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Cultura
Manzoni in collegio
La formazione del giovane Manzoni presso il collegio dei padri Somaschi a Merate
Articolo di Patrizia Lotti
Pubblicato in data 04/03/2023

Sono passati centocinquant’anni dalla morte di Alessandro Manzoni, poco più di centottanta dalla “quarantana” (cioè l’edizione definitiva  dei Promessi Sposi pubblicata nel 1840, dopo che l’autore  ebbe ben  “risciacquato in Arno” la precedente “ventisettana”), ma per fortuna gli studi su di lui e la sua opera non accennano a diminuire.

Nel 2019 è stato pubblicato un interessante articolo di Lorenzo Proserpio, docente e studioso di storia locale del meratese, in Brianza, sul collegio dei padri Somaschi, dove il piccolo Alessandro, futuro deputato, senatore e soprattutto autore del più celebre romanzo della letteratura italiana, venne educato dal 1791 al 1796. Vale a dire dai sei agli undici anni, un percorso che potremmo definire quello della scuola elementare attuale. Il collegio dei padri Somaschi venne fondato grazie ad un consistente lascito in denaro ed immobili dei coniugi Giovan Battista Riva ed Anna Spoleti, ricchi possidenti locali senza eredi, in accordo con il cardinale Federico Borromeo ed il medico Scipione Albani, anch’egli benemerito cittadino e filantropo.

La storia del collegio si snoda quindi dal seicento fino ai giorni nostri, considerato che l’istituzione continua ancora oggi la sua missione educativa, anche se l’edificio dell’antico collegio è oggi occupata dalla scuola media statale. Le  lezioni impartite al piccolo Alessandro seguivano il cosiddetto Metodo Normale, già introdotto qualche anno prima dal governo austriaco in Austria e in Tirolo, che comportava l’insegnamento simultaneo a più alunni, la divisione in classi, norme didattiche precise per quanto riguarda la disciplina, i contenuti e le forme dell’insegnamento, oltre che i criteri di ammissione alla classe successiva.

La disciplina era molto rigida e si dava grande importanza al silenzio e alla pulizia, tanto da istituire in ogni classe un banco per i meritevoli ed uno per i discoli. Quanto alle materie, al piccolo Alessandro vennero impartite lezioni di  grammatica italiana e latina a confronto, sulla base dell’impostazione per cui si riteneva che l’allievo potesse imparare il funzionamento di entrambe le lingue in contemporanea, così come prescritto dalle concezioni illuministiche. “Acciocchè i fanciulli, vedendo prima quella che osservan gli Italiani e poi…i Latini, acquistino più facilmente una piena cognizione dell’una e dell’altra lingua”, troviamo scritto nella Grammatica delle due lingue  italiana e latina di padre Francesco Soave, autore della gran parte dei libri di testo in uso nel collegio. Un metodo  interessante; chissà se funzionerebbe oggi.

Erano anche oggetto di studio il francese, la storia romana e la geometria piana; inoltre i suoi maestri abituarono il giovanissimo Manzoni a leggere, comprendere e commentare le Novelle morali. Si tratta di testi che spingono a meditare sull’umiltà, l’amicizia e la solidarietà umana che hanno la meglio sull’egoismo, la sopraffazione e l’invidia, tematiche che troveranno posto nell’intera produzione manzoniana, dalle tragedie fino ai Promessi Sposi. Naturalmente la preghiera  e l’istruzione religiosa  avevano un ruolo preminente: diversi momenti della giornata erano scanditi dalle preghiere comuni e sullo scalone del collegio è presente ancora oggi un orologio che riporta il motto Initium Sapientiae Timor Domini.

E il piccolo Manzoni come si trovava in collegio a Merate? A lungo si è detto che  il futuro don Lisander proprio non si sentiva a suo agio in quel borgo brianzolo bigotto e sonnolento, incapace di accogliere le novità degli ideali rivoluzionari  e repubblicani portati in Italia dalle armate francesi, come  ci racconta con precisione  un articolo del 1798 a firma di F.Nova, pubblicato a Milano con il titolo Merate rigenerata. Ma soprattutto sono stati i celebri versi del carme In  morte di Carlo Imbonati a dare la misura del disagio provato dal piccolo Manzoni negli anni passati  in collegio:  “Né ti dirò com’io, nodrito/ In sozzo ovil di mercenario armento,/ Gli aridi bronchi fastidendo e il pasto/ Dell’insipida stoppia, il viso torsi/ Dalla fetente mangiatoia, …”

In realtà pare che questi versi siano da riferirsi ad un altro istituto dove fu educato il giovane Manzoni, probabilmente il collegio Longone, gestito dai Barnabiti o il Collegio de’ Nobili, a Milano. É infatti comprovato che Manzoni si recò a Merate nel 1861 e nel 1863  e che in quelle occasioni abbia ringraziato i padri Somaschi per l’educazione ricevuta ed abbia anche chiarito personalmente che i versi del carme non si riferiscono al collegio dei padri Somaschi a Merate.

Quel che è certo, comunque, è che Alessandro non conservò certo un buon ricordo dell’educazione ricevuta, tanto che non volle mandare in collegio nessuno dei suoi figli maschi per non fare subire loro le pene psicologiche e fisiche cui fu sottoposto, anche se ricorda più volte proprio padre Francesco  Soave, del collegio di Merate, come un uomo mite e che seppe tenere in considerazione la sua  natura di bambino malinconico e sensibile. Manzoni criticò anche spesso gli insegnamenti ricevuti, considerati retrogradi e lontani dalle nuove idee rivoluzionarie  da cui il giovane  Manzoni, si sentiva attratto: pare si ostinasse a scrivere chiesa con la “c” minuscola, per esempio (ed è facile immaginare come dovessero prendere la cosa i padri presso cui studiava, Somaschi o Barnabiti che fossero) e che nella tarda adolescenza si sia tagliato il codino, imposto dalle regole della nobiltà di allora come segno di compiaciuta appartenenza  al  mondo dell’ ancien régime e  per questo inviso al giovane ribelle Alessandro.

Curioso pensare come oggi al contrario i capelli lunghi su un ragazzo siano simbolo di ribellione, nonché riflettere  su come l’educazione privata impartita ai maschi di casa Manzoni non  abbia  certo dato buoni frutti, considerati i dispiaceri, i problemi e le delusioni che don Lisander provò davanti al comportamento spesso sconsiderato dei suoi figli. Quanto ai versi del carme In morte di  Carlo Imbonati, non dimentichiamo che furono scritti negli anni in cui Manzoni fu richiamato a Parigi dalla madre in lutto per la morte dell’Imbonati, con cui conviveva dopo la separazione dal conte Manzoni,   e risentono  quindi dell’influenza dell’ambiente libertino e razionalista dei liberi pensatori della città,  avverso alla tradizione e lontano dai preconcetti moralistici  che a Milano alimentavano chiacchiere e maldicenze su Giulia Beccaria, destinata da quel momento in poi a diventare una madre attenta e sempre presente nella vita di suo figlio.

L’arrivo a Parigi segnò per il giovane Alessandro l’inizio di una nuova vita, destinata di lì a poco ad essere dominata dalla “conversione” al cattolicesimo, una svolta a cui certamente la sua educazione non fu estranea.

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