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Politica Nazionale
L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Quale pensiero politico esprimono i contendenti al voto?
Solamente l’impegno elettorale degli italiani, potrà segnare la svolta.
Articolo di L'Editoriale
Pubblicato in data 25/09/2022

Oggi al termine di una campagna elettorale raffazzonata, andiamo al voto. Avremo un nuovo Parlamento e, si spera, un nuovo governo. I sondaggi pare diano per scontata l’affermazione di una maggioranza stabile e ci auguriamo coesa.

Basterà il risultato delle elezioni a cancellare con un tratto di penna le tante storture di una campagna elettorale che, oltre ad essere anomala perché tenuta nel periodo estivo e non aver suscitato soverchie emozioni, né grandi passioni, ha finito con l’accentuare la crisi dei partiti e, con essa, la crisi della democrazia?

Non avremo un Parlamento di “Eletti”, con la maiuscola, nel significato più alto e nobile di tale espressione, che indica quanto di meglio possa esprimere la società italiana, cui affidare le sorti della Nazione e la cura del “Bene Comune”.

 

A causa delle storture della legge elettorale, il Parlamento sarà composto da deputati e senatori messi lì dai capi-partito e dalle oligarchie ristrette che ormai guidano, come satrapi, le varie formazioni politiche, senza alcuna voce in capitolo, soltanto per alzare la mano ad ogni cenno dei loro Capi.

Com’è noto, l’attuale Rosatellum  non lascia spazio alcuno all’elettore, chiamato a votare per il solo simbolo.

 

Un tempo c’erano i partiti con i loro pregi e i loro difetti, ma nei partiti vigevano meccanismi e metodi di selezione della classe dirigente che poggiavano su alcuni principi-base: militanza ed esperienza acquisita sul campo, nei territori, nel confronto costante con i cittadini, in un percorso di crescita ancorato ad esperienze amministrative locali. Esistevano le scuole di partito. E dove non c’erano le scuole operavano strutture parallele, associazioni culturali e di volontariato, che del futuro candidato forgiavano carattere, competenza, attitudini al governo della cosa pubblica. Non solo.

Nei partiti, in tutti i partiti, esistevano organismi, luoghi di confronto. C’erano i Consigli Nazionali e le Direzioni. Ci si arrivava passando per i Congressi. E nei Congressi nazionali si giungeva passando per i congressi nelle sezioni locali e provinciali. Soprattutto, i Congressi, come i Consigli Nazionali e le Direzioni dei partiti, erano il luogo in cui si discuteva di tesi. Ci si confrontava. Si elaboravano progetti e proposte politiche. Nascevano da quelle discussioni, da quei confronti, a volte aspri e duri, ma mai banali, le linee di indirizzo sia per il governo e sia per chi, invece, era chiamato ad un ruolo di opposizione.

Quando poi arrivavano le elezioni, l’elettore oltre alla croce sul simbolo del partito, poteva esprimere delle preferenze, e scegliere il candidato che riteneva potesse rappresentare meglio le sue istanze e quelle del territorio di appartenenza.

La personalizzazione delle leadership, prima, la brutale campagna anti casta, poi, accompagnate dalla furiosa ed iconoclasta conversione della politica al linguaggio  dei social, ha letteralmente squassato il campo. Gli appelli elettorali diffusi venerdì pomeriggio in chiusura della campagna elettorale, hanno segnato il punto più basso dell’identità e credibilità dei leader.

Archiviate le piroette di saltimbanchi senza etica ed argomenti e di ninfette , oltretutto  prive di charme, che hanno occupato gran parte dello spazio elettorale,  nel momento più critico per la vita degli italiani, il cittadino deve comunque percepire, l’imperio del diritto – dovere, di recarsi al seggio elettorale ed esprimere il voto che riterrà valido. C’è bisogno di politica dopo oltre dieci anni di governi raccogliticci e gestiti da personaggi estranei alla politica e  non eletti dal cittadino.

Dobbiamo continuare a sperare che  attraverso il voto e la passione per la Res publica, si possa imboccare la strada del  cambiamento.

Il rinnovato Parlamento, oltre a fronteggiare l’emergenza energetica con misure strutturali, dovrà  battersi per un ritorno a un sistema elettorale proporzionale puro, con una quota di sbarramento al 5%, per evitare l’eccessivo frazionismo. È necessario che ogni partito valga per i voti che prende e non per i premi di coalizioni formate solo ai fini elettorali, da partiti che hanno poco in comune.

Il ritorno della Politica propositiva dovrebbe portarci a superare, anche la crisi più insidiosa, invisibile e radicale: la crisi del pensiero.

Qui si tratta di capire se ci sono ancora le condizioni per invertire la rotta, se c’è qualche spiraglio attraverso cui aprire il varco verso un futuro di superamento e se basti il semplice “ritorno alle fonti” per creare un nuovo pensiero.

Le “fonti” sono importanti. Averle dimenticate e, in molti casi, gettate nella spazzatura, ha reciso il cordone che legava alle radici, ha imprigionato nel labirinto del “pensiero unico” e del ”politicamente corretto” ogni istanza di diverso conio. Ha persino annullato ogni residuo briciolo di Utopia che pur dovrebbe accompagnare ogni visione del mondo, della vita, dell’economia, dell’ambiente, della storia. Quel briciolo di Utopia che, in passato, è servita ad infiammare i popoli, a renderli partecipi di un disegno innovatore e artefici di storia e cambiamenti politici.

Ma come si pensa di cambiare il corso della storia, nelle sue varie accezioni e implicazioni, sui molteplici versanti in cui l’umanità opera e incide, se non si riparte dalla formazione, dalla scuola, dall’educazione, da una visione dell’etica e della morale, da una sofferta consapevolezza dei limiti entro i quali l’abbandono del pensiero filosofico, da un lato, e della stessa dimensione spirituale, dall’altro, ha condannato la nostra stessa esistenza.

Come si pensa, appunto, di ridare senso, anima e corposità partecipativa alla politica se non si riparte dai fondamenti della cultura, dalla nobile arte di misurarsi sul presente e interrogarsi sul futuro, di accettare la sfida del cambiamento declinando nuovi e più adeguati paradigmi entro cui incardinare opzioni e soluzioni convincenti ai mali che ci attanagliano?

Come venirne fuori se mancano quadri dirigenti capaci di impegnarsi nella faticosa ricerca del consenso, evitando di inseguire gli umori passeggeri della gente, quel raccapricciante e disgustoso vizio di accarezzare il pelo nel suo verso, rinnegando di fatto il ruolo di chi, al contrario, dovrebbe creare opinione e non subire le opinioni altrui?

Ascoltare la voce della gente, sondarne umori e sensibilità, non implica assecondarne, sempre e comunque, le ragioni. Nel complesso governo della cosa pubblica, vale molto più saper dire No che dire sempre Sì. Soppesare le diverse ragioni in gioco per trasformare una idea e una proposta in un progetto vincente e utile per il bene comune contempla il rischio di accontentare qualcuno a scapito di qualcun altro. E’ un concetto basilare per il buon governo.

Come segnale di svolta ed atto d’impegno, sarebbe opportuno che, almeno qualche raggruppamento politico  avanzasse la proposta di applicare finalmente l’art.49 della Costituzione sul riconoscimento giuridico dei partiti, autentico passepartout per organizzarne forma e vita democratica, isolando i saltimbanchi che nulla esprimono e tanto confondono.

Del termine democrazia ormai si abusa, mentre nei fatti, essa viene sempre più negata. Questa è l’amara realtà.

 

Francesco Rossa

Condirettore Responsabile - Direttore Editoriale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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