APRI
IL
MENU'
Voci e cose dal Piemonte
25 gennaio 1146, nasce l’Abbadia di Stura
L'Abbadia nella Carta delle Regie Cacce, 1816
Antico luogo di transito per i pellegrini, alla periferia di Torino
Articolo di Ezio Marinoni
Pubblicato in data 25/01/2023

Il primo atto che cita l’Abbadia è una donazione. Il 25 gennaio 1146 il giureconsulto torinese Pietro Podisio dona a Vitale, monaco vallombrosano, dieci giornate di vigneti e sessanta giornate di campi e prati, sulla strada verso Pavia: erano le pertinenze di un ospizio, intitolato a San Pietro, per accogliere e curare i pellegrini che, provenienti da varie regioni della Francia o dal nord Europa, percorrono l’antica strada romana (e quella che poi si chiamerà Via Francigena) per dirigersi verso Roma o Gerusalemme.

Nel 1150 Papa Eugenio III (1) conferma all’Abate Vitale la reggenza dell’orario e dell’hospitale posto “ultra flumen Stura”. I monaci benedettini avevano l’obbligo di ricoverare i pellegrini bisognosi e di tenere sempre apprestato un “navicello” per trasportare gratuitamente i viandanti fra le due sponde del fiume. Da questo servizio di trasporto sul fiume deriva il toponimo “Barca”, che identifica ancora oggi quella porzione di territorio, poi divenuto un quartiere residenziale ad alta densità abitativa.

Il complesso sulla Stura vive il suo periodo di floridezza nei decenni successivi alla sua costruzione, nel periodo dell’abate Guido (1193 – 1228), anche grazie al porto fluviale sulla Stura, di cui non rimangono tracce (chiamato di Leynì o dell’Abbadia anche dalla descrizione settecentesca del Grossi, che ritroveremo poco avanti). Nel 1220, sotto Tommaso (I) di Savoia (2), la costruzione di un ponte di legno sulla Stura porta a modificare il titolo dell’Abbadia, che diventa “San Giacomo di Ponte Stura” (Un mistero avvolge la morte di Tommaso: secondo la tradizione, è stato sepolto alla Sacra di San Michele, ma non ne è stato mai trovato il sepolcro; per rispetto di quanto tramandato nei secoli è stata posta un'iscrizione commemorativa insieme a quelle delle altre tombe presenti).

La decadenza arriva con il XIV secolo, forse a causa delle guerre che si combattevano, anche in prossimità di questi luoghi, sul confine tra i Savoia e il Marchesato di Monferrato. L’ultimo Abate sarà, nel 1411, il napoletano Tommaso Brancaccio (3). Poi diventa una “commenda”. I fasti medievali sono ormai lontani quando, nel 1420, l’Abbadia viene soppressa e ceduta al Vescovo di Torino da Papa Martino V (4), e i suoi beni e pertinenze entrano a far parte della Mensa Arcivescovile. Nel 1458 Papa Pio II decreta l’estinzione della dignità abbaziale e la riduce al ruolo di chiesa rurale sotto il titolo di San Giacomo.

Ad agosto 1676 la Mensa Arcivescovile di Torino concede in affitto al conte Olivero 129 giornate di terreno; tale concessione si estende ai suoi eredi, per tre generazioni (l’ultimo rinnovo, nel 1770, è agli Olivero di Sordevolo).

Nel 1760 il cardinale Giovanni Battista Roero, Arcivescovo di Torino (di cui ci siamo già occupati il 28 novembre 2022 con l’articolo Civico20News - Giovanni Battista Roero, nobile astigiano) fa erigere un arco di ingresso all’hortus conclusus e dispone il rinnovamento della chiesa secondo lo stile barocco. Nel 1790 l’architetto Amedeo Grossi scrive nella sua Guida alle cascine e vigne del territorio di Torino e contorni: “(…) sette cascine formanti un sol corpo di fabbrica appartenenti alla Mensa Arcivescovile di Torino, site alla sinistra del fiume Stura ed alla destra del porto di Leinì, comprese nel territorio di Torino, da cui sono distanti due miglia e mezzo; la strada che tende all’Abbazia di Stura si dirama a destra della strada di Chivasso, tosto passato il ponte del Borgo Pallone”.

Nel 1840, nel Catasto Rabbini, risulta che tutte le cascine erano di proprietà della Diocesi di Torino, che ne ricavava una cospicua rendita. La Legge 15 agosto 1867, n. 3848, prevede l’incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello Stato. Andati all’asta, il 29 ottobre 1867 tutti i beni dell’Abbadia vengono acquistati da Vincenzo Ceriana, della famiglia di banchieri e filandieri (5). Sotto la proprietà Ceriana avvengono le più significative modificazioni, alcune dovute anche all’architetto Carlo Ceppi, che aveva sposato Elena Ceriana. Non a caso, fra le sue opere si segnalano il Palazzo Ceriana, in piazza Solferino, e il Palazzo Ceriana – Mayneri, in corso Stati Uniti (oggi sede dell’Ordine dei Giornalisti regionale). Il filatoio era sorto prima dei Ceriana, già nel 1708 ha una sua importanza produttiva ed economica; nel 1815 risultano in funzione, dichiarati ai fini fiscali, 54 fornelletti per la trattuta della seta, vale a dire il dipanamento del filo tratto dal bozzolo.

L’Abbadia ha avuto un ruolo importante nella bonifica della zona: si deve all’opera dei monaci la fitta rete di “bealere”, cioè canali, che caratterizzava questa zona, abitata in prevalenza da comunità di lavandai, ancora nell’Ottocento e nei primi decenni del Nocvecento, nella attigua zona di Bertolla.

Pietro Abate Daga, nel suo viaggio cittadino intitolato Alle porte di Torino (1926) scrive così, nel capitolo L’avvenire della Barriera di Stura: “Ora non è più considerata che come una grande tenuta agricola, dotata di speciali diritti d’acqua e di una parrocchia, la quale esercita la sua giurisdizione ecclesiastica sopra un largo territorio, che abbraccia anche il Villaretto. Dei molti terreni, circa seicento giornate piemontesi, che compongono questa tenuta, i due terzi sono stati ceduti alla Viscosa. Come azienda agraria l’Abbadia perde quindi gran parte della sua importanza. La conserva invece per le industrie che si sono impiantate sulle sponde della sua grande bealera, quali la Fabbrica di tappeti del comm. rag. Giovanni Mercandino e la fabbrica di concimi chimici Fino. Per le sue comunicazioni con Torino è servita dalla tranvia elettrificata Torino – Settimo dei fratelli Ghigo”.

La chiesa di San Giacomo (o dell’Abbadia), invece, avrà un finale inglorioso. Risulta seriamente danneggiata dai bombardamenti dell’ultima guerra mondiale, viene dichiarata inagibile nel 1954 e poi sconsacrata nel 1960. Dopo un decennio di oblio, in cui era diventata un magazzino, il 13 giugno 1972 subisce un incendio che distrugge coro e affreschi. Nel 1973 il pittore Gianni Zattarin compera la chiesa, il campanile e un fabbricato, per crearvi un atelier e un ritrovo per artisti, secondo le mode del tempo; la mancanza di fondi e autorizzazioni ha fatto naufragare quel progetto, e non ne sono arrivati altri, nonostante le proposte e proteste del quartiere e delle associazioni del territorio. Quello che è stato per secoli un edificio di culto oggi è incassato tra fabbricati industriali, magazzini, aziende di logistica e cascinali abbandonati; la facciata, chiusa da un cortiletto e dominata dalla torre campanaria, presenta somiglianze con il campanile del Santuario della Consolata. Potrebbe essere stata progettata anch’essa da Bruningo, monaco benedettino e architetto? All’interno, non visitabile, rimangono alcuni stucchi a forma di conchiglia, un simbolo del pellegrinaggio e una cappella laterale romanica.

Un capitolo a parte riguarda la zona a levante del complesso, l’ex filatoio, che ha avuto una storia complessa. Dopo i Ceriana, nel 1872 diventa comproprietà fra il banchiere e negoziante in seta Amato Gaydou e David Emanuel Levi (e figli). Nel 1898 subentra Candido Lora – Totino; nel 1901 passa ai fratelli Gandolfi, famiglia di cotonieri che lo mantiene fino al 1913. Dopo tale data, il finanziere Giovanni Mercandino ne fa una fabbrica di tappeti. Nel 1943 diventa SAPEM Società Anonima Penne e Matite (ragione sociale temporanea della fabbrica Aurora); oggi i locali sono proprietà Aurora, che ancora produce penne in loco, oltre ad aver allestito un museo storico e della scrittura.

Non lontana da Torino, vicino a svincoli di tangenziali e autostrade, in mezzo a molti centri commerciali, l’Abbadia di Stura sarebbe un luogo alla portata di molti moderni “pellegrini” del commercio e del trasporto, oltre ai tanti che frequentano i grandi centri commerciali. Serve un progetto credibile e compatibile con la sua storia e con il territorio in cui è inserita, accompagno dagli indispensabili fondi per un’opera di recupero, restauro e nuova valorizzazione turistica.

Note

(1) Papa Eugenio III (1080 circa – 1153). Monaco cistercense, Papa dal 1145; nel 1872 è stato proclamato beato da Papa Pio IX.

(2) Tommaso I di Savoia, detto l'Amico dei Comuni per via delle ampie libertà concesse ai suoi comuni (Castello di Charbonnières, 20 maggio 1178 – Moncalieri, 1º marzo 1233), è stato Conte di Savoia e Conte d'Aosta e Moriana dal 1189 alla morte.

(3) Tommaso Brancaccio (Napoli, 1370/1380 – Roma, 8 settembre 1427) è stato uno pseudocardinale italiano (creato dall'antipapa Giovanni XXIII nel concistoro del 6 giugno 1411), poi confermato da Papa Martino V.

(4) Papa Martino V, nato Oddone (o Ottone) Colonna (Genazzano, 25 gennaio 1369 – Roma, 20 febbraio 1431), è stato il 206º papa della Chiesa cattolica dal 1417 fino alla morte. Durante il suo pontificato viene ricomposto lo Scisma d'Occidente.

(5) Banchieri Ceriana. Carlo, Vincenzo e Pietro, figli di Giuseppe, costituiscono (1850) a Torino una società per l'esercizio delle filature e dei filatoi, la compravendita e filatura di seta ed organzini; e per operazioni di banca anche per conto terzi; il fondo sociale era di lire 400.000, e la ragione sociale F.lli Ceriana. Costituiscono, con capitale di quattro milioni di lire, la Società Snonima Banco Sete (insieme ai banchieri torinesi Defernex, Ogliani, Soldati e Dupré), e le Casse di Sconto di Torino e di Genova. Nel 1863, con il patrocinio dei Rothschild, avviene la fusione tra la Cassa di Sconto di Torino e il Banco Sete, sotto la nuova denominazione sociale di Banco Sconto e Sete. La F.lli Ceriana è tra i fondatori della Banca di Torino nel 1871. La Banca Ceriana partecipa alla fondazione della Fiat, ne diventa nei primi anni del Novecento la banca di fiducia. Nel 1908 interviene con la Banca Grasso e Marsiglia e la Banca Commerciale Italiana, al fine di reintegrare il capitale della società automobilistica torinese.

Altre notizie di
Voci e cose dal Piemonte