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Voci e cose dal Piemonte
La chiesa di San Pietro al Rosario, a Novara, tra Controriforma e Barocco
Novara, esterno chiesa San Pietro al Rosario
Alla scoperta delle Storie di San Pietro Martire, predicatore domenicano
Articolo di Ezio Marinoni
Pubblicato in data 21/01/2023

La chiesa di San Pietro al Rosario si apre nell’area pedonale nel centro di Novara, in via dei Tornielli 6, e risale al periodo tra Controriforma e Barocco. Una serie di dipinti, al suo interno, ci porteranno alla scoperta di un martire domenicano dei primi tempi dell’Ordine dei frati predicatori.

Spostiamoci al periodo successivo al Concilio di Trento e seguiamo gli inizi di questa chiesa novarese. La data ufficiale dell’inizio dei lavori può essere considerata il 30 aprile 1599, quando il vescovo Bascapè (1) posa la prima pietra. Il sito prescelto è l’area su cui sorgeva la chiesa romanica dedicata ai martiri Quirico e Giulietta, poi chiamata Santa Maria di Ingalardo (della medioevale basilica rimane soltanto l'abside su via Tornielli). Il secondo momento della sua storia è il 1618, anno in cui terminano i lavori e il vescovo Taverna (2) consacra l’edificio al culto. La chiesa di San Pietro diventa poi sede dei Domenicani, che avevano abbandonato la loro sede al di fuori delle mura, in seguito ad un’imposizione spagnola volta a disporre di nuove fortificazioni. Nel 1805 subisce le soppressioni napoleoniche e una ristrutturazione.  

Oggi la chiesa presenta una facciata a due ordini, decorata da statue ottocentesche. All’interno è a navata unica, con quattro cappelle per lato, assegnate in patronato ai consorzi artigiani cittadini.

Sulla destra troviamo le cappelle dedicate al Crocifisso, a San Giuseppe, al Sacro Cuore di Gesù e alla Madonna del Rosario (con una quattrocentesca Madonna che allatta il Bambino).

Sulla sinistra, oltre al monumento funebre di Amico Canobio (3), incontriamo le cappelle dedicate a San Biagio, a San Vincenzo Ferreri e a San Domenico. Unica memoria di Santa Maria di Ingalardo è un gruppo marmoreo quattrocentesco della Vergine col Bambino, facente parte della chiesa primitiva. La cappella di San Domenico è decorata con affreschi di Melchiorre Gherardini (16078-1668), detto il Ceranino; la cappella del Rosario, il presbiterio e il catino absidale hanno affreschi di Giovanni Mauro della Rovere, il Fiammenghino (1575-1640).

I documenti più antichi che ci raccontano la decorazione interna risalgono al 1620: si tratta del pagamento a Giulio Cesare Procaccini per la realizzazione della grande tela della Madonna del Rosario con i santi Domenico e Caterina (forse una delle ultime dipinte dall’artista, morto nel 1625). La pala decora l’omonima cappella, insieme ad altri due dipinti di dimensioni più ridotte raffiguranti la Sacra Famiglia e l’Adorazione dei Magi, attribuiti a Giuseppe Vermiglio.

Qualche anno dopo, a seguito della peste che devasta la città e i dintorni tra il 1627 e il 1630, raccontata da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi, viene presa la decisione di terminare le decorazioni eseguite dal Fiamminghino: il pittore soddisfa talmente le aspettative della committenza che, intorno al 1637, gli iscritti alla Milizia di San Pietro Martire assegnano ancora a lui le decorazioni della volta del presbiterio e del coro, per onorare il loro Patrono, San Pietro Martire (4). L’opera si suddivide in sette grandi scene che rappresentano la vita del predicatore domenicano duecentesco: la Battaglia contro gli eretici a Firenze; San Pietro che parla ai Milanesi dalla piazza di Sant’Eustorgio; San Pietro che risana un giovane riattaccandogli un piede amputato; San Pietro che ridona parola e udito a un sordomuto; la scena del Martirio (nell’abside); la Vergine che accoglie l’anima di San Pietro; San Pietro ai piedi della Santissima Trinità (nella volta del presbiterio).

Intorno al 1665 il Ceranino eseguirà gli affreschi de "La storia della Maddalena" nella cappella di San Domenico e quelli della cupola che rappresentavano la Gloria dei santi domenicani. La navata è decorata dal quadraturista lombardo Federico Bigioggero, che, con uno schema in voga nel barocco, dipinge una finta struttura architettonica, con balconata e loggiato, per dare l’impressione di maggiore profondità. Il centro della volta è decorato da un altro pittore lombardo: Giovanni Stefano Danedi, detto il Montalto, autore della Gloria di San Domenico alla presenza della Santissima Trinità e della Sacra Famiglia.

Tanta arte in un ambiente silenzioso e in penombra, con luci tenui che invitano a leggere i tanti affreschi e opere d’arte presenti. Appena entrati in questa chiesa si apprezzano i suoi chiaroscuri, in un silenzio che invita al raccoglimento: quando si richiude la porta d’ingresso, rimangono fuori i rumori e le voci del via vai nel centro di Novara e gli occhi possono portare l'anima in un ideale viaggio nel passato, fra Controriforma e Barocco.

Foto di Chiara Marinoni.

Note

(1) Giovanni Francesco Bascapè (Melegnano, 25 ottobre 1550 – Novara, 6 ottobre 1615). Al secolo Giovanni Francesco a Basilica Petri (italianizzato in Bascapè, nome di un borgo di Marignano [Melegnano] di cui la sua antica e nobile famiglia era feudataria. L’originalità dell’opera del Bascapè racconta le intenzioni, le prospettive e le gesta della Riforma tridentina, nello spirito di san Carlo Borromeo. Con l’Arcivescovo di Milano il Bascapè ha lungamente collaborato in sintonia di spirito e di opere.

(2) Ferdinando Taverna (1158 – 1619). Nasce a Milano da nobile famiglia, figlio di Cesare Taverna e Antonia Beccaria. Grazie agli appoggi del potente zio monsignor Ludovico Taverna (vescovo di Lodi dal 1579 e già titolare di molti incarichi come governatore o nunzio in Italia e all’estero) diventa referendario del Tribunale della Segnatura dal 1588; poi Governatore di Viterbo (1591), di Città di Castello (1595) e di Fermo (1596); Collettore e infine Nunzio in Portogallo (1596-98), per rientrare in Italia e assumere il Governatorato di Roma tra il 30 aprile del 1599 e il 9 giugno del 1604. Papa Clemente VIII lo crea cardinale nel 1604. Il 16 novembre 1615 è eletto vescovo di Novara, dove muore ed è sepolto.

(3) Amico Canobio (Novara, aprile 1532 – Isola di San Giulio, 25 settembre 1592). Figlio di Francesco e dalla nobildonna Tommasina Caccia. Intrapresa la carriera ecclesiastica, nel 1556 riceve gli ordini minori a Vigevano. Nel 1564 è nominato monsignore, ciambellano e maestro di camera del pontefice. Pio IV lo incarica dell'ufficio di abbreviatore delle lettere apostoliche. Il 16 aprile 1570 Ottavio Farnese, duca di Parma e marchese di Novara, lo nomina commissario e procuratore speciale per l'affidamento dei beni appartenenti ai benefici ecclesiastici del marchesato di Novara. Muore nel 1592 sull'isola di San Giulio, durante la progettazione del Sacro Monte di Orta; i funerali sono celebrati nella chiesa di San Giuliano, in Novara. La monumentale tomba è realizzata poco dopo e posta in Duomo; nel 1863, in occasione della demolizione del vecchio duomo ad opera di Alessandro Antonelli, è trasferita nella chiesa di San Pietro al Rosario e posta nella prima cappella a sinistra.

(4) Pietro da Verona, o Pietro Martire, al secolo Pietro Rosini (Verona, 1205 circa – Seveso, 6 aprile 1252), è stato un predicatore dell'Ordine dei Domenicani. Nasce da famiglia catara. Compie i suoi studi all'Università di Bologna e decide di entrare a far parte dell'Ordine dei Frati Predicatori al tempo in cui Domenico di Guzmán è ancora vivente. È ricordato in particolare per la sua tenace opposizione alle eresie, soprattutto nei confronti di quella catara. Nel 1240 diventa Priore del convento domenicano di Asti; nel 1241 in quello di Piacenza. A Como, diventa Priore del monastero di San Giovanni in Pedemonte, un tempo situato dove oggi sorge la stazione ferroviaria di Como San Giovanni. Nel 1252 viene assassinato da sicari con nella foresta di Seveso, in territorio che oggi è nel comune di Barlassina (nel luogo del martirio, al confine con Seveso, è stata edificata una piccola cappella), mentre si recava a piedi da Como a Milano. Le agiografie riportano che intinse un dito nel proprio sangue e con esso scrisse per terra la parola "Credo", cadendo poi morto.

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