Quando si usavano gli omnibus e Torino era ancora Capitale del Regno d’Italia…
Se c’è una frase che detesto cordialmente è “Queste cose sono sempre capitate, capitano e, purtroppo, capiteranno sempre”. La detesto, in generale, perché suona come una scusante universale che prescinde dalla gravità di quanto è successo, e la detesto, in particolare, quando mi viene spiattellata alla conclusione di qualche mia conferenza sui miei beneamati temi della criminalità torinese e piemontese del passato: un po’ come dirmi che potevo starmene a casa e risparmiare il fiato…
Ma, scusatemi, questa volta la tentazione è stata troppo forte!
Appena ho letto su “Civico 20 News” quel titolo “Torino città violenta, nuova aggressione per i dipendenti della GTT da parte di un immigrato” ho pensato ad un episodio del 24 novembre 1864, che avrebbe potuto comparire sui giornali del tempo con il titolo “Torino capitale violenta, aggressione di un dipendente degli omnibus dello stabilimento Tana da parte di un immigrato”.
Ecco l’episodio, avvenuto quando Torino era ancora Capitale del Regno d’Italia.
Sul finire dell’anno 1864, i carabinieri procedono all’arresto di un certo Giovanni Cibrario, nato a Usseglio l’11 marzo 1845, residente in Torino, di 20 anni, di professione armaiolo.
Giovanni Cibrario, dalla natia Valle di Viù, è “immigrato” a Torino, nella capitale, in cerca di fortuna. Ma, evidentemente, Cibrario non si è adattato a svolgere “quei lavori che i torinesi non vogliono più fare”, è diventato un giovane nullafacente, ed è stato più volte condannato al carcere per furti.
Il suo ultimo arresto è motivato da una denuncia per furto presentata contro di lui da un certo Mosca.
All’arresto è presente anche Giovanni Pacossa, garzone di omnibus dello stabilimento Tana, che riconosce nel Cibrario uno degli autori di una rapina da lui subita il 24 novembre e che così racconta ai carabinieri.
Giovanni Pacossa, la sera di quel 24 novembre 1864, verso le ore 8 e un quarto, era di servizio sull’omnibus n. 4, che faceva ritorno dal Borgo San Donato alla piazza Castello percorrendo la via Cernaia.
Due sconosciuti sono saliti all’improvviso nella vettura e, quando l’omnibus è arrivato in prossimità di via Passalacqua, hanno aggredito Pacossa.
Lo hanno preso per il collo, lo hanno gettato a terra nell’interno dell’omnibus, dove, per caso, non vi erano altre persone. Hanno ripetutamente minacciato di ucciderlo con un coltello, poi gli hanno preso lo zaino guarnito di ottone che Pacossa portava a tracolla e che conteneva diciotto lire.
Poi, uno a poca distanza dall’altro, sono fuggiti mentre l’omnibus proseguiva il suo tragitto per via Cernaia.
Cibrario viene anche riconosciuto da un fruttivendolo, che ha tentato di rapinare, senza riuscirci.
Nell’agosto 1865, Cibrario compare davanti alla Corte d’Assise di Torino, accusato di rapina e di tentata rapina.
Cibrario nega l’uno e l’altro fatto ma i giurati lo dichiarano colpevole dei due reati e la Corte, con sentenza del 9 agosto 1865, lo condanna ai lavori forzati per quindici anni.
Questo mio scritto vuole essere soltanto una sorta di supplemento ai miei consueti articoli sulla “Torino noir”: non vorrei che fosse letto come una mia presa di posizione buonista e politically correct.
Non ho raccontato questa vicenda del passato per trovare scusanti ad un episodio del presente sicuramente molto grave.
Se è vero, come affermava l’autorevole criminologo francese Alexandre Lacassagne, che “Ogni società ha i criminali che si merita”, nella nostra attuale società vi sono molti che fanno tutto il possibile perché di criminali ne “meritiamo” sempre di più…
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Articolo pubblicato il 01/02/2014