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La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini
La bella truffatrice
Articolo di Milo Julini
Pubblicato in data 07/08/2022

Torniamo a occuparci del pantheon femminile delle truffatrici con questa “signora” che ha avuto un attimo di gloria sui giornali torinesi del 1952, precisamente sul finire del novembre di quell’anno.

Amedea Giovinetti, di 32 anni, nata a Napoli e domiciliata a Milano in via Sant’Antonio 20, esordisce su La Stampa del 25 novembre con una notizia proveniente da Napoli sotto il titolo Braccata dalla polizia una bella truffatrice.

Leggiamo:

Napoli, 24 novembre.

Da alcuni giorni i funzionari della Squadra mobile di Napoli, in collegamento con i funzionari delle questure di Roma e di Milano, svolgono attivissime indagini per la cattura [di Amedea Giovinetti].

La Giovinetti è autrice di audaci e sensazionali truffe che hanno messo in allarme tutto l’ambiente dei commercianti napoletani. La donna, bellissima e vestita con estrema eleganza, era solita presentarsi alle vittime designate come «contessa Marzotto», «contessa Alemagna», o «vedova Zegna».

Tali nomi, naturalmente, non mancavano di ottenere effetti insperati sicché in pochi giorni sono caduti nella rete tesa dalla sedicente contessa, direttori di albergo, proprietari di trattorie e perfino di farmacie.

Ma la più clamorosa gesta è stata compiuta in danno della ditta Mele in vico Berio 4, ove dopo avere ordinato quattro pellicce di gran valore la fantomatica nobildonna, col beneplacito del proprietario, si è allontanata indossando un mantello di astrakan del prezzo di 750 mila lire con l’intesa naturalmente, che avrebbe pagato tutto alla consegna della merce al suo domicilio in via Orazio 32. Inutile aggiungere che a quell’indirizzo la donna era del tutto sconosciuta.

La Giovinetti s’è allontanata da Napoli a spese d’un noto autonoleggiatore, Umberto Bonfantino, dal quale si è fatta accompagnare in auto a Roma. Discesa dinanzi al Palazzo di Giustizia la donna ha pregato il Bonfantino di attenderla dovendo incontrarsi, prima di recarsi in albergo, con il suo legale.

L’autonoleggiatore, dopo aver invano atteso il ritorno della fantomatica contessa, è ritornato a Napoli e ha anche egli denunciato la singolare truffatrice ai funzionari della nostra questura.

Nello stesso giorno, Amedea Giovinetti è giunta a Torino. Scende in un lussuoso albergo nei pressi della stazione di Porta Nuova. Indossa il mantello di astrakan frutto del suo ultimo colpo. Alla reception dell’albergo si presenta come dottoressa Simonetta Cirio, nipote del noto industriale conserviero napoletano, nata a Capri e residente a S. Giovanni a Teduccio. Al nome altisonante di Cirio si uniscono la sua bellezza e la sua estrema eleganza, tutti elementi che destano una certa attenzione fra gli altri clienti.

Subito Amedea si attiva secondo il suo consolidato modus operandi.

Si reca in un negozio di pelletterie in via Roma dove sceglie tre borsette di coccodrillo. Prega la commessa di metterle da parte, dicendo che le avrebbe fatte ritirare, poi se ne va, «dimenticandosene» una al suo braccio.

Al colpo della borsetta, il giornale associa una sua visita al gioielliere Fürst, dove si trattiene per circa un’ora, sceglie con cura e buon gusto una serie di monili per un valore complessivo di oltre un milione di lire, poi si accorda per passare a ritirarli il giorno seguente. Ma a quanto pare non si è portata via nulla.

Nel mattino del 26 novembre si presentano all’albergo il dottor Vitolo e il dottor De Luca del Commissariato Monviso e pregano la donna di seguirli in ufficio. Dopo un interrogatorio alquanto vivace, la donna confessa i suoi colpi e ammette di essere Amedea Giovinetti. Dichiarata in arresto, è accompagnata in Questura: in tasca ha duecento lire. È ricercata dalle Questure di Roma, Napoli e Milano per truffe compiute ai danni di commercianti, alberghi, ristoranti e perfino farmacie di quelle città.

Da notare che inizialmente i cronisti parlano di una sua permanenza a Torino di alcuni giorni, come se per loro fosse impossibile che la donna abbia saputo mettersi subito in azione con successo appena giunta in città. Tra l’altro, il giorno del suo arrivo, La Stampa ha pubblicato la notizia delle sue imprese napoletane e della sua fuga a Roma!

Si torna a parlare di Amedea su La Stampa del 31 gennaio 1953: il giorno precedente è comparsa dinanzi al pretore per rispondere del furto della borsetta di coccodrillo. Nel riferire l’esito al processo di quella che definisce «la bella e formosa vedova napoletana», il cronista riferisce ulteriori, drammatici, particolari sulla sua personalità:

Alla polizia era stata descritta come donna diabolicamente astuta. Invece è una infelice che sconvolta dalla perdita del marito morto, in un incidente automobilistico, cercò di soffocare il dolore nel paradiso artificiale degli stupefacenti e, pur di procurarseli, non esitò a commettere truffe e furti. Ha quattro bambini e ne attende un quinto.

Appartiene a una distinta famiglia ed è laureata in filosofia. La vecchia madre l’ha accompagnata in udienza e piangendo ha pregato il pretore che provvedesse affinché la figlia fosse ricoverata in una casa di cura perché «è un crimine - ha detto - lasciare in libertà una persona che non è più padrona di se stessa».

Il Pubblico Ministero ha chiesto per l’imputata 10 mesi di reclusione; il pretore, sentita l’arringa dell’avvocato Gino Obert che la difendeva insieme all’avvocato Ettore Obert, l’ha condannata a 3 mesi. Daria Giovinetti dovrà ora subire numerosi altri procedimenti penali.

Non è finita.

La falsa contessa ha ancora un momento di celebrità torinese quando su Stampa Sera del 15 aprile 1953, nella pagina Nel mondo, cronista l’obiettivo, appare una sua foto al Tribunale di Napoli, dove viene processata per le truffe perpetrate in diverse città d’Italia. Viene immortalata mentre parla col suo avvocato difensore. Quest’ultima apparizione di Amedea - in verità priva del pathos affacciato dalla cronaca del processo alla pretura torinese - avviene nella rubrica dove il quotidiano torinese abbandona il suo atteggiamento serioso per aprirsi alle notizie curiose di cronaca internazionale, secondo lo stile che all’epoca era tipico della Settimana Incom, il cinegiornale distribuito settimanalmente nei cinema, oppure di riviste come La Domenica del Corriere.

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