa nel Cimitero acattolico di Roma.
“Potrebbe far innamorare qualcuno della morte pensare di essere seppelliti in un posto così dolce” scrisse il poeta britannico Percy Bysshe Shelley, lì sepolto nel 1822. Forse, nel volgere della sua vita, prossima quasi al secolo, potrebbe aver trovato albergo anche nel cuore e nella mente di Giorgio Napolitano questo amore per la morte, col pensiero di essere seppelliti in un posto così dolce.
È luogo di eterno riposo anche per le spoglie mortali di Antonio Labriola, promotore della dottrina marxista in Italia, e di Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista Italiano, nel quale Napolitano ha militato fin da giovanissimo.
My favourite communist! – Il mio comunista preferito! - Così, nel 2001, lo salutò a Cernobbio Henry Kissinger, cui Napolitano rispose: Ex communist! Perché questa pronta e lapidaria correzione?
Ci sono passaggi, nella vita politica di Napolitano, e stati di fatto, che potranno essere chiariti, forse, solo in un domani non molto prossimo. La vita media delle persone, infatti, si allunga, e lui ne è testimone. Ridotti i corpi in polvere e ridotta in polvere anche la cronaca di coloro che l’anno vissuta, solo dopo potrà cominciare il duro lavoro della Storia: rispondere alle domande inevase, fugare i dubbi e cercare di dare consistenza alle apparenze d’un tempo, che potrebbero, però, continuare a non aver certezze, perché il fascino che avvolge talvolta gli arcani dà vita eterna ai misteri.
È un mistero quello della appartenenza di Giorgio Napolitano a una Gran Loggia Massonica anglosassone che, pur senza prove testimoniali, alcuni autori danno per certa (Magaldi e Maragnani - Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges - Chiarelettere - 2019). Appare verosimile, però, questa adesione, alla luce di episodi che si sono succeduti nel corso della sua molto movimentata vita politica e sociale. Gli era stato negato, ad esempio, il visto dagli Stati Uniti, ma poi fu invitato in quel Paese a tenere conferenze, che gli permisero carature internazionali: furono dunque i contatti massonici di alto livello che fecero breccia nel suo credo, cui non abiurò mai, pur dichiarandosi ad un certo momento, in modo esplicito, ex comunista?
Massone, come, da risultanze documentate, lo era stato suo padre, avvocato, che molto aveva contribuito alla educazione di Giorgio, conducendolo, tra l’altro, a laurearsi in giurisprudenza; e massone era stato anche un antenato del marchese Enrico Berlinguer, Segretario generale del Partito Comunista Italiano, il quale cercò sempre di tenere riservato il suo titolo nobiliare, che mal si conciliava col suo credo politico.
Massone e comunista, anzi, ateocomunista fu Napolitano per Roberto de Mattei (Corrispondenza Romana del 27.9.23). Eppure, gli atei non possono essere ammessi in Massoneria, come si legge nelle sue Costituzioni e Lev Trotsky, marxista, aveva proibito di aderirvi.
Ci sono dunque incongruenze nel percorso formativo di Napolitano? Ordini ignorati, principi non condivisi, evoluzioni, sbandate, che hanno modificato l’imprinting di questo uomo colto della sinistra italiana? Ripensamenti?
Massone; ateocomunista; leader visionario per Barak Obama alla Casa Bianca, nel corso d’un incontro molto amicale; precursore della scelta atlantista per Gentiloni alla Camera, nel discorso per le sue esequie. Napolitano è stato anche il Capo del nostro Stato democratico: Il presidente che trovò una repubblica e ne fece una monarchia, come titola un libro di Marco Travaglio edito da Chiarelettere nel 2013; il comunista che diventò re per salvare la Repubblica, come scrive Felice Froio su OPEN - Giornale on line il 22.9.23.
Con l’autorevolezza acquisita prima, ha dato corpo in seguito, da Presidente della Repubblica, alla sua incisiva ingerenza nella politica italiana, con l’autorità d’un monarca. Con questo dispotico atteggiamento, infatti, sarebbe intervenuto sulla promulgazione di leggi ad personam che avrebbero favorito Silvio Berlusconi, col quale ebbe comunque un rapporto variamente articolato, e sul Lodo Alfano, istitutivo dell’immunità per le alte cariche dello Stato. Con identico atteggiamento sintomatico, a parere di molti, di certe mancanze nell’esercizio del proprio ruolo di garante della Costituzione, ma con maggiore autorità, sollevato il Conflitto di attribuzione nell’ambito del processo sulla presunta trattativa Stato-Mafia, impose addirittura a una Procura, quella di Palermo, la distruzione, perché lo riguardavano, delle intercettazioni telefoniche con l’ex senatore Nicola Mancino, già Ministro dell’interno e anche vicepresidente del Csm.
Per questa intromissione soprattutto, finì col meritarsi l’appellativo, ripreso dalla stampa estera con significato in qualche modo laudativo, diverso, quindi, da quello in qualche modo denigratorio usato e come tale percepito invece dagli Italiani: fu Franco Cordero, giurista, scrittore e polemista, che stigmatizzò Berlusconi con l’epiteto di Caimano e che di Napolitano fece Re Giorgio.
Austero, rigoroso, ma patinato di napoletana affabilità, aveva tratti raffinati, ereditati dalla mamma, la contessa Carolina Bobbio, le cui ascendenze piemontesi contribuirono in qualche modo alla sua educazione sabauda; ma non fu re Giorgio Napolitano, che d’un re aveva le stesse caratteristiche fisiognomiche. Singolarissima era infatti la sua somiglianza col Re di maggio, Umberto II di Savoia, ultimo sovrano dell’ultimo mese dell’Italia monarchica, che certe voci con determinazione hanno sostenuto ne fosse il padre naturale (per tutte: Cristiano Lovatelli Ravarino - Finanza online - 5 marzo 2012).
Che Napolitano possa essere stato il figlio illegittimo d’un re di casa Savoia, cosa di cui egli sorrideva ma che, da giovane, forse un poco potrebbe averlo inorgoglito, non v’è certezza; è certo invece che fu lui a far cancellare dalla Costituzione Italiana la norma che impediva il ritorno dei Savoia in Italia ed è legittimo chiedersi, nella balugine dei misteri, se ci fossero ragioni personali che lo portarono a perorare questa decisione.
È anche legittimo chiedersi perché Papa Francesco, davanti al feretro di Napolitano, ha porto le sue condoglianze al defunto non col segno della croce, ma portando la mano destra sul cuore, come si fa in segno di rispetto tra massoni. Così è stato per riguardo al credo acattolico di Napolitano o perché Sua Santità sapeva che il Presidente era stato cooptato da una prestigiosa Ur-Lodge soprannazionale? Cosa possibile, questa conoscenza, stando ai molti rumors che danno il Vaticano vicino a certi ambienti? D’altro canto, la lettera enciclica Fratelli tutti, data ad Assisi il 3 ottobre del 2020, enfatizza il pensiero del Santo Padre, che rimanda al trinomio delle tre virtù massoniche per eccellenza, quando afferma che la fraternità ha qualcosa da offrire alla libertà e alla uguaglianza.
Non è questo, comunque, il tempo dello sdegno, del disappunto, della critica in generale e tanto meno il tempo delle stroncature, perché ai morti si porta rispetto e a Giorgio Napolitano si deve portar rispetto, quindi, non fosse altro che per l’eccelso ruolo istituzionale ricoperto. Verrà però il giorno in cui la Storia dirà ai posteri chi veramente è stato quest’uomo di multiforme aspetto, ma prima di quel giorno, manipolando gli enigmi d’oggi e i misteriosi artefatti di ieri, magnifico materiale per il thriller di domani, un altro Don Brown svelerà segreti che, ancora, avranno solo il sapore della verità e scalerà le classifiche di vendita con la sua ultima fatica letteraria: Il codice Napolitano.
Si vales, vàleo.
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Articolo pubblicato il 03/10/2023