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Politica
La Romania e la Bulgaria ancora fuori dal trattato di Schengen. Le ipotesi e i perché
Proteste dei due Paesi verso l’UE e malumori della comunità rumena in Italia, ma c’è dell’altro dietro alle righe?
Articolo di Carlo Mariano Sartoris
Pubblicato in data 17/12/2022

Breve premessa:

mal contati dal 2020, su Google circolano almeno mezzo milione di riferimenti che riportano a teorie secondo cui alcuni paesi europei complottano per rallentare l’ingresso soprattutto della Romania nel trattato di Schengen. In questi giorni si è riproposto il veto, suscitando un profondo malcontento anche nella numerosa comunità rumena ormai da tempo trapiantata in Italia.

 

Fino a oggi l’area Schengen contava 22 dei 27 paesi della UE. Bulgaria, Croazia, Romania, Cipro, e parzialmente l’Irlanda, non erano ancora inclusi. Durante il Consiglio dei Ministri dell’UE (che non ha potere normativo ma solo di indirizzo politico), svoltosi a dicembre, Austria e Olanda si sono opposte all’ingresso di Bulgaria e Romania nell’area Schengen, accettando la richiesta della sola Croazia, annessa dal 1º gennaio 2023, con relativa introduzione dell’euro come moneta nazionale.

 

In questa sessione il veto olandese è stato riservato alla sola Bulgaria, riferito a livelli di corruzione e al senso dello Stato di diritto nella Nazione balcanica. Il veto austriaco invece è più articolato. L’Austria infatti, circondata da nazioni dell’area Schengen, quest’anno ha contato 75.000 migranti privi di diritto, la metà provenienti da Bulgaria e Romania. Con l’eliminazione di controlli alle persone in transito alle frontiere rumene e bulgare aprirebbe una via di accesso “regolare” ai movimenti migratori verso il Paese & l’Europa. Il veto però, penalizza tutti i residenti dei due Stati ancora estromessi da Schengen, ed è un controsenso. Potrebbe esserci dell’altro di non detto?

Il ministro rumeno Lucian Bode e il presidente Klaus Ioannes si sono detti oltraggiati, tanto da richiamare il loro ambasciatore a Vienna. L’omologo bulgaro Ekatrerina Zakharieva ha espresso molto disappunto, soprattutto verso il veto dell’Olanda, ricordando gli sforzi intrapresi dal suo Paese. La votazione non è stata compatta da parte di tutti gli Stati europei, ma il sì all’annessione richiedeva una votazione unitaria. Ne è scaturita un’Europa disunita in tema di migranti, dove l’Italia è tuttora in prima linea.

La Commissaria europea svedese, Ylva Johansson, si è detta delusa delle decisioni di Austria e Olanda, ma si è mostrata comunque persuasa che la Romania, nel 2024 entrerà a far parte del trattato di Schengen

Per quanto riguarda la moneta invece, ad oggi la valuta nazionale rumena rimane il Leu, in vigore dal 1880. La data programmata per l’adozione dell’euro in Romania, concordata nel marzo del 2018, era stata prevista per l'anno 2024, secondo il Piano Nazionale di cambio verso l'Euro.

Mentre il veto era anche, e più volte, abbinato alla corruzione, ragione aggiunta per cui la Romania non ha ancora aderito al blocco Schengen, molti rumeni hanno un'altra teoria: i Paesi Bassi sono preoccupati non per lo stato di diritto, ma per altri motivi, soprattutto commerciali.

In effetti, l’Olanda ha più volte messo in dubbio l’ingresso di Romania e Bulgaria nella convenzione di Schengen. Mentre il motivo ufficiale è nella scarsa capacità di mettere in sicurezza i confini orientali della UE, da anni in Romania viene inteso come un pretesto a causa della ipotetica concorrenza del porto di Costanza verso quello di Rotterdam.

Occorre specificare che, già nel 2020 secondo l’analista Dabrownsky, non poteva esserci interferenza tra i due scali marittimi, in primis per la distanza geografica, essendo il primo affacciato sul Mar Nero, area periferica dell’Europa, mentre il secondo è sul Mare del Nord e poi, per differenza di capienza, poiché Rotterdam è uno scalo moderno, secondo in Europa per traffico intercontinentale, mentre il porto rumeno copre uno scambio merci 10 volte inferiore. Dunque l’ipotesi di un’opposizione olandese motivata da interessi marittimi è quantomeno improbabile.

Mihlai Isac, analista politico già dal 2020 faceva notare che la questione dei porti commerciali era una “falsa propaganda” usata da fazioni politiche rumene spalleggiate da mass media complici in uno scoop populista. Isac sosteneva che si trattava di un alibi per mascherare l’incapacità dei governanti rumeni di far progredire il loro stato verso Schengen, non solo per garanzia di flussi migratori, ma per motivi economici collegati all’alto livello di corruzione interna.

Ufficialmente infatti, secondo il rapporto ECB di giugno 2016, l’Euro non è ancora valuta rumena, poiché la legislazione dello Stato non soddisfa tutti i requisiti relativi all'indipendenza della banca centrale, al divieto di finanziamento monetario e all'integrazione da un punto etico-storico nell'Eurosistema, e sul piano giuridico.  

Doverosa conclusione:

 

nell’accordo di Schengen firmato il 14 giugno 1985, Francia, Germania e Benelux decidevano di eliminare gradatamente i controlli alle frontiere interne. La convenzione Schengen nel 1999 è entrata a far parte della legislazione dell’UE, consentendo libertà di circolazione tra gli Stati senza esibizione di visto dei soli cittadini in qualità di persone fisiche. Riguardo le merci invece, la libera circolazione è stabilita dal Mercato Unico e dalla Unione Doganale della UE, di cui la Romania fa parte dal 2007.

 

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