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Politica Nazionale
All’armi, son populisti…
Breve viaggio fra le parole elettorali
Articolo di Elio Ambrogio
Pubblicato in data 23/08/2022

Ed eccoci alla terza parola del nostro trittico elettorale: “populisti”, ultimo marchio d’infamia che la sinistra estrae dai suoi concetti armati e scaglia contro chi non appartiene politicamente al suo mondo.

Tralasciamo le origini storiche del termine che, collocandosi nella Russia fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ci esporrebbe a qualche rischio dal momento che la russofobia dei nostri giorni, unita agli spericolati parallelismi storici della sinistra, può essere molto pericolosa.

Restiamo pertanto e semplicemente al suo significato più attuale, ossia di attenzione e indulgenza verso le necessità e le aspettative di un popolo, cosa che per la nuova politica liberal -elitaria, intellettualistica e narcisistica- è di cattivo gusto, vagamente ripugnante, e infine del tutto inaccettabile.

Tutti sappiamo che la democrazia vera e integrale, quella sognata dagli antichi, in realtà non è mai esistita: la storia dell’umanità, con qualche eccezione forse per le piccole comunità tribali, è sempre stata oligarchica; il potere è sempre stato accentrato nelle mani di pochi o di pochissimi, e questo lo ha ben descritto la teoria politica a partire da Aristotele sino alle scuole elitiste fra ottocento e novecento.

La “legge ferrea delle oligarchie” enunciata da Roberto Michels ne è un po’ la sintesi, così come The crisis of democracy di Crozier, Huntington, Watanuki, rapporto elaborato nel 1975 per la Trilateral Commission, rappresenta il punto di partenza della moderna tendenza al superamento della democrazia così come intesa dalla politica classica.

Dietro queste visioni c’è però un’elaborazione intellettuale, filosofica, politica e giuridica condivisibile o no, ma indubbiamente di alto livello. Quello che invece abbiamo dinnanzi in questa sgangherata campagna elettorale è la versione rozza dell’elitismo, un atteggiamento dove, dietro alla supponenza di certi politici e di certi mezzi di comunicazione, c’è solo una sorta di orgoglio e pregiudizio molto snob, molto spocchioso,  una vera mentalità del Grillo, inteso come Marchese e non come Beppe.

Il popolo, con le sue immediate e legittime aspirazioni, con la sua semplicità palese e spesso ingenua, con la sua quotidianità fatta di difficoltà materiali e piccole soluzioni, viene visto da questa nuova classe di parvenu, nel peggiore dei casi, come sotto-umanità e, nel migliore, come patetica infanzia da educare. E la pedagogia può esser solo quella elaborata e coltivata dai sinceri democratici di sinistra, di cui il PD è sintesi, verbo, dottrina e guida pastorale.

Abbiamo citato più volte su queste pagine Luca Ricolfi, sociologo torinese, che in alcuni suoi libri (Perché siamo antipatici. La sinistra e il complesso dei migliori, Milano, Longanesi, 2005; Sinistra e popolo. Il conflitto politico nell'era dei populismi, Milano, Longanesi, 2017; La società signorile di massa, Milano, La nave di Teseo, 2019) ha magistralmente descritto questo processo auto-definitorio di una certa sinistra come élite portatrice di una visione superiore della vita e di una missione educatrice delle masse con cui essa non si identifica più come in passato, quando la sinistra stessa aveva una sua autentica e appassionata  matrice popolare.

Oggi la sinistra liberal e cosmopolita importa molte sue idee dall’altra sponda dell’Atlantico e le vende a quel ceto medio riflessivo che è il suo bacino elettorale e che guarda con altezzosità qualunque cosa possa definirsi “popolo”, un popolo che formalmente desta il suo interesse ma per cui sostanzialmente prova un malcelato disgusto; un popolo che va in vacanza a Rimini, mangia porchetta, si esalta allo stadio, guarda i cinepanettoni, non legge Bauman e forse nemmeno Carofiglio, e -colpa consequenziale ma imperdonabile- vota a destra.

Ecco il punto fondamentale: chiunque si faccia carico di questa umanità (maggioritaria?) nel nostro paese, chiunque stia ad ascoltarla, chiunque provi a presentare un disegno politico a suo favore, diventa automaticamente “populista”. Chiunque provi a delineare una serie di interventi a favore di chi quotidianamente deve sfangare l’esistenza, magari contravvenendo alle linee-guida europee o ignorando i nuovi raffinati sentimenti delle minoranze acculturate, diventa un populista senza “visione globale”, senza  coscienza delle implicazioni internazionali, senza coerenza sistemica, senza uno straccio di agenda Draghi.

Il populista, per la sinistra pensosa e consapevole, è uno che non è pensoso e meno che mai consapevole. Ecco perché deve essere combattuto: perché si preoccupa più della sua bolletta del gas che del valoroso popolo ucraino, un individuo gretto ed egoista, senza visione europea e internazionale, certamente sovranista e magari anche un po’ fascista...

Il termine “populista”, pur nella pochezza del suo significato antidemocratico, è però ormai diventato una componente essenziale della narrazione europea ed europeista: è populista chiunque voglia sottrarsi alla morsa del conformismo intellettuale e politico che promana da Bruxelles e che, quello sì, è senza frontiere potendo essere rivolto a Marine Le Pen come a Giorgia Meloni, a Viktor Orbán come a Matteo Salvini, ad  Alexis Tsipras come a Jean-Luc Mélenchon, a Ione Belarra come a Nigel Farage.

Insomma i veri europeisti devono essere contro ogni populismo, il grande e vero nemico continentale senza confini e senza frontiere. Un nemico però non solo dell’internazionale di sinistra che opera in Italia come in Europa, con tutta la sua carica di pregiudizi e di verbosità ideologica, ma anche -a dispetto del loro nome- dei popolari, dei liberali, dei socialdemocratici, dei centristi assortiti, delle “maggioranze Ursula”, di tutta quell’Europa tecnocratica e oligarchica che, purtroppo e per sua natura, può essere solo così.

D’altra parte, a ben vedere, anche la Costituzione italiana è populista quando afferma che “la sovranità appartiene al popolo”  accomunando nel suo primo articolo, e in sole cinque parole, ben due eresie: sovranismo e populismo. E meno male che è antifascista (almeno così si dice), altrimenti il trittico delle accuse elettorali che andiamo esaminando sarebbe stato completo anche da un punto di vista costituzionale.

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