Cosa significa il modo di dire “lavorare per il Re di Prussia”?

Quando troppe versioni improprie, nascondono l’ autentico significato storico

Il modo di dire “lavorare per il Re di Prussia” viene utilizzato, nel linguaggio corrente, sempre meno, sicuramente per il fatto che se ne è perso il vero significato e di conseguenza l’efficacia immediata nel contesto di un discorso.


Succede in realtà per tutti i modi di dire che fanno riferimento ad eventi storici abbastanza remoti, dove l’ impietosa usura del tempo ne sgretola irreversibilmente la correlazione e la memoria stessa.

 

Nel tentativo di trovare una risposta al quesito in causa, viene in aiuto lo studioso Giuseppe Fumagalli, (Firenze, 27 luglio 1863 – Firenze, 11 maggio 1939), grande bibliografo, bibliotecario, erudito italiano, che ci offre una solida e precisa spiegazione con riferimenti storici incontrovertibili (Chi l’ ha detto? – Editore Ulrico Hoepli Milano).

 

Il tutto nasce da una frase di un popolarissimo ritornello di una canzone che si cantava a Parigi contro il Maresciallo di Francia principe Charles de Rohan principe di Soubise (Versailles, 16 luglio 1715 – Parigi, 4 luglio 1787), sconfitto disastrosamente contro ogni previsione a Rossbach da Federico II il Grande il 5 novembre 1757, episodio bellico della Guerra dei Sette anni.

 

           “… Il a travaillé, il a travaillé pour le roi De Prusse …”

 

Il Comandante francese Maresciallo di Soubise, dimostrandosi incapace di coordinare le proprie truppe sul campo di battaglia, divenne il naturale capro espiatorio del disastro di Rossbach e l’annuncio in Francia di questa umiliante sconfitta fu l’occasione, da parte di una nascente opinione pubblica, di libelli, di beffe, irriverenti e caustiche verso il suddetto, con l’ intento manifesto di dileggiare questo personaggio, intimo amico del Re Luigi XV e anche protetto di Madame de Pompadour, ma con l’obiettivo, ovviamente mascherato, di screditare questi ultimi due massimi personaggi istituzionali del tempo.

 

Di qui la frase Travailler pour le Roi de Prusse (lavorare per il Re di Prussia) che significava lavorare per niente e quindi anche beffardamente al proprio rovinoso danno o, in una visione più generalizzata, per una persona  ingrata.

 

Tuttavia, per rendere meglio il significato di questo aforisma, diventa necessario conoscere il contesto storico-militare in cui questo ha avuto origine e nello stesso tempo evidenziare la intensa reciproca complementarietà dell’ evento al relativo modo di dire.

 

Non rimane che rivisitare sinteticamente il riferimento storico della battaglia di Rossbach nel contesto della Guerra dei Sette anni.

 

La Guerra dei Sette anni fu un conflitto che si svolse tra il 1756 ed il 1763 e coinvolse le principali potenze europee dell’ epoca, fra cui il Regno di Gran Bretagna ed il Regno di Prussia in una alleanza (America Britannica, Brunswick-Luneburg, Regno di Portogallo, Langraviato di Assia-Kassel, Confederazione Irochese) contro la coalizione rappresentata dal Sacro Romano Impero- Austria, dal Regno di Francia, dal Regno di Spagna, dal Regno di Svezia, dal Regno di Polonia, dall’ Elettorato di Sassonia, dal Regno di Sardegna, dalla Nazione Urone e dall’ Impero Russo.

 

La Guerra dei Sette anni si può definire come la prima vera guerra mondiale, poiché fu il primo conflitto della storia moderna ad essere combattuta non solo sul territorio europeo, ma anche in varie parti del globo dove le potenze europee avevano i loro possedimenti coloniali (il Québec del Canada, la valle dell’ Ohio, la riva sinistra del Mississippi, Cuba, la Martinica e la Guadalupa, il Senegal, l’ India, le Filippine, ecc.)

 

La battaglia di Rossbach (località in Sassonia-Anhalt in Germania) fu combattuta il 5 novembre 1757, durante la guerra dei Sette anni e conclusa con la vittoria di Federico II il Grande (1712 – 1786), che alla testa di 22.000 uomini e con 72 cannoni batté i 45 mila uomini con oltre 100 cannoni della coalizione franco–imperiale (Francesi sotto il Maresciallo di Soubise e l’ esercito del Reich/Austro-Tedesco sotto il principe e Feldmaresciallo dell’ Impero Giuseppe Federico Guglielmo duca di Sassonia-Hildburghausen).

 

Il piano d'operazione degli alleati - ad imitazione del famoso "ordine obliquo" di concezione federiciana - tendeva ad aggirare la sinistra dei Prussiani per tagliar loro la strada verso Lipsia.

 

Federico, informato dei reali movimenti dell'avversario, fece togliere il campo per fingere un'improvvisa ritirata e, prima ancora che le forze nemiche passassero dalla formazione di marcia al completo schieramento di battaglia, sferrava un improvviso attacco contro il fianco dell'avversario.

 


 

La battaglia ebbe uno svolgimento rapidissimo: l'artiglieria del re di Prussia produceva vuoti devastanti con il sapiente impiego delle sue bocche da fuoco. Le fanterie venivano fatte avanzare con risolutezza ed impeto dalle alture contro il grosso delle colonne franco-imperiali e la cavalleria del generale Friedrich Wilhelm von Seydlitz riusciva a portare a fondo un rapido e risolutivo attacco contro il fianco destro nemico.

 

L'esercito degli alleati subì perdite molto pesanti (7.700 in battaglia, cifra cui mancano i feriti, i dispersi ed i disertori, per non contare i caduti durante la ritirata. Modeste le perdite prussiane (550 uomini).

 

Le cause della grave sconfitta dei franco-imperiali erano da ricercare soprattutto nella genialità strategica di Federico II, nelle innovazioni tattiche e nella capacità manovriera dei suoi generali; ma anche, in parte, nel grave disaccordo fra i comandanti dello schieramento franco–austriaco  e nelle inevitabili condizioni morali e materiali delle loro truppe.

 

Conseguentemente le molteplici versioni di questo aforisma, che circolano sui media in modo fantasioso, senza un riferimento bibliografico serio e verificabile, salvo eventuali, ma improbabili smentite supportate da una documentazione degna di questo termine, si devono considerare infelici “invenzioni goliardiche” che incrementano l’ infrenabile flusso di spazzatura mediatica che inquina costantemente il tentativo dell’ utenza di accedere alle conoscenze documentabili.

 

Purtroppo questa realtà di degradante incultura e pressapochismo è diventata una sgradevole costante con cui dobbiamo tutti i giorni fare i conti.


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Articolo pubblicato il 05/10/2014