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Voci e cose dal Piemonte
Storie di Pont Canavese: Carlo Gedda e Pierino Dominici
Nemici per la palla e amici per la pelle (Di Alberto Serena)
Articolo di Milo Julini
Pubblicato in data 05/10/2021

Nei primi anni Trenta dei giovani pontesi avevano iniziato a giocare a pallone nei cortili e nelle stradine del paese rompendo qualche finestra e scrostando qualche muro, ma cercando di imitare i campioni delle squadre torinesi, che in quegli anni stavano dominando il torneo nazionale.

Attorno a Giovanni Marchetti ed a Francesco Aimone, detto Cecio, si unirono altri ragazzi come i fratelli Pierino e Giuseppe Querio, Stefano Escarbot, Emilio Aimone, i fratelli Oreste e Augusto Bazzarone, Edoardo Roscio, Anacleto Albertan Min, Costanzo Berchiatti, Carlo Perona, Attilio Sandrono ed infine Pietro Dominici e Carlo Gedda.

Pietro Domenico Dominici, detto Pierino e anche “Bigat” (10.9.1914 + 5.10.1989) era figlio di Giuseppe (1873) e di Appendino Angela fu Gabriele, originaria di Carmagnola.

Bigat” giocò nella Pontese per tanti anni, sia come mediano sinistro che come ala e mezzala, dal 1937 fino al 1949-50. Era un super tifoso della Juventus ed era felicissimo quando seppe che le prime maglie della Pontese sarebbero state bianconere.

Il grande interesse del barone Mazzonis, proprietario della Manifattura tessile, per il calcio e l’amicizia che lo legava alla Juventus fece sì che a Pont arrivassero delle fiammanti maglie bianconere in dono per i calciatori pontesi.

Chi invece non digerì troppo bene questo gradito omaggio fu Carlo Gedda, che benché fosse stato tesserato nella Pontese nel 1937, non volle mai giocare nemmeno una partita con quella maglia addosso, perché lui era un super tifoso del Torino e non poteva sopportare quel colore bianconero.

Nel mese di luglio del 1937 fu inaugurato il nuovo campo sportivo in località cascina Bulo e per la giornata inaugurale fu scelto come antagonista la squadra dell’Agliè che venne sonoramente battuta per 4 a 0.

Il 5 luglio dello stesso anno la Pontese scese in campo a Torino allo stadio Mussolini per incontrare la squadra riserve della Juventus e stavolta fu sconfitta per 5 a 2 e quel giorno oltre a tutta la squadra, con presidente e allenatore, c’erano tanti pontesi arrivati a Torino con i più svariati mezzi di locomozione, dal treno alla bicicletta.

Carlo Gedda era nato il giorno 8 maggio del 1913, figlio di Giuseppe (Favria 1.6.1857) e di Maria Clara Margherita Enrico (24.6.1874 + 1944).

I suoi genitori si erano sposati a Pont Canavese il 13.1.1906, quando suo padre aveva quarantanove anni e faceva il conducente prima per la Manifattura Laeuffer e poi per la Manifattura Mazzonis, andando ad abitare, insieme al nonno Antonio, in Piazza Fond Pont al numero 7, dove nacque Maria Lucia Antonia (25 maggio 1906).

Carlo, benché avesse due nipoti preti, figli di sua sorella, Don Zaverio Pecchenino (Salto, 11.11.1929), parroco di Bessolo (frazione di Scarmagno) e un altro Don Giovanni Pecchenino, prete missionario in Amazzonia, non sopportava l’ambiente ecclesiastico, ma soprattutto prima di ogni altra cosa, famiglia compresa, veniva sempre e solo il “Toro”.

Era solito dire agli amici che lo volevano avvicinare alla chiesa che “lui era un tipo perverso e pregare per lui, era tutto tempo perso”.

Sia Carlo, classe 1913, che Pierino del 1914 avevano frequentato la scuola elementare insieme, perché il primo aveva iniziato la scuola un anno dopo ed erano diventati amici inseparabili, condividendo giochi e piccole malefatte e l’unica cosa che li divideva era il tifo per le due opposte squadre torinesi.

I loro compagni di classe, Arturo Querio, Ottavio Panier Suffat, Giovanni Trione, Eugenio Boetto, Lorenzo Rastello, Giovanni Aimone, Adolfo Bertotti, Ernesto Configliacco Buffar, Annibale Goglio, Costanzo Berchiatti e Oreste Bazzarone (giocatore della Pontese dal 1937 al 1949-50 con Pierino Dominici), tifavano tutti per la Juventus

Per il piccolo Carlo era dura andare a scuola con quei compagni, ma almeno la maestra Martina, diceva che anche lei era del “Toro” forse per solidarietà con il piccolo “granata” e solo il compagno Giovanni Obertino, che poi si fece prete, per non far torto ai suoi compagni o forse perché l’abito talare era simbolo di pace, tifava per tutte e due le squadre.

Entrambi, sia il “bianconero” Dominici che il “granata” Gedda rimasero scapoli e alla domenica andavano a cena insieme alla trattoria “del vapore “di Rastello Dolfo ed Ilario, posta in Via Valle Soana 61 a Villanuova e seduti allo stesso tavolo si vedevano le partite di calcio, dove le discussioni erano all’ordine del giorno.

Per tutto il periodo in cui i giocatori indossarono la maglia bianconera, cosa che avvenne nel dopoguerra, Gedda si rifiutò categoricamente non solo di giocare ma anche di andare a vedere le partite della Pontese.

L’anno più bello e indimenticabile per lui fu il 1975, quello in cui il suo Toro vinse lo scudetto.

Carlo Gedda, anche se viveva da solo, era sempre vestito in modo elegante e quando morì si fece seppellire con rito civile, avvolto nella bandiera del “Toro”, mentre “l’amico per la pelle e nemico per la palla”, che lo accompagnava per l’ultima volta, aveva il viso tutto bagnato, eppure nel cielo di quel mercoledì 7 marzo del 1979, c’era un sole splendente, tendente al giallo granata.

Alberto Serena

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