
Tragico ballo alla Cantina della Cittadella
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Di recente ho pubblicato su “Civico 20 News” alcuni racconti della “Torino noir” che avevano come protagonisti criminali o devianti giovani o addirittura giovanissimi.
Nel confrontarmi con personaggi di questo genere con le mie ormai 63 primavere sulle spalle, ho percepito la necessità di coinvolgere un giovane anche soltanto per narrare le malefatte di questo tipo di criminali nel contesto della Torino del XIXmo secolo. Per questo esperimento di “rilettura” di casi criminali mi sono rivolto a Luca Colli, una delle giovani promesse della Redazione di “Civico 20 News”, che si è subito dichiarato disponibile.
Luca ha persistito nella mia visione di esporre i fatti senza addentrarsi in considerazioni di tipo criminologico e/o sociologico, in altre parole a privilegiare la storia e il piacere di narrarla rispetto alle interpretazioni.
Mi sono mantenuto il compito di contestualizzare le vicende criminali nella vecchia Torino, tratteggiando la location degli avvenimenti narrati.
Un’ultima precisazione riguarda le illustrazioni di questo racconto: in mancanza di adeguate immagini torinesi, visto che si narravano vicende collegate ad un ballo finito in modo tragico, abbiamo utilizzato – sia pure con qualche forzatura non soltanto temporale – alcuni fotogrammi del celebre film francese “Casque d’or” di Jacques Becker (1952).
Il racconto che segue è il primo prodotto del nuovo sodalizio: inutile dire che i commenti sono sempre graditi (MJ).
Location della nostra storia, nella Torino del 1871, è la Cantina della Cittadella detta ‘d Paolin, sita in via Bertola, al n. 39, all’angolo con via Antonio Fabro.
Via Antonio Bertola nasce dal 1858 da una nuova denominazione delle antiche contrade della Barra di Ferro, dei Due Bastoni e del Gambero, tutte dedicate all’ingegnere militare Antonio Bertola. Come le altre vie che si aprono in via Nuova, cioè via Caccia (via Monte di Pietà), e via Santa Teresa, la via Bertola, nel suo tratto compreso nella sezione Monviso, ha l’aspetto di una via medievale, stretta, con isolati mal allineati e formati da case vetuste.
Da piazza Solferino e via Botero, via Bertola entra nella sezione Moncenisio per finire nella piazza San Martino (oggi XVIII Dicembre): appare rettilinea e moderna, in relazione alla progressiva demolizione della Cittadella iniziata negli anni 1852-1853.
Della Cittadella, i Torinesi apprezzavano soprattutto i viali alberati del corso alla Cittadella.
Nel 1871, questi viali alberati sono quasi scomparsi ma sono stati sostituiti da un ampio giardino posto in corso Siccardi, che occupa anche l’attuale piazza Arbarello, e con un collegamento lungo via Bertola al giardino Lamarmora e con un prolungamento fino a corso Palestro.
Presso la Cantina della Cittadella di via Bertola, nella serata di domenica 5 febbraio 1871, molti giovani operai e alcune donne si apprestavano a festeggiare il Carnevale.
Proprio quella serata vede come protagonista, seppur suo malgrado, il giovane Lorenzo Steffanini.
Il nostro ragazzo stava ballando con la sua morosa, una delle più belle ragazze che si vedessero in giro. La giovane sarta, fra l’ammirazione dei presenti, ballava felicemente con il suo accompagnatore sulle note di una mazurca suonata da un organino.
Nessuno di loro, però, aveva notato che, in un angolo più appartato della cantina, quattro ragazzi stavano parlando tra loro. Costoro saranno poi identificati come Giacomo Nigra, Vincenzo Settimo, Angelo Ferrara ed Eugenio Galletti.
Il loro scopo era solo uno: attaccare briga con Lorenzo Steffanini. Erano intenti a pianificare come si potesse infastidire il ragazzo. Uno di loro, Eugenio Galletti, entrò in scena, cominciando a spingere Steffanini, con la scusa del ballo. Il ragazzo fece finta di nulla, e continuò a ballare con la sua morosa.
Indispettiti dal fallimento, gli altri due ragazzi, Nigra e Ferrara, presero il cappellino e lo scialle della ragazza, dirigendosi verso l’esterno. Costei chiese più volte che le fossero restituiti i vestiti.
La risposta dei ragazzi fu negativa: la spinsero, facendola cadere a terra.
Questo gesto fece infuriare Steffanini. Lo scontro fu inevitabile. Il ragazzo si gettò contro Nigra e Ferrara, aiutato dall’intervento di due amici, Sola e Cerruti; dalla parte degli altri due, intervennero gli amici rimasti in disparte: Vincenzo Settimo ed Eugenio Galletti.
Lo scontro fu subito acceso: pugni, calci e botte volarono fra i due schieramenti. La morosa di Steffanini raccolse i suoi vestiti, scappò via dalla cantina e andò a casa dove aspettò, invano, per tutta la notte il ritorno del suo Lorenzo.
La rissa, molto accesa e vibrante, sarebbe durata molto di più, ma i rumori infastidirono alcuni operai, intendi a bere e rilassarsi. Uno di questi, fisicamente molto robusto, cominciò a picchiare indiscriminatamente tutti i ragazzi intenti a far rissa.
Steffanini, approfittando dell’intervento del massiccio operaio, uscì dalla cantina e si diresse verso casa.
Gli altri non volevano lasciarlo andare via, la questione non era ancora chiusa, ma presto lo sarebbe stata. I quattro pedinarono il povero Steffanini, finché, a un certo momento, gli corsero incontro e, estraendo i coltelli, lo colpirono più volte. Il ragazzo, seppur ferito e sanguinante, riuscì, con grande determinazione, a fuggire ancora. Però, arrivato presso la chiesa di Santa Barbara, cadde nuovamente al suolo e venne raggiunto. Gli assalitori si gettarono su di lui con grande violenza e crudeltà: seppure a terra, ferito a morte e immobile, Eugenio Galletti volle colpirlo ancora con un calcio al volto. Dopodiché, i ragazzi si diedero alla fuga.
Steffanini, con le sue ultime energie, ebbe la forza di alzarsi e, fra mille dolori, di provare a cercare aiuto; ma, dopo pochi passi, cadde a suolo, definitivamente.
Il corpo fu trovato da alcuni poliziotti, che lo portarono all’ospedale Mauriziano. Furono riscontrati venti fori da lama sugli abiti, e nove ferite sul corpo, due delle quali mortali.
Dopo un’ora il povero Steffanini moriva, assistito dal fratello Siro.
Fulcro della storia è Siro Steffanini, fratello di Lorenzo, il quale ebbe la sensazione che il fratello fosse in pericolo. Mentre era intento a cercarlo, passò davanti ad una casa di tolleranza in via Fabbro e decise di controllare se per caso Lorenzo fosse là dentro.
Il fratello non c’era, in compenso c’erano Giacomo Nigra, Vincenzo Settimo, Angelo Ferrara ed Eugenio Galletti, con le mani e gli abiti ancora sporchi di sangue.
Ed ecco che Siro sentì gli assassini vantarsi delle loro gesta. Il ragazzo ricordò come, un anno prima, ci fosse stato un diverbio tra Lorenzo ed Eugenio Galletti, a causa di una donna.
Siro corse subito al Mauriziano, dove vide morire il fratello, poi denunciò i quattro ragazzi.
Questi furono arrestati e, il 31 maggio 1872, processati in Corte d’Assise, furono condannati: Ferrara, Galletti e Settimo a sei anni di relegazione, e Nigra a tre anni della stessa pena.
Si conclude così la storia di Lorenzo Steffanini, narrata dalla “Gazzetta Piemontese” di sabato 29 giugno 1872 nella “Rivista dei Tribunali”.
Questo fatto di cronaca, seppur datato, può essere paragonato a vicende dei giorni nostri.
Milo Julini & Luca Colli
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Articolo pubblicato il 16/10/2013