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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Elio Ambrogio: Scusi, Lei è suprematista?
Sostituzione etnica, suprematismo e altre paranoie
Articolo di L'Editoriale
Pubblicato in data 23/04/2023

E ci mancava il Suprematista...

Dopo il fascista, il nazista, il razzista, il sessista, il sovranista, ecco arrivare -e lo aspettavamo con ansia- il nuovo nato nell’universo fobico di sinistra: il Suprematista, appunto.

E’ bastato un accenno alla “sostituzione etnica” da parte del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida per scatenare il solito tornado verbale e politico dell’opposizione parlamentare ed extra-parlamentare, con scrosci di indignazione, venti di scomunica e tuoni di moralismo. Il solito e terribile evento meteorologico che consegue ormai ad ogni affermazione percepita come “di destra”, anche se proveniente da destra come peraltro sarebbe assolutamente naturale.

Purtroppo la sinistra non è riuscita a elaborare il lutto delle sue recenti sconfitte elettorali e si è incattivita, irrigidita e irrancidita, si è rinchiusa nel suo giardinetto ideologico e ideocratico vedendo solo più un grande buio oltre la siepe, un buio popolato dai suoi usuali fantasmi: razzismo, fascismo, sovranismo, sessismo, omofobia e altre oscure presenze che, a suo dire, stanno pervadendo la società italiana dopo l’avvento della destra, o delle “destre”, al governo.

Non osiamo pensare a che cosa diranno, fra qualche giorno, alla “loro” festa del 25 aprile...

Lasciamola ai suoi problemi psicologici ed esistenziali, anche perché nelle sue fila militano fior di psicoterapeuti televisivi, da Recalcati e Galimberti in giù, che potranno prenderla in carico e ricostruirle un qualche senso della realtà. Soffermiamoci invece sul recente assalto ai concetti di sostituzione etnica e di suprematismo affibbiati con vibrante sdegno al povero Lollobrigida il quale, inopinatamente, ha pure sentito il bisogno di rettificare e quasi scusarsi dimostrando così una scarsa stima per le sue stesse opinioni.

Anche su questo argomento, come su molti altri, la sinistra sconta la sua visione astratta dell’esistenza e il suo carente senso della realtà, un atteggiamento che vive di parole e non di cose. I suoi riflessi pavloviani scattano ogni volta che essa percepisce una parola, un’espressione, anche solo un fonema che, nel suo software mentale, richiamano qualcuno dei temi “maledetti” appartenenti alla sua ideologia, aprendo così le chiuse della sua immensa indignazione; un po’ come certi algoritmi che nei social fanno scattare la messa al bando di coloro che esprimono idee non rispondenti agli “standard della comunità”, cioè a quello che piace al gestore. In questo fenomeno va detto che la sinistra è all’avanguardia, avendo istituito al suo interno un efficiente modello di intelligenza artificiale che, come si sa, sta pian piano sostituendo quella naturale, con le conseguenze che vediamo in giro.

Che sia in corso, nel nostro paese, una reale forma di sostituzione etnica è invece sotto gli occhi di tutte le persone normali, le quali non ne fanno tanto un problema etico o politico ma, molto concretamente, un semplicissimo problema di vivibilità quotidiana.

I numeri ci dicono che ogni anno muoiono più italiani di quanti ne nascono e che l’immigrazione aumenta costantemente. Questo si chiama appunto sostituzione etnica, piaccia o no, e soprattutto è irrilevante sapere se questo fenomeno è voluto, guidato, spinto da qualcuno o da qualcosa in una prospettiva complottista (altra espressione che fa scattare l’allarme della sinistra) oppure è un fatto storicamente inevitabile, naturale, spontaneo dovuto, come in passato, allo squilibrio sociale ed economico fra nazioni povere e nazioni ricche.

In altri termini, quella sostituzione, naturale o pianificata, è nei fatti e bisogna prenderne atto come ha fatto Lollobrigida, forse un po’ ingenuamente vista la perdurante isteria dei suoi avversari. Basta fare due passi per le nostre strade per rendersene conto.

Se poi questa sostituzione sia un bene o un male è un tema squisitamente culturale e politico da discutersi con un po’ di equilibrio senza cadere nel perenne stato di erezione morale tipico del PD e dei suoi amici. E magari ricordando come non troppi anni fa, nel 2011, Kelly Greenhill sostenesse tesi abbastanza simili nel suo provocatorio e assai discusso Weapons of mass migration.

Che l’Italia necessiti di forza lavoro straniera sembra ormai assodato, visto il declino demografico nazionale e la disaffezione a certi lavori dovuto al cambio di aspettative dei giovani, disaffezione spinta anche da un reddito di cittadinanza che avrà sì sconfitto la povertà ma anche, e soprattutto, il desiderio di lavorare in molte persone.

Problema risolubile però attraverso un’immigrazione regolata, sorvegliata e modellata semplicemente sulla domanda interna di lavoro: una prospettiva non semplice, ma  assolutamente realizzabile con un’adeguata volontà politica, che peraltro il governo attuale sembra dimostrare con sufficiente chiarezza.

Che però l’immigrazione, come attuata sino ad oggi in modo selvaggio e demenziale, sia realmente il presupposto di una vera e propria sostituzione etnica, altrettanto selvaggia e demenziale, ci pare veramente incontestabile.

Il degrado e la distruzione del tessuto sociale in molte aree urbane, degrado che investe tanto la popolazione italiana residente quanto gli stessi immigrati costretti in condizioni al limite della sopravvivenza -cosa che poi finisce per alimentare necessariamente una vasta delinquenza-avviano semplicemente e inevitabilmente il processo di disgregazione di una nazione.

E questa situazione va contrastata con grande fermezza prima che sia troppo tardi, prima cioè che sfoci nell’intolleranza e nella   violenza: gli Stati Uniti interraziali insegnano.

Non è questo che gli italiani vogliono: non solo non vogliono essere “sostituiti” ma, più semplicemente e nell’immediato, vogliono essere tutelati nei loro diritti elementari, e vogliono mantenere per sé e per gli altri una loro identità e una loro cultura che sono state costruite nei secoli e che oggi vanno dissolvendosi. Non è solo un fatto sentimentale ma è anche una concretissima esigenza di certezza nei rapporti sociali, rapporti che in una nazione si fondano su un idem sentire e su una forte coesione psicologica.

Quanto poi al suprematismo, si tratta di un altro fantasma che la sinistra ha evocato, ma almeno con qualche pregio di novità.

Scambiare però il tema reale della sostituzione etnica con il “fantoccio polemico” (per usare una vecchia espressione di Einaudi) del suprematismo è una pura sciocchezza, essendo quest’ultimo un atteggiamento che in Italia non ha mai attecchito, mentre invece nel mondo nordico e anglosassone ha avuto nel passato, e ha nel presente, moltissimi seguaci: basti pensare all’ideologia imperialista dell’ottocento che trovò espressione, ad esempio, in un grande scrittore inglese come Kipling (The white man’s burden) o, più recentemente, nella psicotica convinzione degli Stati Uniti di rappresentare un superiore modello di civiltà da imporre agli altri stati anche con la forza e con le bombe intelligenti.

Ma attribuire al povero Lollobrigida simili visioni e ambizioni è veramente sintomo di degrado cerebrale.

Se poi vogliamo passare all’Unione Europea, il suprematismo di quella costruzione appare ancora più evidente nel momento in cui essa vuole imporre ai singoli stati non solo le sue scelte economiche, in qualche modo giustificate dai Trattati che ne sono a fondamento, ma anche delle scelte etiche la cui giustificazione non si sa bene da dove arrivi, almeno da un punto di vista strettamente giuridico.

Basti pensare al pesante giudizio, moralistico più che morale, che il Parlamento europeo rivolge oggi a stati come la Polonia, l’Ungheria, l’Italia colpevoli, secondo quei suprematisti, di non essere in linea con la loro visione gender o genericamente “sessualistica” del mondo.

Chi dà a loro il diritto di giudicare le tradizioni, il cuore e l’anima di un popolo in materie così delicate ed eticamente complesse?  Potremmo chiamarlo, questo sì, “suprematismo morale”?

Da dove viene questa arroganza nordico-europeista?

Semplicemente da una antica mentalità protestante diffusa nel continente fino alle sue propaggini culturali nord-americane, oppure da qualcos’altro?

Non andiamo certo a riprendere le tesi di un Coudenhove-Kalergi sulla scomparsa degli europei né l’inquietante ricostruzione effettuata da Paolo Rumor (con Loris Bagnara e Giorgio Galli) in L’altra Europa: correremmo veramente il rischio di un’etichetta complottista; tuttavia l’idea contenuta in quei lavori di un’Europa fondata su potenti élites del tutto indifferenti all’anima dei popoli e tutte proiettate verso costruzioni oligarchiche basate sul loro presunto suprematismo etico e intellettuale non appare poi così irricevibile.

Attribuire però simili altissime prospettive a Giorgia Meloni e ai suoi ministri fa un po’ sorridere. Se poi vediamo da chi provengono simili argomentazioni, forse è anche permesso ridere di gusto.

E ci perdoni la signorina svizzera che oggi capeggia il PD e che ogni giorno trova una nuova presunta vergogna negli altri, e ogni giorno chiede le dimissioni di qualcuno. Un po’ inascoltata per la verità.

 

Elio Ambrogio - Vicedirettore

 

 

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