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Politica Nazionale
SARS – CoV-2: Obbligo vaccinale del personale medico-sanitario
Commento alla sentenza n. 14/2023 della Corte Costituzionale
Articolo di Andrea Farina
Pubblicato in data 09/03/2023

Dopo lunghe diatribe l’obbligo vaccinale anti SARS-CoV-2 è giunto al vaglio della Corte Costituzionale che si è espressa con le pronunce nn. 14, 15 e 16 del 09.02.2023.

 

Diversi cittadini, ricorrenti e giudici avevano evidenziato criticità in merito alla normativa che disponeva, per alcune categorie (tra cui il personale sanitario e quello scolastico), l’onere di sottoporsi alla vaccinazione anti SARS-CoV-2, pena la sospensione del rapporto di lavoro e la privazione della retribuzione.

Tra gli altri, sono stati i Giudici del Lavoro dei Tribunali di Brescia, di Catania, di Padova, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia e il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ad aver promosso giudizi di legittimità costituzionale.

Così sollecitata, la Corte Costituzionale si è espressa con le menzionate sentenze che, tuttavia, non hanno sopito le polemiche tra coloro i quali contestano l’obbligo vaccinale. Si ritiene dunque opportuno offrire ai lettori di Civico20News un approfondimento in merito, soffermandoci – per motivazioni di spazio – esclusivamente sulla sentenza n. 14 che affronta le questioni sollevate dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana.

Infatti, a seguito di un articolato iter logico-argomentativo, la Corte siciliana eccepiva l’illegittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale addossato al personale medico-sanitario per violazione degli artt. 3, 4, 21, 32, 33, 34 e 97 della Costituzione.

Più nel dettaglio, per la Corte siciliana (che, nel formulare il proprio giudizio, si era avvalsa di una commissione di esperti in ambito medico), l’obbligo vaccinale anti SARS-CoV-2 non soddisferebbe la condizione – posta in precedenti pronunce dalla medesima Corte Costituzionale – secondo cui si possa imporre un trattamento sanitario soltanto laddove lo stesso non incida negativamente sullo stato di salute di chi vi è assoggettato, salvo che per quelle “conseguenze che appaiono normali e, pertanto, tollerabili”. Viceversa – rileva il Consiglio di giustizia amministrativa – dal Rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini da SARS-CoV-2 si ricavano, durante il primo anno di campagna vaccinale, “117.920 segnalazioni di sospetto evento avverso successivo alla vaccinazione, su un totale di 108.530.987 dosi di vaccino, con un tasso di segnalazione di 109 ogni 100.000 dosi somministrate […] e un tasso di 17,6 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate”: quantità di “diversi ordini di grandezza” superiori rispetto agli effetti avversi rilevati a seguito delle c.d. “vaccinazioni classiche”.

Inoltre, la Corte siciliana sottolinea come, dai dati sulla vaccinazione da Sars-Cov-2, emergano ripetuti effetti negativi gravi, tra cui trombosi, ischemie, danni al sistema linfatico e cardiovascolare (incluse miocarditi che spesso hanno coinvolto i giovani), indebolimento del sistema immunitario, criticità respiratorie e al sistema nervoso, sino a giungere – nei casi più sfortunati – al decesso: conseguenze nefaste che non risulterebbero compatibili con l’obbligatorietà di un trattamento sanitario.

Ai predetti rilievi, nella sentenza qui in commento, la Corte Costituzionale controbatte ritenendo che il “rischio di insorgenza di un evento avverso, anche grave, non rende di per sé incostituzionalmente illegittima la previsione di un obbligo vaccinale, costituendo una tale evenienza titolo per l’indennizzabilità”.

Ribadito come l’imposizione di un trattamento sanitario trovi giustificazione nel dovere di solidarietà ex art. 2 Costituzione, i giudici costituzionali ribadiscono di essere consapevoli che sussista un “rischio di evento avverso, anche grave”, insito in tutti i trattamenti sanitari e che, per l’effetto, attenga alla “sfera della discrezionalità del legislatore” la facoltà di imporre un siffatto obbligo, purché ciò avvenga “in maniera non irragionevole” e alla luce delle “evidenze scientifiche”.

Ciò premesso, secondo la Corte Costituzionale, il dato medico-scientifico garantito dalle autorità istituzionali preposte assicurerebbe la “natura non sperimentale del vaccino”, la sua “sicurezza” (essendo la “maggior parte” delle reazioni avverse di modesta entità) e che gli effetti gravi sarebbero numericamente tali da non superare i “benefici della vaccinazione”, così che la scelta del Legislatore è da ritenersi “non irragionevole” in conseguenza della “piena efficacia del vaccino e l’idoneità dell’obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus”.

A detta della Corte Costituzionale, l’obbligo vaccinale si dimostrerebbe poi proporzionato all’obiettivo perseguito, in quanto l’alternativa di sottoporre il personale sanitario a tamponi rapidi ogni 48/72 ore avrebbe comportato “costi insostenibili” e un “intollerabile sforzo per il sistema sanitario”.

Per tutti gli evidenziati motivi, la Corte Costituzionale ha dichiarato “manifestamente inammissibili” o “non fondate”, le questioni di costituzionalità sollevate dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana.

Così brevemente riassunte le argomentazioni addotte dalle due corti, è bene evidenziare come le medesime muovano da due differenti filosofie. Difatti, il Consiglio di giustizia amministrativa siciliano adotta una concezione illuministico-individualistica (che ha ispirato – tra l’altro – le carte costituzionali redatte durante la Rivoluzione francese e la Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’ONU nel 1948), dove prima viene l’individuo e dopo lo Stato-collettività, tale per cui, se la vaccinazione comporta un rischio (anche raro) per la salute – soprattutto dove lo stesso possa avere conseguenze gravi o condurre addirittura alla morte – spetterà al singolo cittadino soppesare rischi e benefici e decidere, in piena libertà, se aderire o meno al trattamento sanitario.

Viceversa, la Corte Costituzionale adotta una visione opposta, secondo cui è la volontà dello Stato (rappresentato dalla classe politica e dagli studiosi che appartengono alle autorità “preposte al settore”) che prevale sul singolo, anche qualora ciò implichi il sacrificio della salute di qualcuno, purché il beneficio complessivo sia supposto superiore.

Orbene, a dire della sentenza n. 14/2023, i vantaggi della vaccinazione sarebbero di natura sanitaria ed economica. Il primo risulterebbe individuabile nella riduzione nella “circolazione del virus”; il secondo nei costi non sostenibili e in un “intollerabile sforzo per il sistema sanitario” laddove si fosse deciso di adottare l’alternativo strumento rappresentato dai c.d. “tamponi rapidi”, idonei a rilevare la presenza del Covid-19.

Tanto illustrato, non volendo acriticamente aderire all’una o all’altra tesi, abbiamo voluto verificare (cosa che il lettore potrà analogamente fare) i dati offerti dai report settimanali redatti dall’Istituto Superiore di Sanità, pubblicati su internet. Raffrontando – ad esempio – il report del 16.12.’20 (coincidente con gli inizi della campagna vaccinale) con quello del 28.12.’21 (quando l’adesione vaccinale oltrepassava l’80% e si era in piena vigenza dell’obbligo vaccinale) si desume quanto segue: in Abruzzo il report del 16.12.’20 evidenziava 1.726 nuovi casi di Covid a settimana, contro i 3.628 del 28.12.’21, in Calabria il report del 16.12.’20 accertava nuovi 1.043 casi settimanali contro i 2.868 del 28.12.’21, in Lombardia dai 28.709 casi del 16.12.’20 si era passati ai 76.597 in data 28.12.’21, in Piemonte dai 6.845 del 16.12.’20 i casi erano quasi quadruplicati, giungendo a 23.394 il 28.12.’21.

Qualche lettore potrà opinare che, se non fosse stato per l’introduzione dell’obbligo vaccinale, le ipotesi di contagio avrebbero potuto essere maggiori, ma la Corte Costituzionale – nel giustificare la restrizione alla libertà di autodeterminazione in ambito di trattamento vaccinale – ha espressamente parlato di “riduzione nella circolazione del virus”, non di incremento (peraltro significativo) dei contagi.

Inoltre, la Corte Costituzionale ragiona come se, senza obbligo vaccinale, nessuno avrebbe fatto ricorso alla vaccinazione. Questo assunto è smentito dalla comune esperienza. Se infatti è vero che, più di un lavoratore si sia piegato all’obbligo vaccinale per non rimanere senza stipendio, è altrettanto vero che una quota importante della popolazione abbia volontariamente aderito alla campagna vaccinale.

Tale ragionamento, già da sé, ridimensiona l’asserito (e non provato) risparmio economico che lo Stato avrebbe tratto dalla vaccinazione (che comunque ha comportato un ingente costo per le casse erariali) rispetto ai tamponi che i recalcitranti della vaccinazione avrebbero dovuto personalmente accollarsi.

Da ultimo, circoscrivendo la nostra attenzione al settore sanitario, i dati riportati su diversi siti dicono che su 724.250 dipendenti 46.000 non si siano piegati all’obbligo vaccinale, un numero che rappresenta circa il 6% del personale complessivo. A prescindere dunque da quanto la vaccinazione sia stata efficace, o poco efficace, o per nulla efficace nel bloccare la diffusione del virus, viene da domandarsi se sia stato “ragionevole” e “proporzionato” (per dirla i ragionamenti addotti dalla Corte Costituzionale) ledere un diritto costituzionale protetto (e importante) come quello al lavoro, privando di reddito per mesi le persone – e le loro rispettive famiglie – per essere riusciti a vaccinare una percentuale verosimilmente risibile di individui rispetto a quelli che già spontaneamente si erano vaccinati e quando (soprattutto) i medesimi vaccinati si potevano ammalare da Covid-19 e a loro volta infettare?

Si sono sottoposti a tampone milioni di italiani: sarebbe stato uno sforzo così insostenibile aggiungere una quarantina di operatori per provincia, garantendo, al contempo, sicurezza e posto di lavoro di chi, per legittima preoccupazione di subire un effetto avverso, non intendeva vaccinarsi?

Ai lettori lasciamo ogni conclusione.

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