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Quando Padre Cristoforo prese una multa
Dove si dimostra, in tre puntate, che leggere I Promessi Sposi è tutto fuorché inutile
Articolo di Patrizia Lotti
Pubblicato in data 18/03/2023

PRIMA PUNTATA

Un’ingiustizia

Il professor Antonini era un uomo ingenuo; si fidava di tutti e beveva le bugie dei suoi studenti con una facilità tale che ormai nessuno gliene  raccontava più; non c’era gusto ad imbrogliare uno così. E  poi  Antonini era simpatico; conosceva le parole delle canzoni di Ligabue, rideva se a un ragazzo scappava una parolaccia e non si scandalizzava se vedeva due che si baciavano. Voltava la testa dall’altra parte e cambiava direzione. Tutto qui; nessuna ramanzina, nessuna occhiata seccata, nessuna delazione al preside. Nulla di nulla. Ma Antonini era anche onesto. Onesto e determinato.

La sua coscienza era limpida come cristallo di rocca. E quando si accorgeva che qualcosa non andava per il verso giusto, che qualcuno tradiva la sua fiducia o che la sua parola veniva messa in dubbio, diventava feroce. Feroce e ostinato, rigido e inflessibile come una punta di diamante. E anche paziente: sapeva che la costanza, alla lunga, paga, e non aveva paura di aspettare per ottenere giustizia. Una volta addentata la presa, non mollava mai. Sapeva essere un nemico ostinato e temibile.

Per questo il consigliere Frassinetti aveva cercato in ogni modo di tenerlo lontano dalla faccenda delle multe.  Non gli era piaciuta l’aria severa  con cui era entrato in comune. Sapeva che c’era del marcio in Danimarca e aveva paura di quell’uomo inoffensivo solo per chi non lo conosceva bene.

«Buon giorno, professore. Qual buon vento?»

«Buon giorno, consigliere. Il vento non è tanto buono. Una multa di centocinquanta euro.»

«Ma non si preoccupi! Me la dia, parlo io con il capo dei vigili. Stia tranquillo.»

«Io sono tranquillissimo, caro Frassinetti. E non so cosa farmene del capo dei vigili. Tanto non ho nessuna intenzione di pagare per la disonestà altrui.»

«Ma non deve pagare una multa?»

«Io non devo pagare nessuna multa. Non ho violato nessuna norma. Sono qui per ritirare il modulo  per il ricorso.»

«Ma lo sa che se poi non vince dovrà pagare il doppio?»

«Stia tranquillo, caro Frassinetti. Vincerò, non si preoccupi. Vincerò.»

Appena il professore si  fu allontanato il consigliere si chiuse nella sua stanza e chiamò immediatamente l’ufficio della polizia urbana. Proprio come temeva: Antonini era passato con il rosso. Più rosso del rosso  di qualsiasi semaforo e più congestionato del traffico sulla tangenziale alle sei di sera, Frassinetti compose un numero col prefisso di Milano e iniziò una conversazione concitata.

Un sopruso

Il ragazzo stava per piangere. Quei bastardi gli avevano fregato un altro telefonino. E l’avevano picchiato più del solito, facendogli cadere  a terra gli occhiali e calpestandoli davanti ai suoi occhi. Settecento euro di lenti: suo padre si era svenato per comprarglieli. Come avrebbe potuto spiegargli che le asticelle  si erano spezzate  e le lenti frantumate? Ci teneva tanto, suo padre. Non voleva che fosse diverso dagli altri, che avesse qualcosa  meno dei suoi compagni di scuola. Quelli avevano tutti ben altre possibilità economiche, ma non glielo facevano notare. Erano gentili, in fondo. Gentili ma distanti.

Lo invitavano sempre, ma sapevano benissimo che non avrebbe potuto andare a sciare perché non aveva né l’attrezzatura né l’abbigliamento regolamentari per non sfigurare; tanto meno avrebbe potuto accompagnarli nelle passeggiate a cavallo o su un campo da golf. Bastardi anche loro. Bastardi e ipocriti. Si avviò barcollando verso la stradina dove da mesi i suoi persecutori lo costringevano a dirigersi dopo la scuola per picchiarlo indisturbati.

Mentre si affannava a risalire la riva, rallentato dalla dolenzia alle gambe piene di lividi e dalla visione lattiginosa e sfocata del mondo che le sue pupille gli rimandavano senza le lenti, sentì una voce che lo chiamava. Il professor Antonini gli si avvicinò correndo.

«Alisei, cosa fai qui? Cos’è successo?» «Niente, prof. Sono caduto.»

«Sei caduto? E da dove? Perché?»

«Sono caduto e basta, prof . Mi dà una mano o m’interroga?»

«Certo che t’aiuto, Alisei. Ne parleremo dopo.»

L’uomo guidò con delicatezza il ragazzo verso la sua auto. I vestiti, stracciati in più punti, lasciavano intravedere lividi e macchie di sangue sulle gambe e le braccia. Non era caduto, l’avevano picchiato, era evidente. Antonini era ingenuo, non  cieco o sciocco. E chi poteva essere stato? Alisei era un tipo strano, diverso dagli altri, ma non un attaccabrighe. Se mai, troppo mite, almeno all’apparenza. Diventava paonazzo e alzava la voce solo se qualcuno dubitava della sua parola o della sua buona fede.

«In fondo mi somiglia», pensò l’insegnante. Salirono insieme sull’auto di Antonini. «Ti porto a casa? O vuoi che andiamo in ospedale?»

«Non le sembra di esagerare, prof ? Mi sento benissimo. Piuttosto, cosa ci faceva lei da queste parti?»

«È la prima volta che ci vengo. Oggi sono solo a pranzo. Mia moglie non c’è e io odio sedermi a tavola da solo. Mi passa l’appetito. Ho optato per una passeggiata nei campi.»

«Se vuole, le faccio compagnia io. Mi porti a casa un momento: mi cambio e andiamo a farci un panino insieme.»

L’uomo accettò, soddisfatto di rimanere solo con il ragazzo. Voleva vederci chiaro in quella storia. Lo aspettò una buona mezz’ora sotto casa. Probabilmente aveva dovuto lavarsi e disinfettarsi prima d’indossare i jeans puliti e la maglietta a righe con cui lo vide uscire dal portone. Evidentemente i genitori non erano in casa. Lavoravano tutti e due? Non aveva fratelli o sorelle?

Improvvisamente si accorse di quante cose non sapeva dei suoi studenti. Non aveva mai voluto sapere troppo della loro vita fuori da scuola; pensava che la sue valutazioni avrebbero potuto diventare meno imparziali. Ma questa volta  avrebbe fatto un’eccezione. Nella sua mente i loschi maneggi del Comune e  la  reticenza di Alisei si mescolavano in un confuso piano criminale di attentato alla giustizia anche nella sua sfera privata. Non l’avrebbe tollerato.

 

“E padre Cristoforo?” potrebbero chiedere i miei ventiquattro ( non oserei mai scrivere venticinque, naturalmente)  lettori. Tranquilli! Vi aspetta alla prossima puntata.

 

 

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