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La morte in diretta che turba e seduce dagli schermi delle tivů
Mariupol, il carro armato russo individuato dal drone viene colpito e salta in diretta tivů
Gli sviluppi delle cronache di guerra hanno sdoganato scene forti che si ripetono sui format in un’escalation di scoop e ridondanti opinionisti
Articolo di Carlo Mariano Sartoris
Pubblicato in data 27/03/2022

Da oltre un mese la morte scorre “in diretta” sugli schermi delle tivù. Scoop per immagini: teatro in macerie; bagliori nella notte; i civili nel metrò; un blindato centrato; si gettano i morti nelle fosse comuni, una madre piange… I giornalisti sul campo osano, filmano, intervistano… Qualcuno muore. I giornalisti a mezzo busto intanto, riempiono gli schermi dei dibattiti e dei telegiornali. C’è molto da ipotizzare ogni giorno che passa.

La prima volta della morte “in diretta” risale al gennaio del 1991, durante quella “Tempesta del Deserto” scatenata nella 1ª guerra del Golfo. Cronache rese possibili dalle nuove tecnologie, anche se le tv erano ancora a tubo catodico. Non era mai successo prima di allora.

Durante l’attacco i giornalisti negli hotel, filmavano gli scoppi su Bagdad e laggiù qualcuno moriva. I missili cruise partivano dalla corazzata americana e l’obiettivo scompariva in una nube silenziosa di chirurgica morte tramandata in bianco e nero.

Allibiti spettatori occidentali seguivano la cronaca di quella guerra “giusta” e di breve durata. Kuwait liberato, 20.000 morti tra le truppe irachene, 10.000 civili per “danni collaterali”; missione compiuta, la cavalleria USANATO fece dietrofront dopo aver fatto piazza pulita.

Titoli di coda: pozzi di petrolio in fiamme e file di carri armati iracheni bruciati, equipaggio incluso. Il resto del peggio sarebbe andato in onda nella 2ª Guerra del Golfo con la distruzione dell’esercito iracheno (circa 50.000 morti) e 1.200.000 civili uccisi da armi, raid, attentati, conflitti interni e ogni altra forma di crudeltà, compresi abusi e torture da ambo le parti, fino al cappio per Saddam. Poi fu il turno del massacro libico e di Gheddafi ammazzato come un cane a Sirte, a fare il giro di ogni canale.

Vite spente, ma immortalate nei servizi in onda all’ora di cena. Prima delle cronache da Bagdad, non era successo mai. Nel frattempo, la morte, quella vera è stata sdoganata fino alle raggelanti brutalità dell’Isis, diventando quasi una realtà astratta e lontana che ci tocca, ma non più come un tempo.

In questa guerra europea infine, l’atrocità in tempo reale si è fatta più vicina e ha compiuto importanti passi avanti.

Da oltre un mese, da Leopoli a Kiev, e poi giù lungo il bacino Dnepr fino al Mar Nero le immagini di guerra ci aggiornano, ci dividono, ci ledono fatue certezze. Sono immagini forti, talvolta fabbricate ad hoc, altre incrociate e filtrate, ma sovente, reali e crude, sparate dentro al Web e spesso seguite da un cinico scambio di accuse e di smentite che si incrociano sui social, nuova frontiera dei combattenti da tastiera e degli appassionati di Risiko.

Difatti, questo è il primo conflitto dei social, degli iPhone, degli hacker, delle interviste per strada, delle fake news diventate virali e dei redattori fai da te; giovani autocronisti che pontificano, filmano e divulgano l’orrore in rete, parteggiando a seconda dell’appartenenza del pensiero.

Rivelatori di manipolazione mediatica hanno segnalato come fake news già i primi filmati che riportavano i jet russi sui cieli di Kiev (immagini di repertorio), alla ragazza sul pullman che stringe un Kalashnikov (che circolava dal 2020), al tank che pesta un’utilitaria (è del 2016 e riporta un incidente stradale), fino alle ipotesi di Putin malato di tumore.

Immagini toccanti e false news destinate a catturare consenso popolare, fregando anche inidonei cronisti e scadenti politici, scioccati da furbi giocolieri di illusioni, senza approfondirne le fonti.

L’attuale guerra russo ucraina è più che mai mediatica. La prima dove un presidente guerriero, parafrasando Churchill e parlando a braccio da un ipotetico bunker, ha messo in imbarazzo tutti i damerini di ogni parlamento occidentale, chiamando al confronto diretto l’avversario russo, austero e incravattato che in un duello televisivo non avrebbe scampo, e lo sa.

La guerra dello zar è diventata un ossessivo happening da Tg per cronisti e giornaliste, improvvisati specialisti in “War Game” che spostano i simboli delle armate rosse e gialle sui campi di battaglia, spiegando scontri e strategie, eccitati dalla durezza del combattimento. È intollerabile la recita servile della propaganda ufficiale e censurata che, soprattutto nelle prime fasi dell’invasione, ha omesso fatti noti e antecedenti che pian piano poi, si sono fatti avanti. Anche peggio per l’informazione purgata dell’altro versante del fronte.

Ma che fine hanno fatto i piani segreti e gli intrecci di spie? Minacciose dichiarazioni dei capi di Stato espresse alla tv fanno il giro del mondo: sanzioni & gas, l’apoteosi del controsenso; armi chimiche punto di non ritorno; Mario Draghi fa il galletto esibendo al nemico-amico russo l’invio a Kiev di missili anticarro; e intanto, dall’altra parte del mondo, Cina, India e Pakistan, furbi attori nel gioco di ruolo, prendono nota e tirano i dadi per un Nuovo Ordine Asiatico che sovvertirà la leadership occidentale.

Dopo il Tg, è il turno dei format di prima e seconda serata. Terreni di aspro scontro tra falchi bersaglieri, colombe, esperti e qualche militare di carriera, intenti a superarsi in faziosità e in un'allerta critica che turba e autorizza catastrofici scenari. La parola pace è poco frequente. Ultimamente la usa bene solo Papa Francesco.

Quotidianità di un’informazione che, con l’andar del tempo e dell'evoluzione della tecnologia, ha portato l’orrore della guerra all’interno delle nostre case. Fotogrammi di umana sofferenza proposti e riciclati da valenti giornalisti, accesi dalla voce grossa dei leader politici. E mentre il dramma si consuma ad est dei Carpazi, la cruda realtà della morte che si spalma sugli schermi piatti delle tivù, penetra nelle sinapsi dei nostri cervelli, ferisce il buon senso e attizza il lato oscuro della crudeltà latente, assumendo un volto di familiare normalità.

Così l’evoluzione nel cinema e nelle serie Tv, che in pochi anni sono passati da fotogrammi di morte dalla misurata efferatezza, a immagini sempre più raccapriccianti e sanguinarie storie di horror e serial killer. Dunque, il sangue vero o contraffatto, ormai scorre a fiumi per immagini e confonde le coscienze. Ma quel che non si ribella dentro, forse sussurra che non è tanto tremendo ciò che accade più o meno veramente. Tremendo è ciò a cui ci siamo abituati e che in fondo ci seduce, lato violento della nostra specie che indugia in remote reminiscenze.

 

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