Le giocose perline di vero

Cultura e Spettacolo

Luciano Gaglio incontra Enzo Bersezio nel suo Atelier, presso la CSAFarm di Torino, da stasera (vernissage dalle 16,00 alle 20,00)

Articolo di Enrico S. Laterza

Pubblicato in data 25/05/2023

Conclusa da poco la mostra Amor sacro e amor profano di Pietro Meletti, prosegue la straordinaria stagione espositiva primaverile della galleria torinese CSA Farm di Marcello Corazzini, che, dopo quello di Valeria Sangiorgi (Legami), accoglie nell’attiguo Atelier di Enzo Bersezio l’incontro con Luciano Gaglio, che presenta la personale intitolata A che gioco giochiamo (senza punto interrogativo), da inaugurarsi stasera, 25 maggio (dalle 16,00 alle 20,00), e aperta al pubblico fino al 10 giugno prossimo: l’artista siculo-subalpino (forse sulle orme di Juvarra?...) presenta una determinante frazione o tappa della propria ricerca creativa concettuale, focalizzata sulla “dimensione intima del rapporto tra l’Io adulto e l’Io bambino” (così spiega il testo introduttivo), con aspetti ludici e seriosi, umoristici e umorali, intellettivi ed emozionali, spesso d’impronta chiaramente autobiografica, in grado di suscitare nell’animo e nell'ottica dell’osservatore evocative reminiscenze archetipiche esistenziali, che contribuiscono a ricostruire e rincollare le tessere del complicato mo-sai-co del vis-su-to di ciascuno, svelandone sorprendenti verità, quasi sbucate davanti a noi all’improvviso – come per la subitanea illuminazione zen dell’insight meditativo o terapeutico – dalle molte enigmatiche buie stanze (ed istanze e distanze) nascoste dell’inconscio, riemerse dai più oscuri recessi dei profondi abbissi mentali; tali intense relazioni intrapsichiche, individuali e sociali, da lui espresse mediante elaborate opere plurimateriche a tecnica mista, con studiati, complessi assemblaggi di foto, segni scritti o tracce cromatiche, fitti circuiti di fili-d’acciaio ed altri elementi diversi, che configurano le cruciali “zone di transizione” dell’esperienza umana soggettiva/collettiva, vengono quindi a riflettersi e rispecchiarsi spontaneamente, a confrontarsi faccia-a-faccia con le minimali installazioni lignee dello scultore piemontese, sulle quali le aggiunte ed inserzioni di strati catacei, corde, pietre, catene e ganci metallici indicano la sedimentazione cronologica delle fasi di esecuzione sulla struttura di base, scheletro incarnato dell’idea poetica che ne ha ispirato ed informato la realizzazione plastica concreta, una simbolica “appropriazione indebita del senso dell’essere” (per citare le indicazioni critiche della figlia Sveva), perla di sapienza, allusione all’al-di-là spirituale, eterno, che dorme dentro ciascuno di noi, sempre pronto ad esser destato.