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Cultura
San Serafino di Sarov
Gloria di un sole che non tramonta di Mario Marchisio
Articolo di Chicca Morone
Pubblicato in data 08/02/2023

“Per quel che riguarda la preghiera nulla la impedisce: ognuno ha la possibilità di pregare, il ricco e il povero, l'uomo benestante e quello indigente, il forte e il debole, il sano e il malato, il virtuoso e il peccatore” e da questo concetto possiamo iniziare ad apprezzare gli insegnamenti di Serafino di Sarov, uno dei tre santi ortodossi più amati, non solo dal mondo orientale.

Infatti Giovanni Paolo II ha voluto onorarlo facendolo rappresentare nella Cappella Redemptoris Mater della II loggia del palazzo apostolico in Vaticano, terminata nel 1999: umiltà, preghiera, devozione e sacrificio sono forse le caratteristiche più amate dal pontefice che veniva proprio da un Paese dell’Est europeo.

 

Colpisce il fatto che fosse chiamato il “poverello di Russia” con una chiara vicinanza a San Francesco d’Assisi, il nostro santo spesso rappresentato in compagnia con gli animali: anche di Serafino ci sono immagini che lo ritraggono nel bosco, dove il viveva in eremitaggio, con un’orsa che si diceva essere mite e docilissima ai suoi piedi.

Ci lascia la testimonianza dell’importanza della preghiera come respiro della persona: non diversamente dalle pratiche delle religioni orientali, il ripetere le parole sacre con costanza - un mantra - avvicina l’uomo al divino per ricevere l’illuminazione dallo Spirito Santo.

“Acquista la pace interiore e migliaia intorno a te troveranno la salvezza”, come se in effetti si potesse diventare sorgente di calore e riferimento per chi è in cammino: e Serafino significa proprio “il fiammeggiante”.  

 

 

Serafino di Sarov, insieme a Sergio di Radonež (XIV secolo), è forse il più famoso santo e taumaturgo dell'ormai millenaria storia dell'Ortodossia in Russia.

 

Nato a Kursk nel 1759, fin da bambino ricevette segni inequivocabili del suo legame privilegiato con la famiglia celeste. Come quando, all'età di sette anni, cadde da un'alta impalcatura rischiando di morire. Subito gli apparvero la Vergine Maria e san Giovanni Evangelista, i quali non soltanto lo salvarono ma furono uditi scambiarsi lusinghiere, profetiche parole sulla tempra del futuro santo: «Questo è uno della nostra stirpe!».

 

Fra i più importanti contributi su san Serafino tradotti in italiano, spiccano i lavori di Irina Gorajnov e Justin Popovi?, cui rinvio il lettore che fosse incuriosito da queste mie poche righe sull'avventura terrena di un'anima tenacemente fedele a Cristo nel suo proposito di continua purificazione.

 

Diciannovenne, Serafino (al secolo Prochor Mošnin) entrava come novizio nel monastero di Sarov, nella regione di Nižnij Novgorod. Monaco dal 1786, e poco dopo consacrato sacerdote, intorno al 1795 sperimentò una profonda vocazione eremitica e col consenso del suo superiore si stabilì in una capanna nella foresta, dedicandosi all'ascesi più severa, sulle orme dei primi anacoreti cristiani nel deserto della Tebaide.

 

Preghiera, digiuno, penitenza: ecco il segreto, semplice quanto arduo da mettere in pratica, che ha gli permise, nella totale rinuncia a se stesso, di ricevere dal Signore «grazia su grazia» (Prologo del Vangelo di Giovanni).

 

Dopo molti anni di durissima ascesi, Serafino fece ritorno al monastero e a partire dal 1815 – ormai cinquantaseienne – iniziò a ricevere chiunque volesse confessarsi, senza però rinunciare al silenzio che si era scelto come norma di vita.

 

Infine, nel 1825, interruppe quel lunghissimo silenzio ricevendo, nella sua minuscola cella priva di finestre, pellegrini e malati in cerca di salvezza.

 

Il suo abbraccio e i suoi consigli hanno restituito la salute fisica e spirituale a un esercito di persone in balìa della sofferenza.

 

Non parlerò di quali miracoli Dio abbia operato per mezzo di padre Serafino, innumerevoli e commoventi. Mi limiterò invece a un breve cenno su un avvenimento prodigioso di cui fu testimone oculare Nikolaj Motovilov, che si era spinto fino al luogo in cui lo staretz viveva in mezzo ai lupi e agli orsi, cibandosi di erbe bollite in una vecchia casseruola.

 

Ed ecco, mentre il santo parlava a Motovilov, questi vide la sua figura completamente circonfusa di una luce indescrivibile: l'intensa nevicata che stava ricoprendo ogni cosa non sfiorava nemmeno il corpo di padre Serafino e lo stesso Motovilov beneficiò di questo dono soprannaturale.

 

Allora il monaco si rivolse al suo sbalordito ospite: «Lo scopo della vita umana» disse «consiste nell'acquisizione dello Spirito Santo. Ogni altro scopo, per quanto nobile e meritevole, è secondario».

 

Solo acquisendo lo Spirito Santo, infatti, gli esseri umani portano a compimento il comando che Cristo ha dato loro: «Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Matteo 5, 48).

 

Padre Serafino morì a settantatre anni mentre in ginocchio stava trascorrendo la notte in preghiera. Fu trovato il giorno seguente in quella stessa posizione. Era la prima volta che non poteva salutare il suo interlocutore con la frase a lui più cara: «Mia gioia, Cristo è risorto!».

 

Immagine in copertina, olio su tavola di Daniela Rizzo.

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