APRI
IL
MENU'
Di tutto un po'
Charlie Champagne nella terra di mezzo
Carlo Campagna e Livio Cepollina (a sin.)
Il giornalista Livio Cepollina incontra una figura di spicco della Torino bene della fine degli anni Sessanta
Articolo di Milo Julini
Pubblicato in data 16/08/2022

Dove ci sono tanti soldi, troppo spesso c’è il Male. Questo è un dato inconfutabile.

L’eccessivo benessere aberra irreversibilmente la lucidità della cocuzza: si ha troppo, non si ha più nulla da ambire e le sregolatezze comportamentali rappresentano il palliativo per ottenere una felicità surrogata. E così, accadeva anche nella fine degli anni Sessanta in quella Torino bene, alla fine di un decennio per la prima parte economicamente rasserenante.

Come in tutte le città, i ricchi si trovano con i ricchi, creano giri chiusi a cui accedi solo se hai il portafoglio gonfio o la capacità di riempirlo occasionalmente al fine di regalarti momenti di finta gloria.

Imprenditori capaci o solamente fortunati, ma anche faccendieri, bon vivant, intrallazzatori, truffatori, sciupafemmine: sono queste le tipologie umane che riempivano locali come il Chatham di via Teofilo Rossi, il Mack 1 di via Camerana o il Perruquet di via Goito.

Qui, in questi ritagli artificiali di paradisi infernali, accadeva tutto quello che procurava gioia terrena: ci si stordiva di alcol, droghe e si godeva di spettacolini osé con belle donnine, stesse belle donnine che poi immancabilmente, accondiscendenti perché ben retribuite, finivano nei letti di qualche pensioncina ufficiosamente convenzionata.

In questo mondo, figlio di più che benestanti, si muoveva anche lui, Carlo Campagna.

Uno che amava ed ama ancora, a 81 anni, le belle donne e la bella vita. Non a caso, un giornalista milanese lo appellò Charlie Champagne, enfatizzando l’attrazione incontenibile verso il piacere della mondanità, così facilmente appagante.

Il suo nome ha riempito le pagine dei giornali e accade che lo faccia ancora oggi, a distanza di oltre cinquant’anni.  È lui, nel dicembre del 1969, parlando col super poliziotto Giuseppe Montesano, leggendario capo della Mobile di Torino, ad autoaccusarsi dell’omicidio di Martine Beauregard, la escort trovata morta pochi mesi prima, nella statale che da Vinovo porta a Nichelino, a pochi metri dall’ippodromo. Era stata seviziata, torturata e infine strangolata.

Lo stesso Charlie finì qualche mese al gabbio, poi ritrattò tutto: si era inventato quella storia perché “era strafatto” ed effettivamente mancavano prove certe ad incolparlo dell’atroce delitto.

Charlie Champagne è un personaggio unico, lavora ancora e, con l’energia di un rampollo trentenne, gira per locali, organizza eventi, vende immobili. La normalità della vita non fa per lui, lo annoierebbe.  La Terra è un immenso palco dove lui, primo attore, recita il suo copione, diverso tutti i giorni. Impeccabile nel vestirsi, frequenta solo posti elitari, dove il popolino non entra e, se lo fa, ci riesce con sacrifici e solo per la gioia di dire che è riuscito ad entrarci.

Charlie Champagne è di quella terra di mezzo presente in tutte le grandi città, quelle terre di mezzo gestite da persone potenti, massoni, avvocatoni con la A maiuscola, personaggi che se alzano il telefono ti muovono mezzo mondo.  Ed è proprio in questi lidi inaccessibili che agiscono l’orrido e l’inenarrabile. A deciderlo sono i gradi più alti di questo sottobosco maledetto, le persone come Charlie sì, ci sono, ma hanno un ruolo secondario e non decidono nulla.

Il caso di Martine ricorda lo stesso episodio di cronaca che accadrà quasi trent’anni dopo, nella stessa Torino. Una ragazza torturata, seviziata, strangolata, alla fine di un festino all’interno di una villa vicino a Pinerolo, forse proprio la stessa villa. In questo caso la ragazza è stata fatta sparire, più semplicemente. Mille indagini, la scelta di un capro espiatorio, forse accondiscendente, e poi basta. E si sa, che dietro ci sono sempre gli stessi nomi, gli stessi doppi cognomi e gli stessi imprenditori e se non loro, i loro figli, comunque le stesse identiche famiglie. Sono giri chiusi, una volta che ci entri non ci esci più. E la cosa più raccapricciante è che, spesso a decidere le sorti di questi maledetti, devono essere gli stessi maledetti e quindi tutto, se non nel dimenticatoio, finisce dove gli altri non possono toccare. E guai se lo fanno.

Livio Cepollina

Foto: Carlo Campagna e Livio Cepollina presso i Ronchi Verdi, che ne autorizzano la pubblicazione e che ne chiedono la citazione.

Altre notizie di
Di tutto un po'