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Cronaca Internazionale
L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Elio Ambrogio: Guerre, epidemie e altri incubi. Il tramonto della ragione e dello stato di diritto
Ius est realis et personalis hominis ad hominem proportio, quae servata hominum servat societatem, et corrupta corrumpit. Dante Alighieri, De Monarchia, II,5.
Articolo di L'Editoriale
Pubblicato in data 27/03/2022

La celeberrima definizione del diritto che Dante ci porge nel suo De Monarchia appartiene ormai alla memoria collettiva e, come si direbbe oggi, è una definizione “contestualizzata”, cioè trae significato dalla sua inserzione nell’ampio contesto della società, evidenziandone gli effetti su di essa e, se vogliamo, sulla storia degli uomini.

Peccato che si tratti di una definizione, e dunque di una concezione, che oggi va scemando, lasciando sempre più il posto a un concetto semi-barbarico del diritto, un concetto fondato esclusivamente sulla preminenza politica della statualità e della sua forza originaria, incondizionata, primitiva.

Viene meno il concetto romanistico e dantesco della proportio nel diritto, della sua funzione equilibratrice della società, di tutte le società, basata sul contemperamento razionale delle esigenze e degli interessi, sia degli individui che delle nazioni, un tramonto che lascia oggi sempre più spazio a quelle che invece sono le “sproporzionalità” dei rapporti di forza, senza giustificazioni, senza spiegazioni, o meglio con spiegazioni assurde, retoriche, sofistiche, propagandistiche.

La narrazione covidaria e vaccinista degli ultimi due anni e quella recentissima del conflitto ucraino, con tutti i suoi svariati protagonisti e modalità, hanno posto drammaticamente e scenograficamente in evidenza questa realtà montante, in cui le regole antiche e consolidate dei rapporti fra stato e individuo e degli stati fra di loro sono state soverchiate, da un lato, dalle situazioni emergenziali e, dall’altro, dalla dilagante arroganza di stati e organizzazioni sovra-statali, molto spesso, o quasi sempre, mossi e indirizzati da fortissimi interessi privatistici.

L’idea che anche le situazioni emergenziali possano e debbano essere in qualche modo limitate e regolate da alcune norme fondamentali e invalicabili sembra essere tramontata. Ora, nessuno che abbia un minimo di conoscenza storica si è mai illuso che anche in passato il predominio della forza bruta sulla ragione politica e giuridica non sia stato predominante: il racconto dell’aspro dialogo fra l’ambasceria ateniese e i Melii, riportato da Tucidide nella sua Guerra del Peloponneso, ne è un esempio illuminante. Ma, appunto, si trattava di tempi antichi e fondamentalmente brutali.

Quello che stupisce è che oggi -in un mondo molto  più civilizzato, un mondo in cui si esterna verbosamente e rumorosamente di convivenza, solidarietà, rispetto reciproco, regole, principi di civiltà, valori condivisi- in un mondo del genere gli stati, con spensierata indifferenza, ricorrano appena possono alla forza bruta verso i propri cittadini e verso gli altri stati calpestando senza problemi quella proportio di cui diceva Dante sette secoli fa.

Lo abbiamo visto nell’emergenza, o pseudo-emergenza, covidaria. Non solo le regole poste a fondamento della nostra società, come quelle costituzionali, sono state ignorate o stravolte, cosa su cui ci siamo intrattenuti ampiamente in tempi recenti su questo giornale, ma anche la normativa più ordinaria e quotidiana è stata confezionata e applicata con approssimazione, ignoranza, arbitrarietà: dalle autocertificazioni ai controlli polizieschi affidati a soggetti non legittimati, dall’utilizzo spericolato di atti amministrativi per comprimere le libertà costituzionali alle violazioni della riservatezza personale, dalla sovrapposizione a ondate confusionarie di indecifrabili provvedimenti di emergenza al caos degli obblighi vaccinali sino all’infamia della privazione del lavoro per i non punturati.

Il tutto ammantato di retorica, fobia comunicativa, irrazionalità scientifica, ossessione burocratica ed emergenziale. Tutto permesso, giustificato, esaltato dalle esigenze di uno stato di emergenza anch’esso normato al di fuori di ogni logica giuridica. Un grande cimitero del diritto, di cui nessuno vuole rendere conto e che solo ora, timidamente, come avevamo auspicato qualche settimana fa, comincia ad attirare l’attenzione della magistratura, come nel caso recentissimo dell’ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia con cui sono state portate all’attenzione della Corte Costituzionale le macroscopiche illegittimità di alcune norme sanitarie, basandosi forse per la prima volta anche su approfondite considerazioni scientifiche e non più solo giuridiche.

Ma è stato il conflitto ucraino a far emergere questa tendenza barbarica anche nell’ambito del diritto e delle relazioni internazionali. Anche qui, nessuno vuol far credere che i rapporti fra stati siano minuetti regolati dal bon ton diplomatico o dalle regole pattizie e consuetudinarie del diritto internazionale: la narrazione di Tucidide, di cui dicevamo all’inizio, ce lo ricorda da secoli. La storia è una landa di macerie e di  vite spezzate dalla forza brutale degli eserciti e delle soldataglie al servizio dei più svariati potenti psicopatici. Ma anche qui si sperava che la civiltà qualche passo in avanti l’avesse fatto, soprattutto nell’era della globalizzazione e della comunicazione planetaria che, in teoria, avrebbe dovuto diffondere anche i valori condivisi dell’umanità.

E invece no. La crisi ucraina, limitata all’inizio fra invasori ed invasi, ha prodotto una serie infinita di effetti nefasti a livello globale, coinvolgendo nazioni, organizzazioni internazionali, capi di governo, sistemi politici ed economici. Ma, soprattutto, provocando un degrado impressionante delle regole giuridiche generalmente accettate in un crescendo di dichiarazioni urlate, decisioni assurde, abbattimento di ogni criterio di razionalità, proporzionalità, rispetto reciproco, anche fra avversari.

Un linguaggio sempre più odiosamente aggressivo da parte di quasi tutti i capi di governo (lodevole eccezione la misurata e pragmatica Cina) si è affiancato a provvedimenti profondamente illiberali come la chiusura o l’oscuramento dei mezzi di comunicazione accusati di propaganda “nemica”, il sequestro del tutto arbitrario dei beni di cittadini, imprese, istituzioni sospettati di legami col governo russo, o semplicemente perché russi, l’allontanamento brutale di opinionisti non allineati con la visione atlantista della crisi, l’invenzione da parte dei comunicatori ufficiali di notizie incontrollate e incontrollabili per alimentare l’odio etnico verso i popoli e i loro rappresentanti, gli insulti da taverna di capi di governo verso altri capi di governo, l’illecito  commercio statale di armi destinate a non si sa chi, l’istigazione alla guerra da parte di governi e mezzi di comunicazione, e molto altro ancora.

Assistiamo a un profondo sonno della ragione che ogni giorno genera i peggiori mostri bellici. Va detto però che l’isteria guerresca non è del tutto simmetrica, anche se si tratta di una considerazione pericolosamente filo-russa: se da un lato vi è sicuramente un Putin fortemente assertivo, duro, intransigente, ma fondamentalmente lucido (a dispetto della sua demonizzazione psichiatrica), dall’altra si assiste a un coro isterico e distonico di affermazioni belliciste dei vari leaders occidentali e dello stesso Zelensky che ogni giorno minacciano guerre mondiali, incubi nucleari, chimici, biologici;  leaders trascinati ma non guidati da un Biden letargico, ma tuttavia frenetico in certi momenti, che dà l’impressione di cercare solo l’incidente in grado, a un suo segnale, di scatenare l’inferno, come il personaggio di un vecchio film che alcuni forse ricordano ancora.

Ma, al di là di questa fiera della sguaiatezza bellicista e della precedente demenza sanitaria, che in fondo si ripetono in ogni momento buio della storia, ci accontenteremmo di un parziale ripristino della  elementare regola della razionalità e della proporzionalità nelle decisioni e nelle dichiarazioni politiche e, soprattutto, nella normativa interna e internazionale, visto che non sembra possibile contenere del tutto le psicosi dei responsabili (si fa per dire) delle nostre politiche nazionali e sovranazionali, quelli che un sapiente  contemporaneo ha chiamato “i padroni ciechi del mondo”.

Ci basterebbe un semplice, e magari parziale, ritorno alla proportio giuridica dantesca, tanto per sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato nella nostra vita quotidiana, cosa potremo fare o non fare domani, cosa progettare o non progettare della nostra vita. Desiderio minimalista ma forse realizzabile.

In fondo non ci vantavamo, noi “occidentali”, di essere i supremi difensori dello stato di diritto, dei grandi valori costituzionali, e del rispetto delle libertà individuali?

 

Elio Ambrogio - Vicedirettore 

 

 

 

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