Quanto segue si riferisce all’incontro n° 74 del 08.02.2022 che è stato suddiviso in 7 articoli. Questo è il n°5.
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Accettando di vedere dove ti conduce quello che apparentemente è un errore, quando lo lasci sviluppare interamente, si rivela TUTTO e quindi corretto. Non ci può più essere errore o fraintendimento. Comprendete ora perché diventa la più grande meditazione che possiamo mettere in atto? Perché in questo modo noi diventiamo UNO con TUTTO. E tutto quello che ci circonda dentro e fuori di noi in questo modo diventa UNO con NOI.
Al solo fine di farci comprendere le cose e il senso della vita.
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Poi ci sarà altro da fare ma intanto, se non si comincia da questo punto, l’altro che c’è da fare resterà sempre da fare e noi resteremo sempre qui a grattare e rivoltarci nell’immondizia prodotta da noi stessi. In questo non c’è nessuna differenza tra oriente e occidente, nord o sud del mondo. Non c’è differenza di cultura che possa dire diversamente, né di tecnologia che possa rendere più o meno visibile ciò che comporta tale processo. Non c’è differenza di dignità, non c’è semplicemente differenza! TUTTO è UNO! Ed è sempre presente e disponibile. Così questo ci toglie ogni possibile alibi rispetto alle nostre attese prima di metterci all’opera. Lo farò quando avrò finito di lavorare, oppure dopo essere andato al mare in vacanza, lo farò … No, lo possiamo fare proprio adesso, interrompendo qualsiasi cosa stiamo facendo diversamente o facendo esattamente quello che stiamo facendo. Non si può più scappare a questa evidenza. Da questo momento si può cominciare a misurare esattamente quello che è nostra reale intenzione e volontà fare. Cominciamo a poter misurare se è vero che lo vogliamo fare realmente o ci stiamo ancora raccontando menzogne, ci stiamo ancora ingannando volutamente.
Certo la questione è articolata. Intendo dire che, immagina una partita a scacchi, la previsione della prossima mossa. Parlando per me al momento c’è la creazione di un essere vivente con una serie di interazioni complessissime con tutto ciò che lo circonda e quindi anche il punto di rottura da cui cominciare a poter ragionare e fare diversamente, comunque ha una forza di freno notevole cioè, non lo voglio vedere solo in modo negativo, per permettere di uscire dalla zona di confort. A torto o ragione, nel punto in cui ti senti “in controllo” quello è un punto in cui sei fortemente frenato nel andare oltre. Torna come ragionamento?
Assolutamente sì! Infatti è molto più facile partire da qui e andare a fare meditazione per un mese in cima all’Himalaya che non fare una cosa di questo genere qui dove ti trovi ora e nelle condizioni in cui sei, che smettere per un attimo di continuare a fare quello che automaticamente viene fatto, giustificandolo come giusto e vero. Provare a stare senza fare niente per un minuto senza pensieri è più difficile che stare un mese sull’Himalaya da solo. Superare una prova di fatica come quella, portando sulle spalle chi vuoi o cosa vuoi e quasi come fare un gesto di espiazione riconoscibile, da te e da tutti, come il pagamento di un debito o acquisizione di un credito, che difficilmente potrà essere riconosciuto come tale in un minuto di non fare niente. Molti preferiscono fare gesti eclatanti al posto di quello che serve davvero se questo non è dimostrabile come quegli altri.
C’è perfino chi è salito 25 volte!
Appunto! Perfetto! Non ho dubbi in merito! Per questo dicevo: sì noi abbiamo capito che si può fare, ma piuttosto di farlo ce ne inventiamo di tutti i colori. Piuttosto di fare un minuto di questa cosa lì, dove ci troviamo, con le cose ed i mezzi a nostra disposizione sempre dentro e fuori di noi, ce ne inventiamo di tutti i colori. Preferiremmo meditare per mesi in equilibrio su un dito del piede, in equilibrio sulla punta di un palo di un centimetro di diametro piantato in mezzo a un mare mosso perché significherebbe il riconoscimento della nostra bravura a farlo. Peccato però che quando scendiamo da quel palo e qualcuno ti taglia la strada con la sua auto saremmo di nuovo prontissimi ad estrarre un’arma per colpirlo giusto in mezzo agli occhi. A che cosa ci è servito allora quel lungo meditare sul palo? Che cosa è cambiato in te?
È quello che dico sempre a mio figlio! Perché lui medita però quando si arrabbia con noi sclera e quindi gli chiedo a cosa sia servito il suo meditare. Poi si ravvede, ma ormai il meccanismo ha ripreso a imporsi.
Anche noi tutti facciamo così. Subito dopo ci pentiamo e l’istante dopo rifacciamo tutto daccapo. Dopo aver sterminato il mondo intero siamo pronti a pentirci, ma solo dopo. È così. E se ciò capita a qualcuno di noi, dotato di un certo grado di intelletto e di capacità di intendere e volere, pensate come possa agire la grande massa abituata a non fare neppure questa considerazione. Pensate a cosa possa essere portata a fare.
Comunque il fatto di capire che non c’è bisogno di tutte le cose che abbiamo, quando si incomincia poi viene da sé. Incominciare a togliere e togliere diventa una cosa normale. Ed è liberatoria!
Certo! È liberatoria! Si comincia a scoprire che si può respirare di nuovo anziché essere continuamente soffocati dalle cose di cui ci circondiamo. Tutto diventa meno assillante poiché perde gradualmente il suo potere su di noi. Ci si riappropria di qualche spazio della propria vita. È solo così che si può cominciare a vedere diversamente, a entrare in relazione con le cose, a vedere dentro le cose così come possiamo cominciare a vedere dentro noi stessi. Scoprendo il significato di un assioma ermetico che dice: “ciò che avviene nell’alto è come ciò che avviene nel basso e ciò che avviene fuori e come ciò che avviene dentro.”
Quindi non si separa più niente; si vedono e riconoscono quelle poche leggi fondamentali, le si vedono agire e si vedono quali ne siano le conseguenze e le interazioni. Comprendendo quanto si può evitare di fare per lasciare spazio, modo, energia per altro. Altro che si comincerà a intravedere solamente nel momento in cui si lascia spazio perché questo possa avvenire.
Attenzione. Questi momenti avvengono indipendentemente da quello che noi cercheremo di fare per meglio comprendere il senso di tutto ciò. Perché, prima che questo avvenga, qualunque tipo di supporto si vada a chiedere a una filosofia, a una religione, a una situazione, a una relazione, sarà sempre un disastro poiché si appoggia su qualcosa di sconosciuto e in gran parte errato. Errato in questo caso perché da qualunque parte noi cominciamo a vedere le cose ci fermiamo a metà, l’altra parte non la vogliamo, mentre invece dobbiamo accoglierle entrambe allo stesso modo. Nel momento in cui accettiamo ogni parte come compagna, e non per imposizione, a qualsiasi titolo o passivamente, vedremo accadere una cosa molto semplice: anziché mantenere ferma quella metà sotto il nostro sguardo, quindi cicatrizzandola in quello stato, permetteremo che si presenti anche l’altra metà, e quindi la cosa si concluda e possa proseguire oltre, lasciandoci liberi di continuare con altre esperienze.
Questo vale per tutto, anche per una malattia terminale. Solo che noi non abbiamo il coraggio di fare quella piccola cosa che ci viene richiesta per lasciar proseguire tale processo; figuriamoci se siamo in grado di farlo con una cosa così grossa come quella di cui abbiamo una paura tremenda! Preferiamo che a farci morire sia un altro nel tentativo di scampare quello che non possiamo scampare da noi stessi. È chiaro che mentre pronuncio queste parole ho paura anche io, poiché spero di non essere completamente pazzo da non temere una morte, dolore o una malattia. In questo momento non sono sano come un pesce, sono solo un pesce! Come tutti! Sono ancora qui con tutto quello che mi affligge ed ho visto quanto hanno fatto dentro di me molte delle cose che ho incontrato strada facendo, senza che mi fosse richiesto o abbia fatto chissà che cosa, anche se evidentemente qualcosa ho dovuto fare anche io. Bere l’acqua, per esempio, ogni volta che fosse necessario; non potevo certo non bere per venti giorni qualunque fosse stata la ragione per farlo! Sperando di non morire di sete, solo perché avevo deciso così! Quella cosa finisce nei suoi tempi e suoi modi. E intanto ognuno beva l’acqua che deve bere, no? Senza una conoscenza di noi stessi noi stessi siamo i nostri carcerieri ed i nostri aguzzini. Lo facciamo direttamente facendo delle cose assurde che ci portano alla morte precoce, quaranta anni in fabbrica per esempio, ma addirittura mettendo all’interno di quella fabbrica qualcuno che ci ordini come fare nel giusto modo proprio quella cosa che ci condurrà alla morte. Siamo veramente fantastici! E nonostante ciò siamo ancora vivi! Questo sì, è un miracolo senza spiegazione!
Di solito si muore quando se ne esce.
Ma adesso non succede neanche più così poiché oggi la pensione che riceviamo serve anche ad altri e non solo a noi. Quindi fino a quando la nostra pensione serve anche ad altri possiamo stare tranquilli, saremo mantenuti in vita. Fino a quando ci comportiamo come una mandria di animali da mungere veniamo tenuti in vita, anzi nella nostra stalla metteranno anche la musica ed ogni altro tipo di confort, per esempio nastri trasportatori che ci porgono ogni sorta di cibo perché continuiamo a mangiare di più, produrre di più, servire di più. Poter fare più latte per chi se ne serve.
Bisognerebbe uscire da questo mondo!
Certamente! L’espressione è giusta anche se nella pratica non serve uscirne fisicamente come crediamo di poter e dover fare. Basta fare solo quello che serve nel modo in cui ho appena accennato in precedenza ed anche se continuiamo a stare fisicamente in questo mondo è come se fossimo distaccati in un mondo parallelo, che poi è il vero mondo. Un mondo completamente diverso in cui vedremmo le cose in modo completamente diverso, ovvero esattamente come sono e non come le interpretiamo. Vedendole interagire con ognuno di noi in modo completamente diverso. Ed anche la nostra risposta sarebbe completamente diversa.
Saremmo come alieni nel vero senso della parola.
Saremmo altro!
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Prosegue nei prossimi articoli
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