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Il 28 giugno (15 giugno), data fatidica per i serbi
Battaglia del Kosovo (Adam Stefanovic?, 1870)
di Kalemegdan (Prima Parte)
Articolo di Milo Julini
Pubblicato in data 28/06/2022

Proponiamo ai Lettori di Civico20News queste considerazioni sul 28 giugno, data fatidica per i serbi, esposte da uno studioso torinese, che si firma con lo pseudonimo di Kalemegdan, il quale sa affrontare con competenza questa complessa tematica. Nel ringraziare l’Autore per la sua collaborazione, auguriamo buona lettura (m.j.).

 

Il 28 giugno per il calendario gregoriano (il 15 per quello giuliano), giorno di San Vito o Vidovdan, è una data importante che è profondamente penetrata nella mentalità serba, un vero e proprio modo di identificarsi. È la data che ricorda la sconfitta della battaglia di Kosovo o Campo dei Merli (Kosovo Polje - 28 giugno 1389), in cui principi e nobili bosniaci, serbi, bulgari, valacchi, croati e albanesi, vennero sconfitti dai turchi ottomani.

Tale giorno è divenuto una festa religiosa in seno alla chiesa ortodossa autocefala serba e insieme una festa nazionale dai connotati fortemente politici.

Il 28 giugno 1881 venne firmata la Convenzione Segreta tra Serbia e Austria-Ungheria che affermava un’alleanza esclusiva tra le due nazioni; il 28 giugno 1914 avvenne l’attentato di Sarajevo, il 28 giugno 1919 venne firmato il Trattato di Versailles (la Serbia fu il primo paese ad essere aggredito e invaso, prima dall’Austria e poi dalla Germania e dalla Bulgaria), il 28 giugno 1921 re Alessandro I Karadjordjevic promulga la Costituzione del Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (SHS) o “Vidovdanski ustav”.

Il 28 giugno 1948 il Kominform, su istanza dei delegati del suo Soviet condanna la leadership jugoslava e “scomunica” Tito: rottura tra Belgrado e Mosca.

La data non venne scelta a caso dai sovietici onde prendersi gioco di Belgrado, ove tra l’altro il Kominform aveva sede.

Il 28 giugno 1989 nel 600° anniversario della battaglia di Kosovo, Slobodan Milosevic, leader dei comunisti serbi, tenne il famoso discorso sulle origini serbe del Kosovo, in ciò stimolato, come vedremo, anche dalla chiesa ortodossa serba.

Il 28 giugno 1990 viene varata la revisione della Costituzione croata che elimina il riferimento ai serbi come popolo costitutivo della costruenda nazione croata. Divennero una semplice minoranza etnica. Inizia così la “balvan revolucija” o rivoluzione delle barricate con i serbi delle Krajine o Confini Militari, che si autocontrollano desiderando il distacco da Zagabria. Anche qui la data non venne scelta a caso.

Il 28 giugno 2001 Slobodan Milosevic, arrestato, viene trasferito all’Aja ove morirà misteriosamente in carcere nel 2006. Anche qui il Tribunale dell’Aja scelse la data con cura e se da un lato la possiamo considerare identità serba, dall’altro certamente vi sono sottintesi un certo distacco e una certa ironia di fondo.

Il 28 giugno 2006 il Montenegro diviene il 192° Stato dell’ONU, dominato dagli autonomisti avversi a Belgrado.

Probabilmente non si riesce a ricordare tutti i vari 28 giugno ma i principali sono stati qui elencati.

 

Le origini di Vidovdan (serbo) o Vidovden (bulgaro)

È una festa che viene pure celebrata nelle regioni bulgare occidentali confinanti con la Serbia oltre che nella stessa Serbia. All’origine vi fu la divinità pagana di Vido o Vidyo, che proteggeva dalla grandine. Con l’avvento del Cristianesimo tale giorno si lega a San Vito (Vid o Vit) il cui culto si espanse in Serbia e in tali regioni bulgare.

Secondo Vera Georgieva (Vidovden, Sofia, 1986) tale espansione si ebbe a causa dei minatori sassoni nel medioevo. Costoro infatti erano cristiani e lavorarono a lungo nelle miniere locali, tanto che quando i turchi ottomani invasero tali terre, diedero loro uno statuto speciale. Ma Vidovdan era dedicato sia al sole che alla vista. Per esempio, nel Dizionario mitologico serbo (Belgrado, 1970) a p. 65, si dice come nel giorno di Vidovdan venga raccolta l’erba “vidovcica” o erba che deterge gli occhi e li cura, secondo la medicina popolare.

Al giorno 28 giugno, detentore di culti pagani legati anche a filtri d’amore soprattutto per le ragazze e alla festa di S. Vito, si viene a sovrapporre la data della battaglia di Kosovo da cui derivano sia dei miti che un uso politico della storia.

 

Battaglia di Kosovo e conseguenze letterarie sul popolo serbo

Sinteticamente nella battaglia di Kosovo del 28 giugno 1389 avvenne che il principe serbo Lazar Hrebeljanovi? si alleò con Tvtko I Kotromanic, signore di Bosnia, che aveva ricevuto la corona dal re d’Ungheria ed era pure stato proclamato re dei serbi. Quarantamila turchi capeggiati dal sultano Murad I si scontrarono con venticinquemila cristiani. Non vi sono dati storici certi sulla battaglia ma solo un ciclo epico che la descrive. Il sultano venne assassinato a tradimento prima della battaglia, nella propria tenda, da Milos Obilic e i turchi vennero quindi condotti dal figlio di Murad, Bajazid, che sbaragliò i cristiani anche per il tradimento di Vuk Brankovic genero di Lazar. Costui venne catturato, imprigionato e decapitato davanti alle spoglie di Murad.

Una sconfitta cui si accompagnano i temi della resurrezione e della speranza, la cui base sta nel martirio di questi soldati che diedero la vita per la patria e per la fede, per cui Dio avrebbe protetto il suo popolo salvandolo dalla schiavitù; una sorta quindi di “popolo eletto” (cfr. Thomas A. Emmert, Il Golgota serbo: Kosovo 1389-1990, Columbia University Press, N.Y, 1990).

Al di là dell’uso letterario di tale epica, il che ci immetterebbe in un lungo discorso secondo cui i serbi non ebbero mai un’epica fino al XIX secolo quando questi canti, secondo la tradizione, vennero raccolti e studiati da Vuk Karadzic, occorre mettere in chiaro alcuni concetti.

Nel XVIII secolo c’è una letteratura serba tributaria di diverse influenze del barocco russo e ucraino e molte opere sono scritte in russo, in slavone ecclesiastico o in demotico.

Seconda cosa, l’epica serba non sarebbe propria del territorio serbo ma proverrebbe dall’Erzegovina, dalla Bosnia, dal Montenegro e dalla Serbia meridionale intesa come Kosovo. (August Dozen, La poesie populaire serbe, Paris, 1859, p. 3, Conversazione del Dozen con l’amico Vuk Karadži?). Del resto, l’etnografo russo Pavle Apolonovic Rovinski che fu in Serbia, Kosovo e Montenegro nel 1860, scrive a p. 23 del suo “Cernagorije” (Montenegro), che il guzle (specie di liuto) in Serbia è poco noto. Inoltre, i serbi emigrati nei territori allora ungheresi non portarono appresso alcun canto epico.

Durante lo Stato medievale serbo sia il guzle che il canto epico non vennero coltivati. Alla base di ciò stanno diversi motivi politici e religiosi; non si poteva accettare infatti che i rapsodi cantassero contro gli stessi re serbi. Durante il dominio ottomano poi, i serbi, come raja erano schiavi liberi che dovevano lavorare per i padroni turchi di cui spesso abbracciarono la fede (pòturi). Quindi, sia per non contraddire Bisanzio che successivamente i re serbi e infine gli ottomani, non si poté sviluppare un’epica eroica che inevitabilmente avrebbe potuto essere talvolta critica verso il potere sia politico che religioso. Di solito poi l’epica fiorisce in un popolo aggredito ma i serbi furono quasi sempre aggressori (grande impero medievale serbo) mentre gli altri popoli erano nel novero degli aggrediti o dai serbi o dai turchi.

Fonte primaria delle tredici canzoni dedicate alla battaglia di Kosovo non è quindi la tradizione orale ma sono le cronache scritte perché la chiesa ortodossa serba proibì la poesia epica in quanto pagana nei protagonisti e negli intenti. Sulla base delle cronache invece, il ciclo epico “ricostruito” identifica il potere temporale con la religione ortodossa serba. La commistione dei due poteri è così intima che negli anni tra le due guerre, quando Milan Stojadinovic, cercò di imporre il Concordato tra Stato e Chiesa onde separarne le reciproche sfere d’influenza, fallì miseramente.

Negli anni ’30 del XV secolo compare la prima cronaca che racconta il martirio di Lazar in battaglia oltre all’uccisione del sultano da parte di un eroe serbo che tese un tranello allo stesso.

Dopo la canonizzazione di Lazar, nei due secoli successivi vennero aggiunti elementi liturgico -ecclesiastici come la cena precedente lo scontro ispirata all’Ultima Cena.

È un fatto curioso che Mavro Orbini, un umanista raguseo, nel “Regno degli Slavi” (Kraljestvo Slavena, Zagreb, 1999, p. 380 e ss.) del 1601, abbia radunato in tale cronaca dettagliata, tutti gli elementi poi rintracciabili nel ciclo epico. Qui compaiono per la prima volta per nome, Milos Obilic e il traditore Vuk Brankovic.

Nel 1690 vi fu la fuga delle gerarchie ortodosse dal Kosovo e venne scritta un’altra versione della storia ove comparivano solo serbi come difensori della loro terra e dell’ortodossia.

All’inizio del XIX secolo J. G. Herder e i fratelli Grimm tradussero il ciclo di Kosovo in tedesco per farla conoscere in Europa rimodellando il tutto secondo i principi romantici. Tra l’altro tutte le canzoni epiche serbe venivano cantate in “bugarstice” ossia erano influenzate dalla musica popolare bulgara, il tutto in decasillabi, così come il mito dei fratelli Jugovic e della loro madre.

Nel 1804 iniziarono le rivolte serbe e si instaura subito il mito di Giorgio il Nero o Karadjordjevic (cognome turco e serbo insieme), in origine un guardiano di porci, aiutate dalla Russia imperiale e nel 1809 Filip Visnic, bosniaco, si mette in cammino verso la Serbia cantando il primo canto epico “Pocetak bune protiv dahija - L’inizio della rivolta contro i dahis” (o capi giannizzeri).

Vuk raccolse quindi canzoni da territori adiacenti alla Serbia e il ciclo di Kosovo è il più corposo. Ciò non possiede alcuna solidità dal punto di vista storico ma è solo una visione epica e mitica.

Vuk Stefanovic Karadzic resta comunque anche il padre della lingua serba e tutta la materia epica serba, onde corroborare diversi miti nazionali, venne fantasiosamente riportata al mito dei cantori ciechi quasi fossero degli omerici serbi che mai esistettero.

L’ultima anomalia da rilevare è che l’epica si forma nel momento in cui i fatti accadono o poco dopo e qui tutto invece prende vita da cronache che si susseguono nel tempo, secoli dopo dagli eventi che nell’immediato non mutuarono nulla, almeno in Serbia.

Fine della prima parte - Continua

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