La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Il dottor Alberto Gamba e gli scheletri di Torino ottocentesca

«Chissà quale mistero nascondono quelle ossa disseccate?» questa è la domanda retorica formulata dal cronista della «Gazzetta Piemontese» del 23 febbraio 1877, quando annuncia il ritrovamento di uno scheletro umano.

Il giorno precedente, infatti, alcuni muratori che stavano demolendo una casa in via Corte d’Appello, hanno trovato, tra l’impalcato e la volta di una cantina, uno scheletro umano che, secondo i medici, è stato sepolto da oltre mezzo secolo.

Già, «Chissà quale mistero nascondono quelle ossa disseccate?» è la domanda che ci si pone sempre nel caso di questi macabri ritrovamenti.

Oggi, un argomento caro alle leggende metropolitane “nere” torinesi è quello degli scheletri, ritrovati nel corso di demolizioni di case o appartamenti, anche perché Torino ha una consolidata fama di città magica: secondo la tradizione esoterica più antica, è contemporaneamente il vertice del triangolo di magia bianca, con Praga e Lione, e di magia nera, con Londra e San Francisco.

La Torino ottocentesca postunitaria non ha quell’alone sulfureo che oggi pare circondarla ed anche questi ritrovamenti di scheletri misteriosi non assumono né la frequenza né gli aspetti clamorosi e inquietanti di quelli avvenuti altre città italiane, come Roma o Napoli, ed all’estero.

Così il cronista non sembra nemmeno troppo impensierito quando il 12 novembre 1875, in uno scavo in un giardino di casa Mussetto, oltre il ponte Mosca in regione Aurora, viene rinvenuto uno scheletro umano ancora intero, che si scompagina appena viene toccato: scrive soltanto che le ossa saranno custodite da un poliziotto finché l’autorità giudiziaria avrà fatto le necessarie indagini («G.P.», 13 novembre 1875).

Molto più inquietante appare il ritrovamento di uno scheletro avvenuto il 5 febbraio 1879, durante lavori di ristrutturazione, in una nicchia di un muro della casa al n. 18 di via San Domenico: lo scheletro, murato in posizione verticale, appare quasi intatto nelle parti superiori e inferiori e distrutto nelle mediane.

Questo ritrovamento appare particolarmente inquietante perché la casa di via San Domenico n. 18, in passato, è stata sede del monastero del Rosario: scheletri in convento!

Il pretore della Sezione Moncenisio pensa ad un delitto commesso molti anni prima («G.P.», 6 febbraio 1879). Il giorno seguente, però, questa ipotesi viene sconfessata.

Lo scheletro, identificato come appartenente ad una donna giovanissima, non è stato murato dopo un delitto: tutto induce a credere che si tratti di una monaca sepolta nella sua cella secondo l’uso di tumulare chi viveva in convento nel recinto del loro chiostro. Quest’uso è stato legalmente abolito nel 1777 ma, di fatto, è durato fino al 1830 («G.P.», 7 febbraio 1879).

Il mistero dello scheletro in ambiente religioso appare sempre pruriginoso e stuzzicante.

Permette di fare dell’anticlericalismo a buon mercato, secondo due linee di pensiero, una “noir” che evoca gli “orrori” e i “misteri” dell’Inquisizione ed una seconda “piccante”, che richiama vicende boccaccesche di ambiente conventuale.

Ricordo che quando lavoravo alla Facoltà di Medicina Veterinaria, allora situata in via Nizza 52, uno degli inservienti, ormai anziano, quando era al bicchiere dopo, sosteneva con convinzione che il pozzo al centro del cortile era pieno degli scheletrini di neonati, figli illegittimi delle monache che abitavano il convento poi trasformato in Scuola Veterinaria.

All’inquietante ritrovamento di scheletri di persone uccise, si contrappone la scoperta di ossa di individui volontariamente scomparsi, scoperta in apparenza più rassicurante perché giustificata da scelte comportamentali degli interessati.

È il caso dello scheletro trovato nei boschi di Superga, il 31 ottobre 1875.

Da pochi brandelli dei vestiti e dalle indagini condotte, si può ritenere che siano i resti di Nicola Garello, poco più che ventenne, che abitava alla cascina della Lucca il quale da più mesi si nascondeva, girovagando per i boschi, per sfuggire ai carabinieri perché ricercato per furto aggravato e renitenza alla leva («G.P.», 2 novembre 1875).

È anche il caso dello scheletro che giovedì 12 settembre 1878, verso le quattro del pomeriggio, viene deposto nella camera mortuaria del Cimitero, dopo essere stato ritrovato in un campo presso il Regio Parco. Attorno al busto è rimasto un giubbotto che conteneva alcune carte nel taschino. Si dice che sia un tale che si è suicidato per sfuggire ad un processo penale («G.P.», 13 settembre 1878).

Si tratterebbe quindi di un ladro disertore e di un indagato che hanno scelto la latitanza e questa scelta di vita alla macchia, evidentemente, secondo il cronista sembra giustificare la morte, l’abbandono, il mancato seppellimento…

Il ritrovamento di scheletri o di ossa umane può anche rivestire interesse scientifico.

Leggiamo, nella «Gazzetta Piemontese» del 25 agosto 1875, che alcuni giorni prima, nel corso di lavori alle fognature in via della Misericordia, si sono scoperte molte ossa umane. Il medico municipale, dottor cavalier Giuseppe Rizzetti, ha subito avvertito il medico cavalier barone Alberto Gamba, per valutare se questi reperti potevano interessare il Museo craniologico dell’Accademia di Medicina, di cui è direttore.

Il dottor Gamba risponde che le ossa, ormai in frantumi, sembrano appartenere a donne adulte e, verosimilmente, provengono dal cimitero del monastero di San Pietro, attivo verso l’anno 1000 e distrutto nel 1560: queste «povere ossa» non hanno interesse archeologico.

Il dottor Gamba non è la versione torinese di Temperance “Bones” Brennan e, anche se si parla del suo “Museo craniologico”, non è neppure un personaggio come “Il collezionista di ossa” del romanzo di Jeffery Deaver (1997) e del film di Phillip Noyce (1999).

Il dottor Alberto Gamba (Torino, 1822-1901), è stato studioso di antropologia e cofondatore del Museo Craniologico dell’Accademia di Medicina di Torino, oggi custodito presso il Museo di Anatomia umana «Luigi Rolando».

I torinesi devono essere grati a Gamba soprattutto perché si è reso benemerito con la cura dei bambini rachitici, attuata con la creazione a Torino, nel 1872, di apposite scuole gratuite e, nel 1885, dell’Istituto Regina Maria Adelaide.

In un altro caso, invece, il ritrovamento di scheletri assume aspetti di sinistro umorismo, come nel caso della vedova di un medico che vuole disfarsi dell’ingombrante corredo scientifico del defunto marito e suscita così un inaspettato clamore giornalistico.

La «Gazzetta Piemontese» del 22 novembre 1882 annuncia infatti che, al di fuori della Barriera di Nizza (piazza Carducci), in una località significativamente denominata bassa Porchieria, nel pomeriggio del giorno precedente è stato trovato uno scheletro umano appeso con una cordicella ad un albero di acacia.

L’ossatura era tenuta malamente unita da fili di ferro e si è subito capito che si trattava dello scheletro tenuto nello studio da qualche medico, consegnato ad uno spazzaturaio perché lo portasse fuori Torino con le immondizie.

Lo scheletro è stato seppellito nel cimitero della borgata Lingotto, mentre le locali guardie campestri hanno invano svolto ricerche.

Dopo due giorni però la faccenda si sgonfia: il giornale scrive infatti che lo scheletro non era appeso a un albero ma a pezzi staccati, gettati in una località dove gli spazzini raccolgono i rottami tolti dalle spazzature perché non servono a produrre letame.

È confermato che lo scheletro apparteneva a un defunto professore di Torino: la vedova, per sbarazzarsene, lo aveva consegnato fin dalla primavera a uno spazzino che lo aveva gettato nella discarica dove era stato trovato («G.P.», 24 novembre 1882).

Questa volta, il mistero delle «ossa disseccate» è stato chiarito!

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Articolo pubblicato il 27/02/2014