Si potrebbe dire, senza timore di smentita, che tutta Parigi è un museo a cielo aperto perpetuamente accessibile e visitabile dal momento che ogni strada, ogni piazza, ogni facciata di palazzo, ogni giardino e perfino le insegne della metropolitana trasudano storia.
Ma se ci si reca con lo scopo di arricchirsi culturalmente non si può non mettere nella lista degli obbiettivi da visitare il celeberrimo Museo del Louvre.
Sono non meno di 380mila i reperti e le opere esposte lungo un percorso di 60600 metri quadrati. Nei quali si trovano 6mila dipinti esposti permanentemente anche se la pinacoteca ne conta complessivamente quasi 12mila se si comprendono quelli conservati nei magazzini.
Prima di tutto è bene dire che non ci si deve spaventare di fronte alle code che, ai piedi della piramide di vetro da cui si accede, si formano. Basta prenotare online il proprio biglietto per velocizzare sensibilmente i tempi ed occorre aggiungere che il personale di servizio mostra una grande attenzione per i disabili e gli invalidi che, se avvistati, vengono immediatamente invitati a passare avanti oltrepassando, con chi li accompagna, le file.
Si tratta di una manifestazione di rispetto e solidarietà non sempre scontata ed occorre aggiungere che nella maggior parte dei musei parigini gli invalidi non pagano il biglietto e viene loro offerta la possibilità di accedere gratuitamente.
Varcata la “Piramide” e scesi con le scale mobili ci si trova in un grande atrio dove ci sono caffetterie, servizi igienici, accessi alle varie aree museali ed un guardaroba i cui armadietti con serratura elettronica sembrano essere l’unico vero punto debole di tutto il sistema museale.
Non potendoci permettere, per tempo e capacità fisica, di percorrere tutti i 28 km dei percorsi del museo (i quali richiederebbero comunque più giorni per apprezzare pienamente i materiali esposti) abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione sulle gallerie con i dipinti più celebri e su parte dello statuario.
Trovarsi di fronte ai grandi capolavori di Delacroix, David, Leonardo, Mantegna e tanti altri procura una strana sensazione. Le grandi tele che abbiamo visto sui libri e nei documentari ci si parano davanti in tutto il loro splendore e la loro grandezza. Il martirio di San Sebastiano, Napoleone e gli appestati di Jaffa, l’Incoronazione di David, La libertà guida il popolo sulle barricate di Delacroix, La zattera di Medusa, Il giuramento degli Orazi e così via.
Indubbiamente si tratta di un’esperienza emozionante ed al limite dello sconvolgente.
Ma l’appuntamento che tutti sembrano aspettare maggiormente è quello con il sorriso enigmatico della Monnalisa.
La Gioconda di Leonardi da Vinci non è solo il quadro più fotografato al mondo ma certo il più ambito del museo tant’è che per avvicinarsi, nei limiti consentiti, occorre fare una breve coda.
Come si sa al dipinto non furono risparmiate avventure incredibili nei primi anni del Novecento:
Il celebre quadro la Gioconda di Leonardo da Vinci, rubato al museo del Louvre. Martedì scorso a Parigi si spargeva la voce che al Louvre era stato rubato il quadro La Gioconda. Secondo le indagini iniziate, sembra che il furto sia stato compiuto da due operai muratori lunedì, ma è ancora incomprensibile come abbia fatto a fuggire il ladro, perché le traccie constatate si fermano in un cortile senza uscita. (1)
La Gioconda - del Leonardo da Vinci, rapita or son due anni dal museo del Louvre, a Parigi, e per la quale era vana ormai ogni speranza, di ricupero, venne casualmente ritrovata a Firenze. Il quadro prezioso venne esposto al pubblico nella città di Firenze ed ebbe in tre ore, trenta mila visitatori, e verrà restituito alla Francia, che per tutto compenso ci ripaga di moneta spicciola, essendosi colà accentuato il movimento antiitaliano. (2)
Il romanzo della «Gioconda» pare volgere al suo termine. Dopo tanto chiasso giornalistico che prese proporzioni quasi mondiali, quando già era perduta ogni speranza di riacquisto, ecco il capolavoro Leonardesco ricomparire con unanime gioia, tra il serio ed il buffo di indescrivibili vicende. Chi l’aveva sottratto dal museo del Louvre era certo Vincenzo Perugia il quale credeva di compiere un patriotico dovere nel restituire all’Italia il capolavoro di un nobile e grande suo figlio. Ma, per ora, il Perugia è in prigione e la «Gioconda» tornerà al Governo Francese che si è dimostrato riconoscente all’Italia permettendo anche che prima della restituzione il quadro venga esposto a Firenze ed a Roma. Il concorso degli artisti e dei giornalisti fu straordinario (…).(3)
Occorre, per amore della verità storica, ricordare che la Gioconda fu condotta in Francia da Leonardo stesso, di sua iniziativa, e non fu acquisita dalla Francia tramite spoliazioni o ruberie belliche.
Anche se in guerra il timore di ruberie, che al contrario di quanto sotto riportato ci furono eccome, fecero temere il peggio e fecero della Gioconda oggetto di propaganda:
La “Gioconda” di Leonardo è sempre al Louvre. Parigi, 8 marzo. Il ministro francese per l'educazione ha diramato un comunicato ufficiale nel quale è smentita la voce, diffusa dalla stampa britannica, secondo la quale la famosa «Gioconda», dipinto di Leonardo da Vinci, sarebbe stata trasportata in Germania dalle autorità germaniche, unitamente ad altri tesori artistici esistenti nel museo del Louvre. Il comunicato sottolinea, in modo particolare, che non un solo capo d'opera esistente nella galleria d'arte o nel musei francesi è stato sequestrato dalle autorità d'occupazione tedesca, le quali, al contrario hanno offerto la loro stretta collaborazione al dipartimento delle «Belle Arti» francese. (4)
L’opera è stupenda, ma non ci si illuda poiché si tratta solo di una perla tra migliaia di perle rare e magnifiche disposte lungo le gallerie ove, saggiamente, sono stati posti anche divanetti per consentire il riposo alle persone fragili od anche solo di trattenersi ad ammirare le tele predilette.
Ovviamente non è consigliabile avvicinarsi troppo poiché ogni reperto ed opera si trova entro una protezione “allarmata” che suona in caso di eccessivo “interessamento” dei visitatori.
Precauzioni indispensabili e maggiormente ora con tanti facinorosi che si illudono di attirare l’attenzione su problemi, pur seri, nel peggiore dei modi. E cioè con azioni vandaliche ingiustificabili.
Come scrivevo poco sopra, occorrerebbe una settimana solo da dedicare al Louvre ma se ci si accontenta di vedere le opere più celebri una giornata diventa davvero tempo ben investito. Del resto, trovarsi di fronte alla Nike di Samotracia, alla Venere di Milo o ad Amore e Psiche del Canova non ha prezzo e non c’è tempo che possa considerarsi perduto pur di trovarsi d’innanzi agli occhi tanta bellezza e tanta grandezza.
Una simile esposizione di magnificenza artistica lascia davvero esterrefatti, quasi storditi, ubriacati dall’arte più elevata.
Di grande importanza sono poi le collezioni archeologiche, tra cui quella egizia. Uscendo dal Museo, scendendo, abbiamo avuto la possibilità di vedere le basi dell’antico castello che sorgeva prima del palazzo seicentesco. Vestigia scoperte in occasione degli ampliamenti e lavori degli anni ’80.
Infatti, in origine qui si trovava una fortezza del XII secolo eretta ai tempi di re Filippo II e cui seguì l’edificazione del palazzo odierno a partire da Carlo V con pesanti rimaneggiamenti nel successivo XVII secolo. Quando Luigi XIV si traferì a Versailles formalmente il palazzo restò sede regale ma si iniziò a progettarne la conversione in museo. La quale, paradossalmente, prese a trovare compimento ad opera del governo repubblicano che seguì la rivoluzione.
Dal piano interrato, tramite una vasta area commerciale, si esce infine su rue di Rivoli con ancora gli occhi incredibilmente sognanti.
Insomma, una visita è sicuramente raccomandata in quello che, davvero, è un tempio laico della coscienza, dello spirito e dell’arte della nostra vecchia ed amata Europa.
Alessandro Mella
NOTE
1) La Lanterna Pinerolese, 34, Anno XXX, 26 agosto 1911, p. 1.
2) L’Ancora, 51, Anno XI, 19 dicembre 1913, p. 2.
3) Il Popolo, 50, Anno XVIII, 1° dicembre 1913, p. 1.
4) La Stampa, 57, Anno LXXVII, 8 marzo 1943, p. 3.
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