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L’ottusa politica energetica che ha messo l’Italia in astinenza. 2ª parte
La prima crisi energetica del 1973. L'embargo petrolifero
Dalla guerra del Kippur e l’embargo arabo, alle alternative disattese
Articolo di Carlo Mariano Sartoris
Pubblicato in data 15/03/2022

La sciagurata politica di dipendenza dal gas russo ci condanna a un futuro doloroso. Scenari già visti negli anni ‘70 e affrontati anche dalla ricerca scientifica in cerca di soluzioni 42 anni fa.

Qui di seguito, una prima sintesi di un lavoro di 184 pagine che, in molti punti, nel 1980 anticipava le affannose scelte che il governo sta valutando in questi giorni, brancolando tra troppe, improvvisate competenze sulla diversificazione delle fonti energetiche. Un governo impreparato, perennemente impantanato nella sua stessa burocrazia che rimpalla decisioni dal ministero alle regioni, passando per enti e beni culturali, avanzando al passo del gambero, mentre le crisi vanno avanti.

Molte delle metodologie e dei contenuti di un lavoro che giace dimenticato tra gli scaffali della biblioteca del politecnico di Torino, risulteranno tuttora aventi nei tempi.

Doc. 1980-81. Introduzione: “La dipendenza energetica”

… Dopo il caos prodotto dalla crisi petrolifera del ‘73, che ha sovvertito rapidamente molti assetti politici e finanziari, è risultato che il futuro sarà sempre meno prevedibile, anche nel caso di un futuro assai prossimo.

Infatti, citando un’asserzione di Galbraith: “l’era dell’incertezza sembra dominare il nostro futuro”, si sintetizza l’attualità, poiché la penuria di energia primaria che ha palesato la fragilità della loro dipendenza, pone in discussione il modello di sviluppo secondo il quale si sono evolute le società industrializzate negli ultimi decenni e in particolare, quelle a economia capitalistica.

Un modello alla cui base era ed è la disponibilità di risorse naturali a basso costo, spesso uniche ricchezze dei paesi del terzo mondo, intrappolati in un ambiguo intreccio di accordi e dipendenze, di scambi e di debiti, di armamenti e caroselli politici che ne anno sempre favorito lo sfruttamento da parte di paesi terzi.

Disequilibri tra aree di consumo, utilizzo dell’energia come arma politica, tensioni internazionali, movimenti macroeconomici, tensioni sociali e trivelle alla ricerca di nuovi giacimenti, sono tutti paragrafi causali con l’attuale fase del mercato petrolifero, mentre torna in auge il metano.

Dopo l’embargo arabo e l’aumento dei prezzi OPEC, l’epoca del petrolio copioso e a buon mercato ha ceduto il passo a un’epoca di energia costosa e limitata. Di riflesso si è passati da una condizione di elasticità a una di rigidità. Il petrolio infatti, semplice da estrarre, trasportare e lavorare, permetteva una rapida risposta tra la domanda e l’offerta. Ma ora, l’estrazione in fase calante, nel breve periodo potrà aumentare, ma più adagio del fabbisogno, con relativo aumento dei prezzi.

La curva della richiesta è esponenziale. Tra il 1950 e il 1975 l’aumento dei consumi energetici è stato di 4,3 x 9 mil. MTEP. Tra il 1975 e il 2000 il tasso di aumento previsto sarà circa doppio.

Nell’attuale panorama energetico mondiale, oltre la metà del fabbisogno di energia è soddisfatta dal petrolio e dei suoi derivati; è la crescita di questa metà che diventa troppo elevata rispetto all’aumento della capacità estrattiva, aumento di cui non se ne potrà garantire la durata.

La crisi energetica era stata prevista prima del 1973. Già nel 1968, gli scienziati e gli studiosi del Club di Roma, avevano rilevato lo spreco delle risorse naturali con gli attuali criteri di utilizzo, ed era stata prevista la svolta nella politica commerciale dei paesi riuniti in seno all’OPEC, fondata a Bagdad nel 1960 come replica a due successivi ribassi del prezzo del greggio decisi dalle lobby petrolifere internazionali. I paesi fondatori erano stati: Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait e Venezuela.

La guerra del Kippur, per i paesi dell’OPEC è stata l’occasione per rinegoziare i rapporti tra paesi industriali e paesi del terzo mondo, intaccando il sistema planetario politico ed economico che, dal 1973, ha perduto molti dei suoi metodi che garantivano posizioni di dominio e spartizione (le forme di protezionismo che iniziano a manifestarsi, ne sono la prova).

Quindi, tra le cause dell’attuale crisi energetica vi è un profondo mutamento dei rapporti di forza a livello mondiale. Anzitutto va sottolineato che le relazioni tra mondo occidentale e terzo mondo sono entrate in una fase critica in quanto stanno venendo meno accordi economici internazionali e si sviluppano nuove rivalità nazionalistiche, motivi di negative previsioni anche per l’avvenire del mercato internazionale del petrolio.

La situazione è instabile poiché, mentre le risorse finanziarie dei ricchi paesi OPEC sono per lo più investite nei paesi industrializzati, sta crescendo a dismisura l’indebitamento dei paesi del terzo mondo nei confronti del sistema bancario e finanziario internazionale.

L’OPEC dal suo canto convoglia risorse puramente assistenziali verso questi paesi, dividendoli politicamente, i quali le dirottano in misura crescente verso spese militari o legate al supporto della loro posizione di forza territoriale.

L’intervento libico in Africa centrale, conferma questa attitudine (dal ‘47 a oggi, ben 127 guerre).

Nonostante l’insorgere della guerra tra Iran e Iraq, e l’interruzione delle forniture di greggio da questi due paesi, altri membri dell’OPEC hanno aumentato le loro aliquote di produzione, evitando gravi ripercussioni all’economia occidentale. Questa decisione, in contrasto con le tendenze OPEC, rivolte a un freno delle estrazioni petrolifere, è una prova palese di quanto le sorti del mondo occidentale, in questa fase di incertezza e transizione, stiano a cuore dei paesi OPEC le cui risorse finanziarie sono investite nei paesi occidentali. Si potrebbe quindi dedurre che, pur con affanno, il futuro più prossimo dei paesi industrializzati dovrebbe godere di un periodo di respiro.

Alcuni di essi, da un punto di vista energetico sono più vulnerabili di altri. È il caso dell’Italia, carente di fonti primarie fossili, dove il fabbisogno energetico è dipendente per oltre l’80% delle importazioni di energia primaria. Una spesa continua che, senza la creazione di fonti energetiche autonome, non consente un futuro competitivo.

La diminuzione% è ipotizzabile tramite risparmi e innovazioni, che però sono destinati a produrre sensibili effetti a medio e lungo termine. La replica alla crisi è anche connessa alla posizione internazionale del nostro paese e all’auspicata evoluzione della qualità di mercato estero ottenuta. Ma valutando la frammentata tipologia industriale italiana e una radicata incapacità di ottimizzare i consumi, è prevedibile anche un percorso di recessione.

Per migliorare la nostra posizione internazionale, oltre a una proficua politica estera, serve un’efficace riqualificazione di produzioni, consumi e strutture produttive. Infine, una politica di stoccaggio dell’energia, con un adeguato assetto territoriale e il ricorso a una pluralità di fonti energetiche, con crescente privilegio a favore di quelle rinnovabili.

Le fonti rinnovabili sono alla base di una strategia energetica più consapevole e avveduta, non solo economica, ma anche rivolta verso le forme inquinanti e le distorsioni ambientali connaturate al sistema produttivo che si è sviluppato con la crescita della società dei consumi.

Lo stoccaggio dell’energia e il ricorso a fonti rinnovabili esigono maggiori investimenti iniziali da recuperare in fase di esercizio per il minor consumo di derivati fossili. In altri termini, le soluzioni energetiche alternative vanno concordate sulla base di precise analisi fra il loro costo attuale e il costo delle fonti energetiche fossili, durante l’intero ciclo della loro installazione.

Purtroppo lo sviluppo di fonti rinnovabili è alterato dai tempi di ritorno degli investimenti, superiori a quelli di solito accettati dall’industria (due-tre anni), o ancor meno dai privati. Dunque, l’apertura verso una autonomia energetica richiede una gestione ad ampio spettro delle risorse, affinché sia garantito il proseguire competitivo del paese.

Per quanto riguarda l’industria, un dato evidenzia di per sé quanto il settore sia coinvolto nella questione energetica, poiché assorbe il 50% dei consumi totali.

L’aumento del prezzo del greggio però, potrebbe incentivare le fonti rinnovabili nel settore industriale, ma si oppongono le inerzie e le resistenze di comodo, con cui si è sviluppato il nostro paese negli anni 60: scelte di una politica energetica affrettata, centralizzata in grandi impianti termoelettrici.

Erano anni di statizzazioni e strategie polarizzanti di centrali e stabilimenti. Scelte che oggi rilevano la precarietà degli investimenti rivolti verso attività poco flessibili e dall’enorme consumo di energia, soprattutto elettrica.

A dispetto delle grandi unità produttive, il panorama industriale italiano è ricco di imprese medio-piccole, per cui le pronte risposte a una prossima, eventuale carenza energetica, dovranno essere diversificate. Per l’Italia dunque si impone una politica energetica e industriale indirizzata verso scelte più razionali rispetto a quelle praticate fino ad oggi.

(NB: negli anni 90 l’Italia estraeva dai propri giacimenti poi lasciati in disuso 20 Miliardi di metri cubi di gas, oggi soltanto 3,3, mentre il consumo nel 2021 è stato di 76 Miliardi di metri cubi. Nessun mea culpa o dietro-front dai magnati del parlamento… Perché?)

Fine 2ª parte. Prossima 3ª parte: strategia per un corretto inserimento delle fonti rinnovabili nel contesto geografico del nostro paese.

Link della 1ª parte introduttiva: https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=44145 

 

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