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La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini
Vedova di 82 anni uccisa con undici coltellate (Prima Parte)
Articolo di Milo Julini
Pubblicato in data 20/07/2021

Il secondo cold case del 1977 relativo all’uccisione di una anziana donna sola avviene nel mattino del 10 novembre in via Pordenone 3, nel Quartiere Santa Rita.

Questa location appare completamente diversa da quella di lungodora Savona dove, ai primi di aprile, in un fatiscente edificio praticamente disabitato, è stata massacrata la pensionata Lidia Donno col suo cane volpino.

La via Pordenone va da via Boston a via San Marino, grosso modo parallela a corso Orbassano. Non esiste il civico 1, il 3 è molto vicino all’angolo di via Boston. Il delitto è avvenuto in un moderno palazzo che comprende due numeri civici, il 5 con l’ingresso sulla via Pordenone e il 3 con un’apertura nel cancello del passaggio carraio che dà adito alla porticina posta lateralmente al palazzo.

Maddalena Picca, vedova di 82 anni, minuta, curva, che non arriva a pesare 40 chili, dal 1975, quando il marito Luigi Bocco è morto, abita da sola in un alloggio del primo piano, con piccolo ingresso, camera da letto, tinello e cucina. Non sente la solitudine, nel medesimo palazzo, al quarto piano, vive il figlio Renato, di 55 anni, impiegato alla SIP (Società Italiana per l’esercizio telefonico). Ogni mattina e pomeriggio Maddalena riceve la visita del figlio, della nuora Anna Maria, di 47 anni, anche lei dipendente SIP, del nipote Riccardo, di 20 anni, studente universitario. «Non passava giorno senza che ci vedessimo - ricorda la nuora - per esserle ancora più vicini avevamo fatto collegare i due citofoni. Mia suocera teneva molto alla sua indipendenza, aveva sempre rifiutato gli inviti a trasferirsi da noi: era solita ripetere che finché la salute l’avesse assistita sarebbe vissuta per conto suo, che non voleva dare fastidio a nessuno».

Nella mattina di giovedì 10 novembre, verso le 9:00, Maddalena fa squillare il citofono. Le risponde il figlio che in questi giorni non va a lavorare. «Per favore - dice in piemontese l’anziana donna - oggi cucino un coniglio, ho bisogno di un po’ di vino bianco. Portamene un paio di bicchieri». «Sta tranquilla - risponde Renato Bocco - scendo subito». Un quarto d’ora dopo madre e figlio chiacchierano sul pianerottolo al primo piano, la donna promette: «A me basta poco, ripassa a mezzogiorno, ti darò il coniglio». Renato rimane ancora qualche minuto a parlottare con la madre, poi risale in ascensore.

Nel corso della mattinata, Maddalena viene uccisa nel suo alloggio, con undici coltellate da quello che inizialmente è definito «un rapinatore». L’atroce scoperta del suo cadavere tocca al figlio che alle 12:30 suona all’uscio della madre, attende alcuni secondi, preme di nuovo il campanello. Silenzio.

«Ho pensato ad un malore - racconta Renato - ho aperto con le chiavi che porto sempre con me». Una visione orrenda; sulle prime, il figlio non si rende conto che la madre è morta: le solleva il volto sfigurato dal sangue, pone sotto la testa un cuscino. «Solo allora ho capito che cosa era accaduto». Maddalena è già morta da quasi tre ore.

La precoce scoperta del delitto fa sì che Stampa Sera possa già dare la notizia, sia pure in breve, fin dallo stesso giorno.

La ricostruzione del susseguirsi degli avvenimenti porta a ritenere che l’assassino sia giunto nell’alloggio subito dopo la breve visita del figlio. Ha avuto fortuna, ha trovato il portone aperto, non ha dovuto ricorrere al citofono. Con un pretesto riesce a vincere la diffidenza della donna e a farsi aprire. «Deve averle raccontato una frottola convincente per ottenere di farsi ospitare nel tinello - dice Renato -. A mia madre raccomandavamo sempre di fare attenzione, di chiamare noi prima di far entrare qualcuno, di socchiudere la porta bloccandola con la catena. Negli ultimi tempi, anche spaventata dalle numerose aggressioni a donne sole, era diventata più prudente, aveva paura».

Una situazione che in questi casi, purtroppo, si ripete spesso: Maddalena si sente al sicuro, non ha sospetti sullo sconosciuto che si trova di fronte, lo lascia varcare la soglia e lo accoglie nel tinello. Troppo tardi intuisce di essersi cacciata in trappola. Quando lo sconosciuto l’aggredisce con un pugnale, le sue deboli forze non le consentono né la difesa né la fuga. Secondo gli inquirenti, «Ha soltanto accennato ad una protezione, coprendosi con le mani le prime due coltellate devono esserle arrivate proprio sulle mani».

Due fendenti vibrati con forza, le trafiggono un palmo, tranciandole quasi l’indice della sinistra. Sono ferite sufficienti per vincere la resistenza dell’anziana signora ormai ridotta all’impotenza da dolore e paura e senza possibilità di ostacolarlo. Il criminale potrebbe con tutto comodo cercare denaro, preziosi, arraffare il bottino e fuggire indisturbato. Ma, a quanto pare, è venuto per uccidere.

La lama, secondo il medico legale professor Baima Bollone, lunga ma non molto larga, si abbatte su Maddalena, le riduce il viso ad una maschera di sangue, le apre due larghe ferite alla gola, le trafigge almeno sette volte il torace. Undici fendenti vibrati con violenza cieca hanno lacerato il petto, squarciato la gola, fatto scempio del volto. Nell’autopsia, sono stati riscontrati sulla nuca alcuni ematomi: il killer ha colpito la donna a pugni o le ha sbattuto più volte la testa sul pavimento.

L’omicida ha incrudelito sul corpo ormai privo di vita, come spiega il capo della Squadra Mobile, dottor Alessandro Fersini: «La donna deve essere subito caduta, alla prima pugnalata il killer ha continuato a colpire con terribile violenza».

Il sangue schizza sulle pareti, giunge a lordare il pavimento dell’ingresso, una larga macchia vermiglia si allarga sotto la testa di Maddalena, riversa in sala da pranzo, quasi irriconoscibile.

L’omicida rovescia sul cadavere il contenuto dei primi cassetti che gli capitano a tiro, cerca nell’armadietto della cucina, nel cassettone del corridoio. Prima di fuggire ha visitato tutto l’appartamento, ha messo a soqquadro le camere rovesciando cassetti, rovistando nei mobili. In camera da letto sposta il materasso, cerca pure sotto il letto. Finalmente se ne va, chiudendosi la porta alle spalle. Di certo si è sporcato le scarpe di sangue, ma non ha lasciato tracce, come se si fosse allontanato a piedi scalzi oppure avesse pulito con cura le suole.

Si può rilevare che ha ucciso a freddo, non ha mai perso la testa: non ha lasciato dietro di sé nessuna prova compromettente, si è portato via il pugnale, arma del delitto. Certo è stato fortunato: per pochi minuti ha evitato di imbattersi nei familiari della sua vittima e, per le scale o nell’androne, non ha incontrato qualche inquilino. Così ha potuto scomparire nel nulla, su di lui non vi è neppure una vaga testimonianza.

Fin qui i riscontri da elementi certi.

Fine della prima parte - Continua

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