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La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini
La pellicciaia assassinata (Seconda e Ultima Parte)
Articolo di Milo Julini
Pubblicato in data 15/08/2022

Leggi qui la Prima Parte.

 

Nella sera del 23 agosto del 1946, il Commissariato di P. S. San Donato annuncia di aver concluso le indagini sul fosco delitto e di averne identificato il colpevole, grazie alle dichiarazioni di un’inquilina dello stabile. Questa signora, alle 10:30 del mattino fatale, ha incontrato sulle scale un tizio pallido, ansante, con i capelli sulla fronte. Ha poi notato che l’uscio di Rosa Turino era aperto: è entrata, l’ha chiamata e, non ottenendo risposta, si è inoltrata nella camera da letto.

La ricostruzione del delitto riferita da La Stampa il giorno seguente offre spunti nuovi e, in verità, dal sapore di romanzo popolare ottocentesco:

Qui [nella camera da letto, N.d.A.] scorgeva una scena orribile: la Turino era distesa a terra, semi coperta da un tappeto, con gli occhi vitrei e il volto contratto in una spaventosa espressione di terrore: un pugnale dal manico di avorio le era conficcato nel ventre e dalla larga ferita fluiva ancora il sangue.

La stanza era nel più assoluto disordine: sedie rovesciate, Ietto disfatto, specchi infranti, testimoniavano che una lotta furibonda doveva essersi svolta fra la donna e l’assassino.

La polizia s’interessava subito attivamente dal caso: dall’appartamento non era scomparso né denaro né gioielli né altra roba. Il delitto per furto venne escluso.

Si affacciò l’ipotesi di un dramma a sfondo politico, essendo la Turino amica di un alto ufficiale tedesco e, nello stesso tempo, in rapporto con elementi della resistenza. ma poi anche questa ipotesi sfumò ed un’altra si fece strada rapidamente: la Turino doveva essere stata uccisa per gelosia.

Si parlava di spunti da romanzo popolare ottocentesco: l’arma dell’omicidio, inizialmente data per scomparsa, qui diviene addirittura «un pugnale dal manico di avorio»! In questo contesto ecco come viene presentata la vittima:

La donna era separata dal marito e conduceva da tempo una vita irregolarissima, abbandonandosi a tutti i vizi non esclusi quelli più turpi: e numerosi erano gli uomini che frequentavano la sua casa. Uno di costoro doveva essere l’assassino.

Esaminando un gruppo di fotografie rinvenuto nella borsetta della donna, i funzionari fissarono la loro attenzione sull’immagine di un tizio i cui connotati corrispondevano a quelli forniti dall’inquilina dello stabile e appartenenti all’individuo pallido e affannato da lei incontrato, la mattina del delitto, sulle scale.

Le ricerche del presunto assassino duravano quasi due anni. Infatti, solo in questi giorni l’ufficio di San Donato riusciva ad identificarlo. Si tratta dell’impiegato quarantacinquenne Roberto Martignoni fu Francesco. Ma gli agenti non hanno potuto arrestarlo per una semplice ragione: il Martignoni risulta deceduto per tubercolosi, in una clinica cittadina, il 21 agosto 1945.

Questa notizia compare su La Stampa del 24 agosto, sotto il titolo L’ASSASSINIO DI ROSA TURINO, col sommario «Il colpevole non è stato arrestato perché è morto da un anno».

Caso risolto?

Si direbbe proprio di no.

Lo scrive La Stampa del 29 agosto col titolo Il mistero di Rosa Turino non è ancora svelato.

Il giudice istruttore ha chiesto un supplemento di indagini, per chiarire meglio la presunta responsabilità del defunto Martignoni, la cui vedova si è affidata ad un avvocato perché si faccia piena luce sulla tragica vicenda, anche nell’interesse del figlio undicenne. La signora, inoltre, pare aver trovato un alibi per il marito: il giorno del delitto era in compagnia di un amico.

A questi elementi si aggiungono le dichiarazioni della sorella di Rosa Turino, che potrebbero dare tutt’altro indirizzo alle nuove indagini. A detta della donna, il delitto sarebbe stato commesso a scopo di furto: sarebbero scomparsi dalla casa della sorella assassinata una borsa a cerniera contenente circa 200.000 lire, un orologio d’oro ed un taglio d’abito. A questo si aggiunge che Rosa Turino aveva lasciato in un vicino paese, dov’era “sfollata” nel periodo bellico, due bauli e da questi sono scomparse due pellicce di valore. Il furto di via Pacinotti e quello al paese potrebbero essere opera di uno stesso individuo.

Queste ultime ipotesi, a nostro avviso, assumono scarsa consistenza: ammesso che siano davvero scomparsi degli oggetti preziosi, non è illogico ipotizzare che siano stati asportati da occasionali approfittatori.

Questa la conclusione de La Stampa del 29 agosto 1946: «I nuovi elementi saranno esaminati dal giudice istruttore e potrebbero dare alla inchiesta tutt’altro indirizzo».

Si direbbe che questo esame abbia portato ad abbandonare entrambe le piste.

Lo rileviamo da due articoli apparsi il 13 e 14 febbraio 1951 rispettivamente su Stampa Sera e La Stampa dove si annuncia che, a seguito di una anonima dettagliata denuncia, l’Autorità giudiziaria ha ordinato alla Questura la riapertura delle indagini.

È già stato fermato un commerciante di stoffe, il quale non nega di essere stato in relazioni d’affari con la pellicciaia, ma respinge recisamente ogni accusa. Si parla di numerosi elementi a suo carico e di fermo mantenuto per ricostruire i suoi movimenti al tempo dell’omicidio.

Ma quello che La Stampa del 14 febbraio ha definito come un «impressionante spiraglio» che si sarebbe «improvvisamente aperto su di un tenebroso delitto» non si concretizza in accuse nei confronti di un preciso imputato.

L’omicidio di Rosa Turino continua ad essere indicato come ad opera di ignoti.

Fine Seconda e Ultima Parte

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