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La sindrome di Hikikomori
Il disagio dei più giovani e non, nell’epoca post pandemica
Articolo di Chiara Rota
Pubblicato in data 18/12/2022

La pandemia da Covid-19 ha sconvolto la vita a miliardi di persone sparse in tutto il mondo.

Oltre all’emergenza sanitaria vera e propria, oggi facciamo i conti con gravi disturbi psicologici che hanno coinvolto i più giovani in primis, ma anche poco per volta tutte le fasce di età.

Quali sono state le cause scatenanti

Dall’oggi al domani milioni di adolescenti si sono trovati isolati forzatamente, tempestati da notizie sempre più allarmanti, avviluppati in un clima di terrore dilagato in maniera più o meno subdola attraverso tutti i canali possibili di informazione.

La quotidianità della loro vita, di colpo, ha ricevuto una battuta d’arresto. Non si va più a scuola. Si seguono le lezioni da casa, dietro a uno schermo. Le attività ricreative, sportive e qualunque altra forma di socializzazione sono tutte sospese bruscamente a tempo indeterminato.

Questo cambiamento improvviso, soprattutto negli animi più sensibili, ha generato ansie di diverso genere, psicosi e paure nell’affrontare la vita di tutti i giorni.

La sindrome di hikikomori

Si è assistito, quindi, inevitabilmente all’aumento in maniera esponenziale di una forma di disagio che colpiva già da tempo le generazioni più giovani: una forma di grave emarginazione sociale, la cosiddetta sindrome di hikikomori, termine giapponese che letteralmente significa “stare in disparte”.

La parola Hikikomori, fu usata per la prima volta nel 1998 da Tamaki Saito, psichiatra giapponese, ed è ora utilizzata in tutto il mondo per designare una grave forma di malessere psicologico in cui la persona che ne soffre sceglie di isolarsi dal mondo circostante.

Questa sindrome, colpisce maggiormente adolescenti e giovani adulti che si recludono volontariamente in casa, incapaci di lavorare o andare a scuola per mesi o addirittura anni.  

Un disagio, riconducibile alla depressione, che si riconosce attraverso un iniziale disinteresse nei confronti del mondo esterno, con conseguente isolamento e ritiro dalla propria quotidianità  con un progressivo rifiuto nei confronti della scuola, del lavoro e delle responsabilità in generale.

Un disagio che ha coinvolto anche gli italiani

Gli hikikomori italiani riconosciuti, secondo stime recenti, soprattutto a seguito della pandemia che ha estremizzato il problema, sono circa 100mila e sono in costante crescita. Si tratta soprattutto di giovani uomini, di età compresa tra i 14 e i 30 anni, ma analisi più aggiornate vedono in grave aumento anche il genere femminile.

Si tratta spesso di adolescenti già in partenza più sensibili e in qualche modo fragili dei loro coetanei, che non riescono a gestire le pressioni del mondo esterno che li vuole sempre più performanti e perfetti: l’esigenza di prendere buoni voti a scuola, di avere una carriera di successo, di essere belli e alla moda. Il senso di inadeguatezza nei confronti delle aspettative nei loro confronti da parte dei genitori e della società in generale li porta poco per volta a isolarsi, preferendo sottrarsi al confronto e all’interazione con gli altri. L’unico strumento che consente loro di avere contatti con l’esterno diventa la tecnologia digitale.  

La pandemia ha sicuramente fatto peggiorare la situazione. Se non c’è bisogno nemmeno più di uscire per andare a scuola, la auto reclusione diventa giustificata e si trasforma in una prigionia vera e propria. Si può isolarsi dal mondo completamente, senza sensi di colpa.

Cosa c’è alla base di questo disagio

Alla base di questo fenomeno c’è un forte disagio adattivo sociale. Chi viene colpito da questa sindrome, manifesta una forte ansia sociale, che gli impedisce di relazionarsi con i coetanei e ad adattarsi alla società che li circonda. Ad esserne colpiti sono spesso ragazzi con un’intelligenza superiore alla media, con un elevato QI, ma di carattere molto introverso e introspettivo, sensibili e inibiti socialmente, convinti di stare meglio da soli, lontani da tutti.

L’isolamento prolungato dovuto alle restrizioni imposte dai governi come strumento di contenimento del virus Covid-19, ha innescato in molte persone tutta una serie di problematiche riconducibili alla sindrome di hikikomori; queste convergono di fatto in uno stato depressivo sempre più profondo, che spesso si ripercuote anche sulle abitudini alimentari e sulle attività fisiche, totalmente trascurate, così come la cura della propria persona. Il sonno diventa per molti il nascondiglio perfetto dalle possibili sofferenze e poco per volta si finisce con l’invertire il ciclo sonno/veglia.

I soggetti Hikikomori, alla lunga, finiscono con il detestare se stessi e la propria vita, condannati ad un pericoloso circolo vizioso. Dall’ansia sociale, dove il mondo esterno fa paura e l’unico posto sicuro è la propria casa o peggio la propria stanza, si insinua in fretta anche l’ansia del tempo perso, accompagnata dalla sensazione di non poter più fare nulla per rimediare alla propria vita, ormai priva di senso. Nei casi più gravi, tali comportamenti sfociano in comportamenti autolesionisti, dissociativi e ossessivo compulsivi.

Pandemia e sindrome di hikikomori

Mentre questo fenomeno prima della pandemia era abbastanza circoscrivibile solo ai più giovani, adesso, si registrano molti casi di adulti che soffrono degli stessi disturbi. Secondo alcune statistiche, si contano molti “reclusi sociali” anche tra le persone oltre i 40 anni. Lo smart working forzato ha abituato numerose persone a restare a casa. L’isolamento ha eliminato, per molte di queste, diversi stress: il traffico per raggiungere il posto di lavoro, le relazioni con i superiori o i colleghi, le ansie di prestazione, il confronto diretto con gli altri. La propria casa è diventata sempre di più un rifugio dalle difficoltà dei rapporti interpersonali, soprattutto per quella tipologia di persona che faticava già da tempo a provare autostima e che viveva con disagio il confronto diretto con gli altri.

Il progresso tecnologico ha aumentato la possibilità di isolamento rendendo possibile il mantenimento delle relazioni sociali a distanza e spesso virtuali.

Internet è diventato, per queste persone, l’unico contatto con il mondo esterno; un contatto però virtuale.

Recentemente, alcuni professionisti della salute mentale hanno provato a classificare l’hikikomori secondo determinate categorie diagnostiche. Le sei diagnosi principali individuate dallo studio –secondo i criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders redatto dall’American Psychiatric Association – sono:  

Questa pandemia ha quindi fatto venire allo scoperto un elevato numero di persone che presentano disagi profondi, prima non riconosciuti o comunque sottovalutati. Per molti di loro la pandemia ha rappresentato quasi un miglioramento della propria esistenza: l’isolamento forzato li ha fatti sentire apparentemente meglio: un senso generale di “rilassamento”, quasi come se adesso si sentissero “finalmente” come tutti e “legittimati” a stare in casa, esenti dal senso di colpa o dal giudizio per una vita di ritiro e isolata, ma finalmente con una vita “come quella di tutti”.

Un fenomeno che fa pensare molto al mondo in cui viviamo oggi. Un mondo proiettato in avanti troppo velocemente, lasciando indietro i più fragili, quelli che imparano a sopravvivere nascosti nell’oscurità.

 

 

 

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