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L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Cosa si profila oltre il gran serraglio del governo Draghi?
Forse non ci ricordiamo che dal 2011, i presidenti del consiglio pro tempore non sono passati attraverso il vaglio elettorale
Articolo di L'Editoriale
Pubblicato in data 03/04/2022

Pandemia prima e guerra oggi, hanno contribuito ancora a ridurre il parlamento a una conventicola di yes men, che a volte rumoreggiano all’esterno e sui giornali, ma poi non sono in grado neppure di esprimere punti di vista con contributi apprezzabili. Votano e basta ed  in più occasioni, il governo contingenta i tempi per la discussione. Sarebbe quindi il caso che alla scadenza naturale delle legislatura, il cittadino potesse recarsi alle urne, ma non si conosce ancora con quale legge elettorale potremo esprimere il voto.

Sarebbe già importante che il governo indicesse le elezioni. Se poi i partiti, perdendo la pretesa di conservare il potere assoluto di veto,  ci permettessero di scegliere il candidato introducendo il voto di preferenza, sarebbe ancor meglio. Sul sistema elettorale si continua a parlare di coalizioni e non di singoli partiti. Ma qual è lo stato dell’arte?

La legislatura in corso, potremo definirla la peggiore e sconclusionata del dopoguerra. Centro destra e centro sinistra, di fronte all’irruenza numerica e vacua del grillini, si sono affrettati a recepire la demagogia delle loro proposte e, in maggioranza come all’opposizione, hanno inaugurato una stagione politica che ha accantonato il riformismo e le strategie indispensabili per varcare il futuro (vedi la mancanza del piano energetico, e il divario delle infrastrutture, di stringete attualità), per imboccata la via della demagogia ed accentuare il clientelismo. Tutto il contrario del perseguimento del” Bene Comune”.

Il qualunquismo, il varo dei contributi a pioggia, la demagogia di soddisfare l’immediato, senza un briciolo di strategia, la stagione dell’uno vale uno a scapito delle competenze e dei diritti , per citare le linee di fondo sulle quali si sono mossi e compiaciuti tutti, rispettivamente con il primo e secondo governo Conte.

L’esperienza nefasta del  governo gialloverde, con il varo del reddito di cittadinanza, già concepito a maglie larghe per includere ogni tipo di richiesta, e di norme  che hanno facilitato il pensionamento anticipato a carico della fiscalità, lo attestano. Quell’esperienza, della Lega al Governo con il M5S è fallita dopo due anni ed è stata sostituita dall’intesa giallorossa nata all’insegna del trasformismo di Giuseppe Conte, capace di guidare entrambe le maggioranze restando a Palazzo Chigi.

L’elettorato, non vive tutto sulla luna e quando può esprimersi, si fa sentire. Nell’autunno dello scorso anno, si sono tenute elezioni amministrative significative ed il centro destra ha manifestato tutta la sua inadeguatezza ed è stato pesantemente punito dagli elettori, senza reagire o cercare di sentirsi maggiormente partecipe.

E’ così emerso il vero tarlo del centrodestra: l’incapacità di fare i conti con la realtà! E, all’occorrenza, trarre le dovute conseguenze.

Possibile che una sconfitta tanto eclatante (soprattutto se paragonata ai super sondaggi dei mesi precedenti che vedevano il centrodestra in rampa di lancio) non abbia indotto nessun leader ad una riflessione sulla sua reale adeguatezza?

E’ cosa assai più preoccupante, che nessuno, nel centro destra, abbia l’onesta intellettuale, la serietà politica e la lungimiranza strategica di pretendere un confronto; di esigere l’apertura di una riflessione interna anche aspra, ruvida ma autentica. E’ apparsa disarmante come l’analisi della sconfitta si voglia ridurre ad una valutazione contabile dei voti (e del non voto) senza l’imperativo di volare più in alto e, all’occorrenza, mettere in discussione la linea politica e, con essa, la leadership che l’ha incarnata.

Persino le motivazioni addotte: astensione, ritardo nella scelta dei candidati, inadeguatezza delle personalità individuate, competizione eccessiva per la guida della coalizione, risuonano come ulteriori, feroci e -definitivi- atti di accusa.

Da successivi e attualissimi sondaggi, risulta che la premiata sia Giorgia Meloni. La ragazza ha dialettica ed affronta i problemi sul tappeto, facilitata anche perchè è collocata all’opposizione. Alla faccia dei sondaggi, ci chiediamo se sia concepibile per un liberale o un fautore dell’economia di mercato, dare il voto ad un partito che affonda il suo humus in politiche ed interventi assistenziali e considera ancora il parassitismo e centralismo di stato e parastato come isole da tutelare ?

Il secondo Conte, travolto da scandali ed inazione nell’affrontare la pandemia, è caduto  sotto i colpi incrociati di maggioranza ed opposizione, con la presenza vigile del Quirinale. L’irresponsabilità dei partiti prosegue ed è ancor più deleteria, se consideriamo quel che poi è successo.

L’arrivo di Mario Draghi dopo il naufragio anche della liaison tra Pd e M5S, attesta la mancanza di autorevoli candidature  politiche in un momento grave per il Paese; come si è visto in modo eloquente nella gara per il Quirinale con i giochi trasversali sulle candidature presentate ed uccise sul nascere.

L’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Putin, sta anche creando disorientamento trai nostri politicanti.

Nel centrodestra, gli infortuni di Salvini e i silenzi di Berlusconi, uniti alle mosse atlantiste di Giorgia Meloni, confermano una cesura sulla politica estera e di difesa che mal si concilia con un progetto di governo possibile.

Sono divaricazioni che affondano le loro radici nell’identità stessa delle forze che si assiepano in quell’unico contenitore creato una trentina di anni fa dal Cavaliere e da Bossi, con Fini relegato al centrosud. Il cemento è la convenienza, complice una legge elettorale che resta di tipo bipolarista, ma nei confronti della quale gli elettori mostrano vistosi segni di insofferenza e abbandono.

Per certi versi ancor più complicate sono le cose nel fronte opposto. La vera e decisiva novità politica sta nell’atteggiamento di forte e univoco sostegno a Kiev da parte di Enrico Letta, e nel rafforzato legame con Draghi.

Quella assunta dal segretario del Pd è una posizione che cerca di radicare il maggior partito della sinistra nel solco della conferma dell’appartenenza alla Ue e all’Occidente.

Di tutt’altro avviso, però, è il maggior alleato di Letta. I 5 Stelle infatti per un verso sulla guerra sono agnostici, per l’altro continuano a coltivare posizioni anti-sistema che se diventassero maggioritarie svellerebbero l’Italia dal suo tradizionale ancoraggio geo-politico.

Giuseppe Conte è ormai lontanissimo da essere “il fortissimo riferimento delle forze progressiste” secondo l’accezione zingarettiana. Ma resta fondamentale, benché prosciugato nei consensi, per qualunque ipotesi di successo elettorale del cartello di centrosinistra.

E dunque? Dunque Letta non può né tantomeno vuole ridimensionare la portata politica delle sue scelte. Al contrario, mira a farla diventare il perno del sistema-Paese. Il che costringe a pressare il M5S in particolare nella versione di Di Maio facendolo convergere, per rafforzarla, sull’agenda Draghi. Il rischio è una scissione pentastellata dai contorni e dalle conseguenze indecifrabili.

Nel frattempo, forze variamente centriste cercano di assumere un profilo identitario capace di essere riconoscibile dagli elettori. È il caso di Giovanni Toti e della sua “Italia al centro”. Ma anche lì tante e troppe sono le incognite, a partire dalle ambizioni di Calenda e dalla spregiudicatezza di Matteo Renzi. Ma sono personaggi privi di un riferimento di continuità e la linea politica coincide con l’aspetto umorale e la convenienza del leader. Sono poi divisi tra loro, nel contendersi la leadership. Operazione di potere, quindi.

Insomma l’Italia si avvicina alle elezioni del prossimo anno con una legge elettorale che costringe alle coalizioni mentre queste ultime appaiono sempre più “liquide” e smembrate. Sempre che la politica non s’ammacchi ulteriormente il 12 giugno, quando sono state indette elezioni amministrative parziali.

È possibile – e magari a questo punto auspicabile – che il dramma della guerra ridisegni leadership e schieramenti. Perché l’Italia ha bisogno come il pane di una guida sicura e di una maggioranza adeguata alle sfide che ci attendono. L’esito della guerra e la posizione a volte estemporanea come quella assunta nei giorni scorsi da Conte, sugli armamenti, potrebbero contribuire a far pendere la bilancio in una direzione o nell’altra. Ma Conte, ancora una volta ha dimostrato di essere un funambolo e di non credere neppure lui in quel che afferma.

Recita una parte per dimostrare che si erge a portavoce di scontenti e benpensanti, ma la greppia governativa lo attrae sempre di più.

Ha minacciato ferro e fuoco, poi al senato giovedì scorso è passato il voto di fiducia e Draghi prosegue la sua corsa.

In una società liquida come la nostra, in un anno, tante cose potrebbero mutare, a situazioni capovolte.

Se i leader non avranno il coraggio di compier  scelte di chiarezza e discontinuità e presenteranno agli elettori i soliti noti, già reduci da ben altri fallimenti, ma sempre in sella, la sterzata potrebbe arrivare dalla urne.

Altre forze emergenti, ma soprattutto credibili, se incontrassero consenso già alle amministrative del 12 giugno, potrebbero per lo meno azzoppare i ronzini  di oggi.

Altrimenti sarà il caos!

 

Francesco Rossa - Condirettore Responsabile e Direttore Editoriale

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