APRI
IL
MENU'
Di tutto un po'
La foresta del terrore
Di Francesco Cordero di Pamparato
Articolo di Milo Julini
Pubblicato in data 25/02/2023

La polis di Pellas, nell’antica Grecia, era un paese felice. Intorno alla città si estendevano campi, pascoli e uliveti. Solo da un lato incombeva minacciosa una foresta che tutti temevano. Nessuno ne era più uscito, né vivo né morto. Si diceva fosse abitata da mostri terribili.

Il sovrano, vedovo in giovane età, si era risposato con la bellissima Ippolita, che si era dimostrata una moglie dolce e gentile. Entrambi avevano un figlio maschio. I bambini erano diventati inseparabili. Giocavano felici senza pensare al futuro. Erano passati alcuni anni. I genitori erano lieti di vedere quanto si volevano bene e fossero affiatati. L’affetto tra i due bambini andava però ad incrinarsi. Man mano che crescevano, Kalos, il figlio di re Atreo, si dimostrava migliore in tutto rispetto a Ippia, il figlio di Ippolita. Era primo in tutti i giochi, lanci di pesi, disco e giavellotto così come nella corsa e nella lotta.  Re Atreo era entusiasta di suo figlio, ma non si accorgeva che il germe malsano dell’invidia si era introdotto nella mente della moglie e del figliastro. Tutto cominciò quando i due ragazzi iniziarono a partecipare alle gare nello stadio, con i loro coetanei.

Kalos era il migliore. Rapidamente era diventato un beniamino del popolo. Si sperava che avrebbe vinto qualche premio nei giochi sacri, specie l’Olimpiade.

Ippia si sforzava di competere con l’amico, ma non c’erano speranze. Kalos era molto più prestante. Tra i due c’era un vero abisso. Ippia non se la prendeva, almeno in apparenza.

La madre no.

Ippolita non sopportava tale situazione. Nel frattempo, anche il maestro d’arme aveva dichiarato al re che suo figlio ormai era più bravo di lui con la spada e con la lancia. A cavallo era un piacere vederlo.

Ippolita aveva sempre sperato che suo figlio un giorno potesse diventare lui li re di Pellas. Davanti alle doti e al carisma di Kalos, le sue speranze e i suoi sogni svanivano. La conferma la ebbe quando Atreo le confidò che, dopo il plenilunio, avrebbe annunciato di aver scelto il proprio figlio come erede e successorie.

Come tu vuoi caro: sei il re e Kalos è un ragazzo straordinario, ed è sangue del tuo sangue” rispose la regina. Dentro di sé era rosa dall’invidia. L’amore per il figliastro si stava trasformando in odio. Non poteva prendersela con Ippia. Sapeva che il giovane si impegnava al massimo, ma non c’era niente da fare.

Ma non c’era davvero?

Nell’animo della donna si insinuarono i pensieri più neri e nefasti.

Lei voleva il trono per suo figlio.

Non sapeva cosa fare, ma a volte il Fato si intromette nelle vicende umane e cambia le carte in tavola in modo clamoroso e scombina i progetti degli uomini. Re Atreo era andato a caccia al cinghiale, ma la bestia aveva avuto il sopravvento. Il sovrano era rimasto ucciso.

Kalos era ancor giovane. Ippolita comprese che la situazione sembrava creata dagli dèi a suo favore. Dopo la cerimonia funebre, si presentò al popolo dall’alto del palazzo. Era vestita sobriamente, aveva un atteggiamento triste, ma la sua bellezza e la sua personalità si imposero. Prese quindi la parola.

Popolo di Pellas, il nostro amato re Atreo è morto. Io Ippolita, sua moglie assumo la reggenza sino a quando non sarà il momento di nominare un successore. Suo figlio è ancora troppo giovane per essere re. Conto sulla fedeltà di tutti i sudditi per compiere il difficile compito che mi aspetta. Vi invito tutti a tornare nelle vostre case e a pregare per il nostro defunto re. Vi amo mio popolo”.

L’applauso e l’ovazione alla regina furono meno imponenti di quanto si aspettasse e sperava.

Ippolita si ritirò preoccupata.

Sapeva benissimo che un sovrano non regna, senza il consenso dei ministri e dell’esercito, o almeno di una vasta parte di questi due organismi. Il giorno dopo convocò Antioco, il più fedele di tutti. Era il comandante dell’esercito e come tale, molto potente. La regina sapeva che le era fedele in quanto lei gli piaceva follemente. Date le circostanze, per il potere, sarebbe stata disposta a farne il suo amante. In fondo l’uomo era uno dei ministri più scaltri.

Antioco, in imbarazzo, le comparve, era un bell’uomo maturo e prestante. La regina gli piaceva, ma era la sovrana.  Lo aveva convocato, ma non sapeva cosa volesse. In ogni caso avrebbe dovuto agire come lei voleva. Si inchinò come di rito: “Eccomi mia signora, tu mi hai convocato e sono qui ai tuoi ordini”.

Ippolita avvertì l’imbarazzo dell’uomo.

Gli fece un grande sorriso: “Benvenuto Antioco, tu sei uno degli uomini a me più fedeli e… più caro. Ho quindi deciso di metterti a conoscenza dei miei progetti per il futuro, confido che mi sarai leale anche in quest’occasione. Prometto che sarai ben ricompensato”. La donna sorrise di nuovo.

Sono ai tuoi ordini, o mia regina”.

Ippolita assunse un’espressione dura: “Ho deciso di prendere il potere, perché voglio che sia mio figlio a diventare re. Non mi piace Kalos, ma soprattutto Ippia è sangue del mio sangue”.

Ti comprendo mia regina e sarò al tuo fianco, ma il partito di Kalos è forte. Il ragazzo è il beniamino del popolo. È bello, intelligente, bravo nei giochi, generoso, non facile”.

Lo so, e sto pensando come liberarmi di lui in un modo che non faccia sospettare di me. Tu intanto indaga tra gli altri ministri di Corte. Voglio sapere cosa pensano dei due ragazzi. Non vorrei che fossero in molti a non voler Ippia. Ci sentiremo tra qualche giorno, appena saprai dirmi delle novità. Penso sia più saggio non dire niente a mio figlio”.

Ti chiedo di congedarmi, mia signora”.

Vai Antioco, ci rivedremo presto e allora sarai ricompensato… come tu speri”. La regina gli regalò un ultimo magnifico sorriso e Andronico si allontanò molto soddisfatto. Ippolita, per scaramanzia, non gli aveva detto che aveva mandato un servo fedele a interrogare l’oracolo.

Nei giorni seguenti, vi furono i giochi in onore del re defunto. Anche questa volta Kalos si distinse per bravura. Il popolo lo applaudì a lungo e si mise a cantare Kalos re!

Per la regina lo smacco fu grande.

Il giorno dopo Antioco fu di nuovo convocato a palazzo. Ippolita lo accolse con trepidazione. “Antioco, ti ho chiamato perché questo attaccamento del popolo per Kalos, mi preoccupa molto. Il popolo lo adora. Tu hai qualche novità da dirmi?”.

Mia regina, quello che sento e che anch’io penso, è che Ippia sia apprezzato, perché rispettoso degli dèi. È amato, ma tutti temono che in caso di guerre, non essendo forte, avrebbe poche possibilità di sopravvivere in battaglia. La morte del re ha creato fermenti nelle città vicine e la gente si chiede cosa succederà”.

Tu temi che qualche città vicina ci attaccherà?” chiese Ippolita preoccupata. “Non è da escludere, mia signora. Soprattutto Tebe, adesso che il re è morto potrebbe attaccarci, ma manderò delle spie a verificare”.

Ti ringrazio Antioco”.

L’uomo si allontanò sempre avendo in mente la bellissima regina. Per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Dopo qualche tempo, il servo che era andato a sentire l’oracolo si presentò alla sovrana: “Mia signora, la Pitonessa si è espressa: chi regnerà dopo il morto sarà ucciso”.

La donna rimase perplessa. Non capiva, ma l’idea che Ippia potesse essere ucciso, la terrorizzava. Sembrava prestante, ma non era un soldato valoroso. Pensò di rivolgersi agli dèi. Durante la notte si recò al tempio di Zeus. Si guardò intorno, la città era tranquilla, soltanto la foresta del terrore incombeva minacciosa in lontananza. Si credeva sola, ma si sbagliava. Kalos aveva capito che la regina non lo amava e la controllava da alcuni giorni.

Ippolita aveva invocato il re degli dèi e una figura luminosa le apparve.

Sei tu o mio signore?” chiese preoccupata.

Sì, sono io. Mi hai chiamato. Di cosa hai bisogno? Parla!”.

O mio signore, ti supplico proteggi mio figlio! Ha perso il padre da piccolo, io invece ho perso già due mariti. Ti prego, non darmi un altro lutto”.

La figura diventò ancora più luminosa e la voce sembrava un tuono: “Io ti giuro che tuo figlio non sarà ucciso né da uomo, né da un dio o semidio e da nessun animale vivente. Questa è la mia volontà”.

Ti ringrazio mio signore. Ti giuro che ti dedicherò un sacrificio importante. Un’ ecatombe (*) almeno”.

La luce si dissolse.

La donna ritornò a palazzo. Kalos si dileguò. Aveva capito che sarebbe dovuto scappare in fretta, se non voleva essere ucciso. Il mattino dopo, il giovane sentì un certo subbuglio e rumore di passi, che si dirigevano verso le sue stanze. Intuì che erano soldati della regina, che venivano per catturarlo. Saltò agilmente fuori dalla finestra e si diede alla fuga. Gli uomini lo rincorsero, ma lui era più veloce. Lo tallonarono sino alla foresta del terrore, in cui lui si avventurò senza esitazione. Gli inseguitori ebbero un attimo di smarrimento. Sapevano quanto fosse pericolosa. Inseguirlo lì dentro significava morte certa, e lui sicuramente sarebbe stato ucciso da qualcuno dei mostri che si diceva lo abitassero. Spinti dallo zelo e dal terrore per la regina, la maggior parte di loro si fece coraggio ed entrò.

Intanto Kalos, seppure titubante si era addentrato non poco. La luce era scarsa e non sapeva come orientarsi. Sentiva misteriosi rumori. Ad un certo punto vide un mostro orrendo che gli veniva contro. Era un enorme rettile con quattro grandi zampe e che marciava quasi eretto con due delle zampe in alto sul corpo. Avevano dita armate con artigli enormi. La paura lo aveva bloccato. Non riusciva a scappare. Si guardò intorno: Dietro di sé sentì le urla degli inseguitori: erano stati attaccati da altri mostri.

Cosa fare?

Si sentì perduto. A un tratto vide una testa umana sbucare tra gli alberi. Qualcuno veniva verso di lui! La strada che la persona stava seguendo andava a incrociarsi con quella del mostro. La bestia lo avrebbe sicuramente ucciso. Cercò di gridare, la testa si girò verso il mostro e sorrise. Kalos era sbalordito. Come poteva rimanere tranquillo? Quando la testa incrociò il mostro, questi si dissolse come la nebbia al sole. Presto l’uomo gli comparve, ma non era un uomo, bensì un centauro.

Kalos stupito gli chiese: “Tu sei un centauro? Chi sei, qual è il tuo nome?”.

Il viso gli sorrise: “Sì, sono Chirone e sono un centauro. Il mostro che tu hai visto in verità non esiste. Però avrebbe potuto ucciderti. È una proiezione di te. Di quello che hai dentro”.

Scusa, ma non capisco. Se non esiste come fa a uccidere?”.

Voi uomini siete sempre stolti. Per questo molti sovrani mi mandano i loro figli a imparare la saggezza. Quello che hai in te, ma solo quello che è brutto diventa talmente negativo che può ucciderti. Gli altri non lo vedranno, ognuno di noi vede i suoi mostri”.

Tu hai dei mostri Chirone? Come fai a passare indenne questa foresta?”.

Anch’io ho i miei mostri, ma li ho vinti e adesso mi obbediscono. Ormai sono innocui. Se vorrai ti insegnerò a vincere i tuoi”.

Lo voglio Chirone”.

Allora sali sulla mia schiena e ti porterò alla ma caverna. Dovrai passare molto tempo con me”.

I due si allontanarono. I soldati sopravvissuti tornarono in città e raccontarono alla regina cosa era successo: come Kalos si fosse infilato nella foresta maledetta e non ne fosse più uscito. Numerosi uomini erano entrati, ma erano stati tutti massacrati dai terribili mostri della foresta.

Ippolita sorrise. “Poco male - pensò - nessuno è mai sopravvissuto alla foresta, non sarà certo Kalos il primo a salvarsi”.

Qualche tempo dopo, i soldati di Tebe entrarono nelle terre di Pellas, per fare razzia, ma furono ricacciati da un reparto di cavalleria guidato da Ippia, che li sconfisse. Si sapeva invulnerabile e aveva combattuto senza paura. Questa vittoria lo aveva fatto diventare un eroe per i concittadini. Così la madre ebbe buon gioco a incoronarlo re, sottolineando come invece Kalos, con la paura dei tebani, fosse scomparso misteriosamente.

Il centauro aveva portato il giovane alla sua grotta. Lo aveva fissato negli occhi. “Vedi Kalos, la foresta è come il labirinto di Knosso. È un luogo dove ci si perde per ritrovarsi. Troverai dei mostri, non sono il minotauro, ma come Teseo puoi ucciderli, se ti fidi di te. I mostri sono entro di te, non fuori. Con il coraggio li sconfiggerai. Va nella caverna. Non perderti. Dovrai provare molte volte, ma ci riuscirai”.

Il potere intanto aveva dato alla testa del povero Ippia. Non era tagliato per regnare, era debole e faceva quello che la madre gli imponeva. Quando certe leggi si rivelarono inique, la popolazione si ribellò. Il sovrano, invece di ascoltarla, ordinò una repressione feroce. Nei tumulti che ne nacquero, Ippolita e Antioco, il suo amante, avevano perso la vita. Il sovrano volle vendicarli e diventò ancora più crudele. Moltissimi furono i condannati a morte.

La notizia giunse anche alla grotta di Chirone. Kalos, seppe dei massacri. Venne anche a sapere che era stato Ippia, ora diventato re. Non poteva tollerare. Andò da Chirone, che aveva intuito: “O Chirone, Ippia mi ha usurpato il trono e lo sta gestendo in modo scellerato. Non posso permetterlo e voglio tornare a Pellas per fermarlo. Il trono è mio e il popolo mi ama, non posso accettare simili crimini”.

Come pensi di fermarlo? Sai che Zeus lo ha reso invulnerabile?

Sì, o Chirone, ero presente quando il Dio lo ha fatto”.

Che gli dèi ti assistano. Vai, ma sii prudente, tu sei forte, ma non invulnerabile”.

Kalos prese la strada per Pellas. Come lo avrebbe accolto la popolazione, dopo mesi che era stato lontano? Non lo sapeva. A mano a mano che si avvicinava alla città, la gente lo riconosceva e lo salutava con amicizia. Molti lo seguirono. Ippia era diventato talmente odioso, che a Kalos era stata immediatamente perdonata la fuga. Giunse in città seguito da tantissima gente. Ippia ebbe paura. Non osò mandargli contro le guardie, temeva potessero passare dalla parte dell’avversario. Lo avrebbe affrontato lì nel palazzo. Sì, lo avrebbe sfidato, tanto lui era invulnerabile. Quando Kalos gli comparve, Ippia lo affrontò. Era molto sicuro di sé: “Così Kalos, adesso che non ci sono guerre sei venuto a reclamare il trono? Lo vuoi? Se lo vuoi dovrai batterti con me. Gli dèi daranno la vittoria a chi lo merita realmente”.

I dignitari si sentirono a disagio. Non amavano Ippia, ma sapevano che nessun uomo avrebbe potuto ucciderlo. Cosa sarebbe successo con Kalos? Questi invece sorrise e fissò negli occhi l’usurpatore: “Accetto la tua proposta o Ippia, ma tu devi accettare la mia. Io sono sopravvissuto alla foresta del terrore, segno che gli dèi mi amano. Se tu sei caro agli dèi, battiamoci lì all’interno del bosco. Se però hai paura, tieniti pure il trono. Tanto lo perderai”.

Ippia si era infuriato: “Va bene caro il mio presuntuoso! Ci batteremo proprio nella foresta. Sarà l’ultima cosa che farai”.

L’indomani, all’alba i due si avventurarono nella selva, partendo da punti diversi, lontani un miglio uno dall’altro. Molti li avevano seguiti, curiosi come sempre. I più speravano in Kalos, ma Ippia sembrava invulnerabile. Non passò molto tempo che si sentirono urla arrivare dalla foresta. Prima di paura poi di dolore.

Di chi era la voce?

Non si capiva.

Dopo poco comparve Kalos. Si trascinava dietro il corpo di Ippia. Era morto e il cadavere era orrendamente maciullato. Come era stato possibile? Kalos sorrise: “So cosa pensate, come poteva essere ucciso? Avevo sentito il giuramento di Zeus. Nessun essere vivente avrebbe potuto ucciderlo. Solo queste entità. Le negatività che abbiamo in noi generano i mostri. Sono una parte di noi che ognuno crea. Solo lui li vede. Ippia, era debole, ma era stato buono. I suoi mostri erano i rimorsi e loro lo hanno ucciso”.

Francesco Cordero di Pamparato

 

(*) Ecatombe: ecaton Bos. In greco significava il sacrificio di cento buoi.

Fonte delle immagini: Pixabay

Altre notizie di
Di tutto un po'