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Il triste destino dell’autodromo di Morano Po
Anni ’70 nella terra delle risaie nacque e morì una bella pista che manca al Piemonte, anche culturalmente.
Articolo di Carlo Mariano Sartoris
Pubblicato in data 26/07/2021

Dopo tanti mesi di stop finalmente è arrivata l’estate post pandemia. L’aria di precaria normalità risveglia voglie di libertà, di movimento, di celerità. Il futuro è incerto, il virus non è distrutto, ma nel frattempo sono in tanti che tornano a scaldare i motori, a guardare le competizioni di moto e vetture, a sognare di tornare a gareggiare negli sport motoristici anche e solo regionali.

È nella indole umana il fascino della velocità: concentrazione, adrenalina, sport, abilità. Invece da un po’ siamo sempre più costretti, numerati, controllati e il pensiero di qualcuno d’una certa età, ritorna a tempi in cui le restrizioni erano poche. Tempi in cui ottimismo, buonumore e serenità erano sentimenti molto più comuni di adesso.

Anni 70, decennio di altre tensioni che niente hanno a che vedere con lo scompiglio morale a cui la popolazione è stata sottoposta da sua maestà CoViD-19. Malattia che si è insinuata anche nei pensieri, rimasti troppo in quarantena e ora affamati di autogestione.

In quegli anni 70 c’era più semplicità: fumare non era un delitto, non si rischiava di infettarsi nel fare all’amore e in motocicletta si poteva ancora gironzolare senza casco, col vento tra i capelli, ma con prudenza, sapendo di correre qualche rischio.

I piloti piemontesi che carezzavano ambizioni agonistiche, per lo più si cimentavano nel Campionato Italiano di Velocità in Salita, molto seguito dal pubblico, ma tutti si sognava una pista, perché nella regione non ce n’era una e non tutti avevano le disponibilità per spostarsi fino a Monza, Misano o Vallelunga.

Ecco perché, quando fu inaugurato a Morano Po quel bell’autodromo noto come: “di Casale Monferrato”, l’ottimismo e la speranza di spettatori e soprattutto di sportivi piemontesi ansiosi di potersi cimentare in circuito senza andare lontano, prese la sagoma della realtà d’asfalto.

La pista con otto curve e 2500 m di sviluppo, venne inaugurata il 19 marzo 1973 dal pilota di Formula 1 Arturo Marzario, che la battezzò girando in 1’01’’ con una Ferrari 312 B2. Da subito, il circuito fu accolto con entusiasmo da un folto pubblico che poté assistere a numerose gare, soprattutto automobilistiche: prototipi, gran turismo, formula 3 e tutte le categorie minori a ruote scoperte, mentre la vicinanza al confine vide trasferirsi a Morano Po molte gare del campionato svizzero di motociclismo.

E infine, noi piloti torinesi di belle speranze, finalmente avevamo la nostra pista che, sul successo delle sue manifestazioni era in progetto di essere allungata fino a 4 km. Sogno ben presto infranto.

Nel 1975 iniziarono i problemi. Nonostante il circuito fosse stato edificato in appartata campagna, in prossimità del fiume Po, gran parte del tracciato si sviluppava sui terreni del comune di Pontestura. Proprio le lamentele di una parte di quella popolazione locale, infastidita dai rumori dei motori, diedero inizio ad azioni legali, mettendo in luce la differenza dell’amore per le competizioni tra certa suscettibile gente agricola del Piemonte e i vicini emiliani e romagnoli. I cittadini di Imola si godono le gare dal balcone di casa.

Le beghe giudiziarie costano e non fanno bene ai progetti. I dirigenti della pista, nel 1977 furono obbligati a chiudere cancelli e box, lasciando il bel circuito in balia di qualche vendicativo agricoltore che nottetempo ne distrusse 500 m con una ruspa. Il resto è stato lasciato al ritorno degli arbusti e oggi, pista ed impianti giacciono in un irrecuperabile stato di degrado, e come per tante altre strutture in Italia, è un vero spreco, ma non solo. La competizione fa parte della storia dell'uomo e le gare motoristiche sono  testimonianza  culturale del nostro tempo sempre in aria futurista: motori, eroi, velocità; opere dell'ingegno umano, sviluppo quasi innocuo dell'umanità.

Fine del turismo legato alla presenza  della pista, per pensioni e ristoranti della zona, fine degli svizzeri in trasferta, stop a un pittoresco circus motoristico di valenza più che nazionale.

Storia triste di una scarsa lungimiranza tipica della nostra conservativa e giustizialista razza piemontese, insofferente ad ogni novità e 45 anni fa, certo più di oggi, antiquata e chiusa in se stessa. Agli appassionati, piange il cuore ancora adesso.

Di questi tempi affamati di nuova libertà, la mancanza di uno sfogo per la passione dei motori, in Piemonte è quanto mai sentita. Supplisce e sopravvive il forzatamente modesto circuito di Lombardore, anch’esso appartato, ma non per questo esente dalle solite, limitate, petulanti proteste. È molto frequentato seppure insufficiente per accogliere mezzi potenti e competizioni di accettabile livello. Il progetto di un bell’autodromo sulla pianura tra Cherasco e Marene risalente ai primi anni 2000 è rimasto sulla carta per le solite proteste.

Altre piste sono sorte ai confini del Piemonte, la più vicina a Castelletto di Branduzzo in provincia di Pavia: 1900 m ben asfaltati, ma l’autodromo di Casale Monferrato era un’altra cosa, altra velocità, e il pensiero di chi ha avuto la fortuna di poter assaporare anche per poco l’asfalto di quel circuito, sia con la moto che con un’Alfa GTA di una scuderia di Casale, non può sottrarsi ad una nostalgia difficile da spegnere.

Breve storia ed epitaffio di una pista che manca ad una regione che la desidera. E poi un lamento che si sussurra e la ricorda; serpeggia tra quegli appassionati che oggi, tempo di libera uscita, sarebbero ben lieti di andarci, strappando dagli smartphone e dalle consolle: figli, amici e nipoti, per portarli ad assaporare qualche concreta e reale gara, in una domenica di festosa velocità.

Chiunque abbia trovato interessante questo souvenir, è invitato a condividere la storia con chi non la sa, per preservare almeno il ricordo di questo circuito e fungere da esempio per altri, futuri, auspicati progetti.

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