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Asti. Il Quartetto per Archi e Pianoforte alle soglie del Novecento
Johannes Brahms
Il secondo appuntamento di Regie Sinfonie vede protagonisti il pianista Andrea Rucli e il Beaux Arts Trio in un raffinato programma tardo romantico.
Articolo di Giovanni Tasso
Pubblicato in data 25/03/2022

Sabato 26 marzo alle ore 17 l’Istituto di Musica “Giuseppe Verdi” di Asti ospiterà il secondo concerto di Regie Sinfonie, la prestigiosa rassegna organizzata dall’associazione culturale I Musici di Santa Pelagia, che vedrà protagonisti il pianista Andrea Rucli e il Beaux Arts Piano Trio in un raffinato programma tardo romantico, che accosta i quartetti per archi e pianoforte di due autori molto diversi tra loro come Johannes Brahms e Gustav Mahler.

 

A differenza di quello per archi – che conobbe uno straordinario successo tra i maestri del Classicismo viennese e divenne subito dopo uno dei generi più emblematici dell’epoca romantica – il quartetto per archi e pianoforte non riuscì a imporsi come sarebbe stato lecito attendersi. Tra le opere più significative composte per questo organico si segnalano in particolare i due capolavori di Mozart K. 478 e K. 493, i tre lavori giovanili di Mendelssohn e il celebre Quartetto op. 47 di Schumann, mentre tra i compositori che trascurarono questo genere spicca il nome di Beethoven, che si limitò a scrivere a 15 anni tre opere identificate come WoO 36.

 

Portato a termine nel settembre del 1861, il Quartetto in sol minore op. 25 di Brahms ebbe una genesi lunga e piuttosto complessa, prova evidente del fatto che il compositore amburghese faceva fatica a trovare la giusta ispirazione. Queste perplessità lo spinsero a sottoporre questo lavoro al suo amico Joseph Joachim, violinista di straordinario talento ma compositore fin troppo convenzionale.

 Dopo averlo esaminato con attenzione, Joachim da un lato non lesinò critiche al primo movimento, che giudicò troppo libero sotto l’aspetto formale e povero di spunti melodici significativi, ma dall’altro si profuse in lodi sperticate per il Rondò alla Zingarese conclusivo, la cui brillante scrittura basata su temi del folklore ungherese sembrava pensata apposta per esaltare il suo sbrigliato virtuosismo.

 

Come si può facilmente immaginare, il giudizio di Joachim risente in maniera evidente dei suoi gusti, in quanto oggi il Quartetto op. 25 è considerato tra le opere più emblematiche della prima maturità di Brahms insieme ad altre opere più famose come il Sestetto op. 18, grazie a una scrittura densa e ricca di personalità.

 In primo luogo, non è affatto vero che l’Allegro iniziale presenta spunti melodici di scarso interesse, in quanto i suoi tre temi si collocano perfettamente nel solco dello stile brahmsiano, con un soffuso senso di malinconia che sfuma dolcemente in un’atmosfera di languorosa bellezza. Anche le critiche di vuoto accademismo mosse da alcuni critici coevi non hanno oggi alcun riscontro, ma possono essere viste come il frutto dell’invidia che il giovane Brahms stava iniziando a suscitare intorno a sé. Semplicemente, il Quartetto op. 25 era troppo profondo e innovativo per il pubblico viennese di metà Ottocento.

 

Oggi non è possibile rimanere insensibili di fronte al delicato lirismo dell’Intermezzo, con le evanescenti nuance del pianoforte e degli archi che sembrano anticipare i panneggi timbrici di Claude Debussy, all’intenso romanticismo dell’Andante con moto – che nella seconda parte assume sfumature più decise e dai toni vagamente popolareschi – e alla esasperata vitalità del Rondò alla Zingarese, un brano assai lontano dalla poetica del compositore, che può essere visto come una semplice concessione ai gusti del pubblico dell’epoca – oltre che di Joachim! – né più né meno come avevano fatto molti altri compositori prima di Brahms a partire da Franz Joseph Haydn.

 

Nel 1875 Brahms diede alle stampe il Quartetto in do minore op. 60, ultimo dei suoi tre quartetti per archi e pianoforte, il cui altissimo magistero compositivo influenzò parecchi giovani compositori di quel periodo, tra cui il quindicenne Gustav Mahler.

 Rimasto profondamente impressionato da questo capolavoro, l’anno successivo Mahler iniziò a scrivere un quartetto per archi e pianoforte, che secondo le sue intenzioni avrebbe dovuto basarsi da un lato sulle armoniose architetture classiche e dall’altro su contenuti spiccatamente romantici e ricchi di allusioni wagneriane – una scelta, quest’ultima, che non avrebbe sicuramente fatto piacere a Brahms.

Di questo ambizioso lavoro, Mahler portò a termine solo il primo movimento, un pregevole Non troppo allegro, i cui toni lirici sembrano guardare già decisamente al futuro, fermandosi dopo avere abbozzato una ventina di battute dello Scherzo.

 Nel frattempo, Mahler si era probabilmente reso conto che il suo repertorio d’elezione non era quello cameristico, ma la sinfonia a grande orchestra, genere in cui negli anni successivi si sarebbe rivelato un maestro indiscusso.

 

 

Sabato 26 marzo 2022 – ore 17

Salone Verdi dell’Istituto Musicale “Giuseppe Verdi”

Via Natta 22 – Asti

 

IL QUARTETTO PER ARCHI E PIANOFORTE ALLE SOGLIE DEL NOVECENTO

 

 

Gustav Mahler (1860-1911)

Quartetto in la minore per archi e pianoforte

Nicht zu schnell. Entschlossen

 

Johannes Brahms (1833-1897)

Quartetto in sol minore per archi e pianoforte op. 25

Allegro – Intermezzo: Allegro ma non troppo – Andante con moto – Rondò alla zingarese: Presto

 

 

Beaux Arts Trio

Joaquin Palomares, violino

David Fons, viola

Davide Apellaniz, violoncello

Andrea Rucli, pianoforte

 

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