Ognuno di noi possiede un orologio interno vitale in stretta relazione con il suo DNA. Legato a questo orologio biologico, indipendente dalla età anagrafica effettiva, vi possono essere elementi predittivi più significativi del classico declino mnemonico cognitivo.
Si è ora scoperto, grazie ad uno studio recentissimo, quanto sia rilevante l'aspetto epigenetico piuttosto che il mero aspetto cognitivo. Esistono delle cosiddette etichette chimiche in grado di attaccarsi al DNA alterando il modo in cui questi stessi geni si possono esprimere. Questo tipo di connessione evita l'alterare del DNA ma rende l'espressione del gene diversa.
Questo tipo di attività prende il nome di "invecchiamento epigenetico". Questi elementi di differenziazione metilica del DNA subiscono l'influenza del tempo, dell'ambiente, del comportamento, dello stress, e del cibo. Per questa ragione variano di persona in persona.
Nello studio a cui si fa riferimento pubblicato il 30 ottobre sula rivista Journals of Gerontology: Series A , i ricercatori hanno valutato, controllato e studiato 142 adulti in fascia di età compresa tra i 25 e i 65 anni. A ciascun partecipante è stato misurato l'orologio epigenetico prima di essere sottoposti a test mnemonici sui loro cellulari.
I ricercatori hanno scoperto quanto, a differenza di quanto si poteva pensare, non è l'età biologica a determinare l'invecchiamento precoce.
La dottoressa Stacey Scott, autrice senior dello studio e professore associato di psicologia alla Stony Brook University di New York, ha detto a WordsSideKick.com (fonte dell'articolo)
"Lo studio è il primo del suo genere, a nostra conoscenza, ad aver esaminato come questi orologi epigenetici dell'invecchiamento predicono nella vita quotidiana quanto bene le persone ricordano e quanto velocemente eseguono compiti mentali. Studi precedenti hanno riscontrato questo modello durante i test sulle persone in laboratorio, ma questo non è stato fatto nella vita di tutti i giorni".
Ma come è stato possibile determinare prima dell'esperimento l'attività epigenetica dei partecipanti?
Gli studiosi hanno esaminati i genomi di tutti i volontari evidenziando, per ognuno, i loro modelli di metilazione del DNA. Si tratta di definire come un gruppo di molecole chiamate gruppo metilico, trasporti in sé elementi in grado di attaccarsi al DNA madre modificandone le funzioni.
Da qui la divisione in due gruppi, in base al processo di metilazione, in età più vecchia o età più giovane. E questo aldilà dell'età effettiva cronologica o anagrafica.
A tutti i partecipanti sono stati compiti mnemonici a vari livelli i quali richiedevano la soluzione di test. In tutti sono stati somministrati 60 compiti in un periodo di studio di due settimane. In questo tempo sono state esaminate la memoria di lavoro e la velocità di elaborazione nella soluzione dei test somministrati specie nel passare da un testa al successivo.
"Poiché abbiamo chiesto alle persone di completare queste valutazioni di 'giochi cerebrali' molte volte", il gruppo di ricercatori ha avuto modo si esaminare due aspetti fondamentali: i punteggi reali da un lato e la valutazione personale percepita dall'altro. E questo grazie alla coerenza tra i risultati effettivi e l'idea di sé del partecipante.
Dallo studio emerge che chi era nel gruppo dell'età più vecchia della loro età anagrafica, trasmetteva risultati peggiori a rispetto a chi, invece, risultava più giovane epigeneticamente.
Questo studio, quindi, suggerisce quanto sia predittiva l'analisi dell'età epigenetica come elemento predittivo su potenziali disturbi di invecchiamento precoce o declino cognitivo.
Gli autori sono conviti che occorrano ulteriori ricerche in questo senso per meglio definire più nel dettaglio quanto, anche nel lungo periodo, l'età epigenetica entri in correlazione con le prestazioni cognitive andando ad indagare le modificazioni strutturali epigenetiche oltre che ai gruppi metilici.
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