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Geppe il brigante
Coraggio, amore, tradimento e un tesoro nascosto, nel libro di Stefano Garzaro
Articolo di Milo Julini
Pubblicato in data 19/07/2022

È il 1864 e Geppe, quindicenne servo contadino di Monforte, nelle colline delle Langhe, scende per la prima volta verso la Capitale, Torino, pieno di aspettative. Ma l’entusiasmo per la grande città si dissolve rapidamente: non appena vi mette piede, Geppe si perde e finisce nel bel mezzo dei tumulti delle “giornate di sangue” di settembre, conseguenti al trasferimento della Capitale a Firenze.

Si apre così “Geppe il brigante”, il libro che Stefano Garzaro ha pubblicato per Einaudi Ragazzi (2020).

Devo confessare di muovermi a disagio nella letteratura per i giovani. La mia vita professionale, ma soprattutto quella familiare priva di figli e di nipoti, non mi ha dato esperienze vissute sui gusti letterari del mondo giovanile. Mi è quindi difficile valutare l’interesse per questo tipo di libri da parte dei loro reali destinatari.

Ciò premesso, devo riconoscere che Stefano Garzaro ha saputo trasfondere in questo libro, pur con qualche volo pindarico di fantasia, molti degli elementi “leggendari” torinesi - quelli che, in misura maggiore o minore, sono noti al grande pubblico - mescolandoli sapientemente ad altri che emergono da una sua assidua frequentazione dei testi di storia locale della nostra regione.

Nella prima parte, dal titolo “I briganti del Moschino”, vediamo il nostro protagonista, braccato dalla polizia che lo crede un agitatore dopo i tumulti del settembre 1864, rifugiarsi nel Borgo del Moschino. Qui entra nella banda del Bambin, capobanda che rivisita il reale Cit ëd Vanchija, e pare aver trovato l’occasione buona per vendicarsi delle ingiustizie subite in passato, alla fattoria di Monforte. Ma Geppe deve abbandonare Torino dopo un rovinoso combattimento per sfida della sua banda con i rivali della banda del Gambero, dove si sente l’eco di un classico della letteratura in lingua piemontese, “La còca dël gamber” di Luigi Pietracqua. La prima parte si conclude con l’esecuzione capitale del Bambin e l’esordio della travagliata storia d’amore di Geppe con Susanna, la protagonista femminile.

Nella seconda parte, “I raminghi delle colline”, l’azione si sposta a Monforte, nelle Langhe, e vi prosegue anche per parecchie pagine della parte conclusiva, intitolata “La notte della battaglia”.

Mentre le avventure si susseguono con ritmo vorticoso, assistiamo a uno scontro tra il bene e il male: il primo è impersonato dal conte Filippo Falletti, fautore della scuola agraria scientifica cavourriana e sostenitore di idee ugualitarie, tanto da proporre nella sua fattoria uno stile di vita dove tutti sono uguali, fratelli e protagonisti.

Il male è incarnato dal crudele bandito Delmastro, rivisitazione del feroce bandito Francesco Delpero, vero terrore del Roero nel 1857.

Garzaro può così proporre in tono non pedante uno dei messaggi educativi del suo libro: ricusare il mito del brigante giustiziere del popolo, nell’idea che per difendere i propri diritti sia necessario organizzarsi, non affidarsi a improbabili Robin Hood.

Il cammino di Geppe, ricco di avventure, scoperte, amori, tradimenti, si conclude a Torino, dove il nostro protagonista si mette alla ricerca del tesoro nascosto del Bambin, il capobanda del Moschino, e lo trova nelle gallerie della Cittadella.

L’epilogo, nell’aprile del 1889, ci mostra Geppe divenuto l’avvocato Giuseppe Valfrè, e Susanna, scrittrice affermata, che ritornano al borgo del Moschino, ormai risanato e salubre, nel giorno dell’inaugurazione della Mole Antonelliana. Si impegneranno con passione in favore delle mondine vercellesi, lei con i suoi scritti e lui con la sua competenza legale.

Siamo in presenza di un romanzo di formazione, rivolto a temi universali quali l’amicizia, l’amore, la ricerca di confini etici e di valori in cui credere. I messaggi educativi, come già detto in precedenza, paiono essere stati forniti senza pedanteria e toni cattedratici, per quanto può valere il mio giudizio di settantenne.

Per quanto concerne gli aspetti storici, soprattutto quelli riguardanti la microstoria criminale evocata dalla trama di “Geppe il brigante”, devo ammettere che qualche volta le licenze poetiche che l’autore si concede (spostamenti nel tempo di eventi reali, ricostruzioni un po’ fantasiose, personaggi femminili anacronistici) di primo acchito mi abbiano lasciato interdetto. Mi auguro che la trama, sicuramente gradevole e coinvolgente, possa indurre i giovani lettori ad approfondire la conoscenza dei molteplici aspetti della storia torinese prospettati da Garzaro con adeguati testi di saggistica.

 

Stefano Garzaro è nato nel 1956 a Torino, città in cui risiede. Ormai da quarant’anni è impegnato nell’editoria, principalmente in quella scolastica.

Ha pubblicato numerose ricerche di storia locale, dai valichi alpini (il Sempione, il Fréjus, la Valle d’Aosta) ai borghi torinesi, cercando di privilegiare le storie delle persone rispetto alle strutture economiche e di pensiero.

È collaboratore fisso della rivista «Torino Storia», dalla fondazione. Nel 2015 è uscito il suo primo romanzo che ha ricevuto una menzione nel «Premio Cesare Pavese».

 

Stefano Garzaro

Geppe il brigante

Copertina di Iacopo Bruno - Einaudi Ragazzi - 2020 - Pp. 256 - € 12,00

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