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Una bambolina per Susanna, Egri Erberstain e il Grande Torino nell'Italia tra il 1938 e il 1949
di Piero Flecchia
Articolo di Chicca Morone
Pubblicato in data 12/05/2023

Non solo l'attore, costretto dalla professione, ma ogni vita indossa nel proprio trascorso una molteplicità di identità o maschere sociali.

Ogni soggettività abita, a procedere dall'identità domestica famigliare, quanto meno una identità linguistica, una identità religiosa, una identità, politica, e con il trascorrere delle stagioni, una identità dell'amicizia, una identità amorosa e via procedendo.

Accade ad accrescere la soggettività; che è tanto più complessa e aperta quanto più percorra non opportunisticamente le varie identità che la vita le impone di attraversare, ergo conoscere.

E nel nostro oggi, tra le varie identità della nostra vita psichica di pulcinella, la non meno singolare e bizzarra, e tenace, è l'identità sportiva calcistica, che si rivela un vero e proprio imprinting lorenziano.

Infatti, nell'ambito delle mie conoscenze, ho visto mutare di coniuge, di fazione politica, di religione, di mestiere, di amicizie, ma non mi è mai accaduto di incontrare qualcuno che avesse mutato di fede calcistica, tanto profondo e singolare il suo imprinting; per capire il cui senso, e per esso molto anche delle dinamiche sociali che ci abitano, e spesso in modo preconscio, molto si chiarisce per la ragione della forza dell'imprinting calcistico o tifo.

La partita di calcio è una piccola battaglia simulata, il cui significato è per i giocatori vincere, ovvero sottomettere l'avversario, ma senza alti prezzi per il perdente; e con una sensibile remunerazione libidinale per il vincitore, che però vince come parte di un tutto: quella calcistica è una vittoria di gruppo, che esige una forte integrazione e collaborazione di squadra, che va creata e soprattutto mantenuta.

 

La partita di calcio è uno scontro tra due comunità di undici contro undici contendenti, che combattono, intorno alla manipolazione possessiva d'un pallone.

È, entro un sistema di regole da rispettare cui presiede un arbitro, una vera battaglia, di così forte suggestione da coinvolgere quanti, conoscendone le regole, assistono alla partita e la vivono entro un deliberato interesse di parte, fino alla creazione d'una memoria storica intorno alle partite disputate da una squadra nel tempo.

Poi diventate patrimonio istitutivo d'una memoria condivisa: processo attraverso il quale si crea una comunità.

Gli storici del gioco del calcio vogliono che all'origine di questo sport, canonizzato dagli inglesi, così come la democrazia rappresentativa e il motore a vapore, ci sia un gioco con la palla praticato dalle legioni romane.

Masse di sradicati e riaggregati, proprio come poi lo saranno i primi giocatori di calcio: operai delle miniere e dell'industria dell'Inghilterra dell'Ottocento.

Per evitare lo scontro fisico violento del rugby si vietò l'uso delle mani nel gioco: che da subito raccolse intorno alle partite una folla di spettatori, portati a identificarsi con un transfert in una delle due parti confliggenti, il calcio diventato rapidamente lo sport della società industriale.

Una società costruita attraverso il sistematico sradicamento e reinsediamento di vaste masse operaie, che se nel socialismo cercheranno una forma di nuova identità politico sociale, nell'agone calcistico troveranno una singolare, opportuna maschera sociale fantastica identitaria, ma di complessa creazione e gestione; come ricostruisce e così permette anche a noi anime semplici di intravedere, il bel saggio di Aleardo Fioccone. Da una attenta, paziente ricostruzione storica - archeologicamente disseppellendo dalla pagine di quotidiani e settimanali editi tra gli anni '910 e '940 le locali cronache sportive e di costume sul nostrano torinese nascente mondo del calcio - il nostro autore, ricostruisce ineccepibilmente per noi il paesaggio entro il quale prese forma, sotto la Mole, la domenicale battaglia calcistica, infine pervenuta all'articolato dei campionati nazionali, ma la cui essenza e sintesi è stata a lungo il derby Toro Juve.

È intorno a questa dinamica del conflitto calcistico regolato, che nei primi decenni del '900 prende forma: costruisce la propria identità sportiva la comunità dei tifosi granata, la cui spinta decisiva è costituita dalla fedeltà di casacca dei soci fondatori.

Nelle prime generazioni sono i giocatori che costruiscono la memoria storica attiva della squadra. Infatti, a procedere dagli anni Venti del secolo scorso, per gradi, intorno alla figura d'un ex giocatore diventato allenatore: Ianni, e soprattutto di un imprenditore borghese Ferruccio Novo, succeduto al presidente del primo scudetto granata Marone Cinzano alla guida della società, e affiancato da uno stilista di moda e fine conoscitore di calcio: Copernico, che prenderà avvio quella che poi diventerà la mitica squadra del Grande Torino, motore della creazione del popolo granata.

È nel suo svolgersi una tipica intrapresa che procede da una articolata visione capitalistica finanziaria, che precorre i tempi.

È il denaro, dice in chiaro Fioccone, che costruisce le grandi macchine calcistiche: prima la Juventus del quinquennio, poi il Grande Torino, che si affermò malgrado disponesse di minori capitali rispetto alla Juventus e alle due milanesi; perché l'elemento decisivo per la costruzione di una grande squadra di calcio passa in primis per una mente capace di gestirne e la fase di preparazione e poi di governo della complessa macchina sportiva impegnata contro le altre domenicali contendenti: nell'oggi Napoli docet.

 

E a costruire il Grande Torino fu una singolare figura di ebreo ungherese, già calciatore di valore, ma soprattutto, abbandonato lo sport praticato, capace d'una profonda rimeditazione del gioco del calcio in tutta la sua complessità, tra l'ingaggio dei giocatori e il loro assemblaggio tattico a ricavarne l'amalgama vincente di squadra.

Ma solo passando per la giusta preparazione atletica, che implica una scienza dell'alimentazione, oltre che una capacità di valutare limiti a possibilità di ogni atleta.

Questo Egri Erbstein possedeva in sommo grado e trasmise a Ferruccio Novo: che ebbe la capacità di comprendere il valore decisivo del sapere calcistico di cui Egri era portatore, ma che per realizzarsi doveva guadare la grande temperie della seconda guerra mondiale.

Durante questa Egri combatte per sottrarsi alla deportazione nazista, e soprattutto salvare la sua famiglia dal lager: una partita drammatica e complessa, che è il vero tema affascinante del racconto di Fioccone.

E culmina in una nota di dolente poesia.

La figlia maggiore di Egri era una grande ballerina, che ha conosciuto vaste fortune sul palcoscenico, e ha poi tenuto in Torino, a partire dagli anni Sessanta, una prestigiosa scuola di danza classica.

Nella devastazione di cose e persone che fu l'impatto del trimotore FIAT contro lo spalto della Basilica di Superga il 4 maggio 1949, entro il cratere del disastro, da una valigia semiaperta sporgeva una bambolina in abito tradizionale portoghese: era il dono che papà Egri portava da Lisbona a sua figlia Susanna, e che la grande ballerina terrà poi per sempre con sé.

 

Se in questa nota amara culmina la narrazione dell'epopea calcistica di Egri, l'apolide ungherese che indicò a Ferruccio Novo la strada per creare il Grande Torino, e quindi la comunità dei fedeli Granata, per le pagine di Fioccone; con la cronaca della costruzione del grande Torino si coglie soprattutto il passaggio del gioco del calcio in Italia da sport praticato dalla borghesia, - mentre in Inghilterra era lo sport del proletariato, il rugby quello borghese  - a pratica sportiva attraverso la quale molti figli del proletariato cercano e cercano una via di riscatto e di ascesa sociale: questo era stato anche il percorso di pressoché tutti i giocatori del Grande Torino, a discendere da capitan Mazzola, e da quell'impareggiabile suo alter ego Virgilio Maroso, con Ossola l'inarrivabile per qualità stilistiche.

Percorrere il bel libro di Fioccone è percorrere un esemplare caso del paradigma della creazione di un popolo calcistico, per cui il racconto contiene un suo valore universale nell'ambito del rotolante cosmo pallone, il cui centro identitario, che si svolge ogni volta nell'arco di novanta drammatici minuti, è una battaglia simbolica di forte capacità coinvolgente, ma oggi forse meno negli attori che nelle masse di spettatori, sia per quanto si dispiega nei novanta minuti della battaglia calcistica, sia ben di più, grazie anche agli audiovisivi, per quanto di quella battaglia prosegue nelle evocazioni di conversari infiniti, tutti tra il critico analitico e il fantastico mitizzante, uno de quali cantari è appunto il bel libro di Aleardo Fioccone.

 

 

Una bambolina per Susanna, Egri Erberstain e il Grande Torino nell'Italia tra il 1938 e il 1949, pp. 303, ed. Baima, Ronchetti &C., Castellamonte, € 15.

di Piero Flecchia

 

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