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Politica Internazionale
Migrazioni, Italia, Europa
Una svolta sovranista nella gestione dell’immigrazione? Finalmente anche l’Italia sta comprendendo che cos’è realmente l’Unione europea.
Articolo di Elio Ambrogio
Pubblicato in data 17/11/2022

Prima, coi governi inchinati ai voleri nordici non emergevano i conflitti, non si notavano attriti, nulla appariva che non fosse un inno alla concordia e alla solidarietà continentale. D’altra parte non può esserci discordia con una parte docile e obbediente alla volontà dell’altra.

Poi l’Italia si è data un governo che gli oppositori hanno chiamato “sovranista”, cioè un governo che ha posto sul tavolo una serie di interessi nazionali da tutelare, come fanno tutti i governi del pianeta, ed è scoppiato il finimondo. Improvvisamente è emersa un’Italia un po’ diversa che ha provato ad alzare la testa riaffermando quel principio costituzionale, contenuto nell’articolo undici della nostra Carta, solitamente citato in maniera incompleta, dove si dice che il nostro Paese acconsente alle limitazioni della sua sovranità dimenticando però sempre le parole “in condizioni di parità con gli altri Stati”.

Per una volta, un governo italiano si è ricordato di questa solenne affermazione. La questione dei migranti, pur fra errori operativi, incertezze giuridiche, approssimazioni politiche, ha posto finalmente la questione della parità fra stati europei. Di fronte a una Francia tronfia e gonfia di antica arroganza –oggi del tutto risibile in una potenza media, o addirittura piccola rispetto ai giganti della geopolitica, e ormai declinante sull’orizzonte internazionale– l’Italia per una volta ha voluto dire la sua.

C’è riuscita? Forse non pienamente, ma si tratta di un inizio, di un punto di svolta. Intanto ha messo in crisi una Francia costretta, nel giro di poche ore, a rimangiarsi la promessa di accoglimento della Ocean Viking e poi a trangugiarla in malo modo, e poi ancora a coprire la sua frustrazione a suon di gendarmi schierati sulla frontiera italiana. Una figura miserevole, contornata da recriminazioni moralistiche e da invettive contro un’Italia accusata di chissà che. Quel poco di mondo (veramente poco) che ha prestato attenzione alla rissa italo-francese non ha potuto fare a meno di notare il lato ridicolo di una nazione che ogni giorno respinge duramente gli immigrati irregolari alle sue frontiere e poi accusa l’altra di inumanità perché li ha costretti a restare un paio di giorni su una nave.

A proposito di lati risibili della vicenda, però, anche l’Italia non si è fatta mancare nulla creando l’inedita figura della “fragilità psicologica” come giustificazione giuridica dello sbarco e dell’accoglienza... Un interessante principio interpretativo della legge da tenere presente in futuro ogni volta che qualcuno vorrà commettere un illecito.

Ma al di là del dramma-farsa che si è rappresentato nelle acque mediterranee, gli avvenimenti dei giorni scorsi offrono anche l’opportunità di alcune considerazioni politiche in merito alla realtà di quella cosa che chiamano Unione europea, realtà che nel caso di specie ha dimostrato tutti i suoi limiti e le sue crepe.

Intanto la vistosa incapacità di affrontare un’emergenza come quella immigratoria, per cui non esiste una politica comune ma neppure una visione comune e, se permettete, neppure una sensibilità comune, come dimostrato dall’atteggiamento “psicologicamente fragile” della Francia e dall’assenza mentale di altri paesi.

Richiamare retoricamente e ossessivamente il senso di umanità con tono predicatorio e moraleggiante vuol dire solo che non si hanno progetti e soluzioni: il moralismo è un perfetto surrogato dell’operatività, anche se di una qualità molto più bassa, e l’Europa lo sta utilizzando in quantità considerevole, così come le argomentazioni di diritto internazionale fondate su un groviglio di norme, convenzioni e consuetudini in cui gli opinionisti si impigliano come merluzzi nelle reti.

Le prescrizioni di questa normativa operano su più livelli: internazionali, europei, nazionali e non sono coordinate, con la conseguenza che le note imprecisioni semantiche delle norme internazionali offrono non solo mille occasioni di conflitto con le leggi interne ma anche mille occasioni interpretative ai professionisti e ai dilettanti del diritto, e infine mille occasioni di esibizionismo etico a politici e anime belle di tutti i tipi.

Molti di voi avranno notato come siano state pochissime le prese di posizione di giuristi professionali in merito alla vicenda lasciando spazio notevole invece a giornalisti, gente di partito, filantropi vari, vescovi, tuttologi e altre specie umane. Pensiamo solo alla questione, ormai dibattuta da decenni, e in questi giorni contestatissima, della configurazione di un’imbarcazione come territorio nazionale dello stato di cui batte bandiera, con tutte le discendenti conseguenze giuridiche e tutte le conseguenti prese di posizione politiche.

Perfino la distinzione fondamentale fra naufrago e migrante appare scomparsa, eppure si tratta di due categorie radicalmente diverse, a cui riservare trattamenti diversi, soprattutto se si tiene conto dell’emersione di una terza categoria, quella del “naufrago volontario”, che ha fatto la fortuna di molte  ONG e dei loro comandanti, spesso contigui -troppo contigui- ai trafficanti di esseri umani. E ancora, la distinzione tra profugo e migrante, fondamentale ai fini di una corretta gestione del fenomeno, ma occultata, o molto sfumata, dai professionisti dell’accoglienza integrale.

Si tratta, insomma, di una questione di enorme complessità sia sotto il profilo giuridico, sia sotto quello politico, sia sotto quello gestionale che non può essere semplificata dal principio dell’accoglienza “senza se e senza ma” tanto cara agli immigrazionisti duri e puri che vivono -alcuni innocentemente, molti altri opportunisticamente- in una realtà immaginaria.

Vedremo come il governo Meloni si comporterà coi prossimi tentativi di sbarco e -più ancora- con gli sbarcati, sia che dichiarino espressamente di non voler restare in Italia ma di voler raggiungere parenti o amici in Francia, Germania, Belgio o in altre nazioni, sia che invece entrino in clandestinità nel nostro paese andando ad ingrossare le fila della piccola e grande delinquenza o anche semplicemente dell’ordinaria, diffusa e sfuggente illegalità metropolitana. L’unica cosa che appare del tutto evidente è che questi sono problemi nostri, italianissimi, che in qualche modo andranno governati in modo più o meno sovranista, piaccia o no all’Europa.

E se questo dovesse essere il detonatore di una crisi europea, ben venga. Le crisi sono il motore della storia, e se quella migratoria servisse a smuovere il colosso di Bruxelles dal suo interessato torpore, dalla compiacenza verso gli interessi dei paesi più forti, dalla reale ma mai confessata distinzione fra azionisti di maggioranza e di minoranza della società europea, ebbene, forse sarà il caso di benedirla.

Proprio per ripristinare quella condizione costituzionale di parità internazionale spettante all’Italia di cui dicevamo all’inizio, e di cui troppi nel nostro paese si sono dimenticati in tempi recenti e meno recenti.

 

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