La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Gli scheletri “letterari” della Galleria Subalpina

Nella Torino ottocentesca postunitaria, il ritrovamento di scheletri più clamoroso, almeno per il loro numero, avviene durante i lavori per la costruzione della Galleria Subalpina (oggi la si chiama anche “Galleria del Romano”) che congiunge i portici “della Fiera” di piazza Castello con la piazza Carignano, «portando luce, moto e viabilità ad un angolo angusto e cupo, tanto fastidioso al presente», come scrive un giornalista dell’epoca.

La galleria è inaugurata il 30 dicembre 1874. Per il suo allestimento, durato diciotto mesi, viene demolito il palazzo che, in Torino capitale, ospitava il Ministero delle Finanze, nell’attuale via Cesare Battisti.

Durante i lavori di demolizione, vengono alla luce quattro scheletri.

La «Gazzetta Piemontese» non riporta la notizia di questa clamorosa scoperta.

Nel nuovo anno 1875, il giornale pubblica diversi articoli dedicati alla Galleria, che al tempo è detta Carrera, dal nome dell’architetto Pietro Carrera (1835-1887) che l’ha progettata e realizzata.

Sono articoli a carattere tecnico ma, velatamente, promozionali e non parlano certo dei quattro scheletri.

Si incarica di questo compito l’anonimo cronista che tiene la rubrica “Per Torino” sulla «Gazzetta Piemontese»: il 9 gennaio 1875 inizia la pubblicazione di una lettera molto curiosa, riguardante i quattro scheletri della galleria, che dice di aver ricevuto da un tale che si presenta così: «Io sono spiritista; alcuni de’ miei amici mi dan del matto, ma siccome in molte e molte cose mi accorgo di ragionare meglio di loro, così mi accontento di ridere e di pensare meco stesso che è son più matti di me.

Il vero è che io cerco gli spiriti e parlo con loro, e scrivo sotto la loro dettatura; sono in breve quello che si chiama medium scrivente e veggente».

Dopo questa presentazione, sui quattro scheletri della Galleria Subalpina viene imbastita una storia. Il misterioso corrispondente spiritista (che ha tutta l’aria di essere un espediente letterario!) racconta che, dopo aver parlato con vari conoscenti del macabro ritrovamento nel centro di Torino, incuriosito, a casa sua ha evocato i quattro scheletri. Questi, inizialmente, gli sono apparsi come una nebbia tenuissima che si è condensata per assumere l’aspetto di una giovane donna, di un uomo vecchio e due di robusti giovanotti.

È il vecchio che parla e narra una storia di ordinaria sopraffazione medievale, ambientata in una Torino presabauda dove «Le botteghe erano buchi, i quartieri della gente da poco erano stambugi, i comodi della vita erano per pochissimi, e la ricchezza del popolano era di non morire di fame».

I quattro scheletri appartenevano tutti alla stessa famiglia, il fantasma voce narrante è un cardatore di lana, vedovo con due figli ed una figlia, bellissima e priva degli insegnamenti materni, concupita dal prepotente di turno, un giovane signore un po’ Don Rodrigo in versione cattiva, un po’ “ladro dell’onore” con suggestioni in stile marchese De Sade.

La ragazza fugge col giovane signore prepotente, che ha il suo palazzo dove ora sorge la Galleria Subalpina.

Padre e fratelli, per ottenere una qualche riparazione, domandano udienza alla madre del prepotente che vive con lui nello stesso palazzo.

La signora, un po’ dark lady, un po’ strega di Biancaneve, si dimostra più altezzosa e crudele del figlio, perché «Di sangue straniero, non aveva nell’anima superba che un culto: quello della propria nobiltà».

La signora nega al padre ogni soddisfazione morale: si limita a promettere, con parole molto offensive, una ricompensa in denaro.

Poi la signora convoca il figlio e fa portare alla sua presenza la figlia del cardatore, che appare riluttante, smarrita, discinta, spettinata, quasi irriconoscibile per i suoi stessi parenti.

La ragazza guarda per un po’, sbalordita, il padre e i fratelli, come se non li riconoscesse, un po’ come se la loro vista la impaurisse, poi si caccia le mani nei capelli, lancia un urlo e cade ai piedi del padre.

Affiora a questo punto la tremenda verità: il prepotente non si è limitato a disonorarla.

Lo dice il fantasma parlante: «- Padre! Padre mio! - gridò ella, - uccidetemi, lo merito, ma uccidete prima quell’infame!...

E levatasi di nuovo, impetuosa, con un balzo, la faccia illuminata da un raggio di pazzia, l’occhio fuor del punto, tendendo il dito verso il ricco e giovane prepotente, così continuò con accento che sembrava impossibile a voce umana:

- Questo infame mi ha tratta qui nei lacci suoi, ma ciò è nulla… Sapete che cosa ha fatto di me? Mi ha gettata sbalordita in preda a un branco di suoi pari ubbriachi, alla fine d’un’orgia scellerata, in cui egli era il più iniquo, il più disprezzabile, il più abbietto».

Il giovane signore adirato, bestemmiando, le grida: «Mala femmina che il diavolo confonda! Ti mostrerò a rispettarmi!», poi con un calcio fa rotolare a terra la poveretta fra le gambe dei parenti esterrefatti.

Quando il padre e i fratelli, esasperati, abbozzano una reazione di vendetta, la signora madre del prepotente ordina ai suoi scherani di massacrare i tre uomini e la ragazza: «Tutti fummo uccisi, anche la figliuola, e il nostro sangue bruttò la veste di raso della superba signora e gli speroni d’oro dell’illustre cavaliere…».

I quattro cadaveri, evidentemente, vengono poi sepolti nelle cantine del palazzo.

Come dice il fantasma narrante: «[…] sparimmo dalla terra senza che nessuno se ne accorgesse: fummo delle tante vittime della prepotenza in un’epoca barbara e feroce di cui voi altri oggi viventi potete stimarvi beati di non avere nemmeno più la giusta idea». I lavori per la Galleria Subalpina li hanno riportati alla luce, anche se non si spiega perché un prepotente, che può far massacrare impunemente quattro persone, non possa far gettare i loro cadaveri nel Po anziché tenerseli sepolti in cantina…

Una novella storica scritta con l’atteggiamento di chi detesta i nobili superbi e si vendica parlando dei diritti delle classi popolari, di chi sostiene l’uguaglianza degli uomini, intesi come maschi, ma della condizione femminile ha ancora una visione puritana e perbenistica.

Quello che oggi ci rende simpatico lo sconosciuto autore non è tanto la sua idea che si sia realizzato un netto miglioramento «nel rispetto della dignità umana, della libertà, della sicurezza dell’individuo» - come anacronisticamente dice il fantasma parlante – ma l’ingenua convinzione che la Torino del 1874 sia una magnifica città, perché considera come eccezionali abbellimenti i modestissimi miglioramenti urbanistici apportati!

Che la Torino medievale non fosse bella come quella del 1874 lo dice il fantasma parlante: «Abbiamo visitata la nostra Torino, oh quanto cambiata da allora! Figurati che piazza Castello non esisteva, che non esisteva via di Po, né via Nuova che ora chiamate di Roma, né piazza S. Carlo e che Dora Grossa [via Garibaldi] finiva un poco più in là da [la chiesa di] S. Dalmazzo. Figurati che intorno al Castello, il quale non aveva naturalmente la facciata [juvarriana] che guarda Dora Grossa, vi erano ammassi irregolari di case, per lo più casette […] intersecate da viuzze piccole, storte, sporche, non illuminate la notte, mal sicure sempre».

Questo brutto racconto storico, che potrebbe tranquillamente rappresentare anche la trama di un fumetto porno, occupa ben tre numeri del giornale a conferma dell’interesse suscitato nei lettori dal ritrovamento dei quattro scheletri della Galleria Subalpina.

Il giornale, per dare ai lettori qualche ulteriore notizia, in mancanza di informazioni più concrete provenienti dalla polizia e/o dai medici legali, ha fatto ricorso a letteratura di serie B.

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Articolo pubblicato il 06/03/2014