LE INTERVISTE POSSIBILI

Risponde: Mauro Biglino

Incontriamo il noto Autore torinese di studi biblici, Dr. Mauro Biglino, traduttore dall’ebraico antico, che ha analizzato la Bibbia Stuttgartensia redatta sulla base del Codice masoretico di Leningrado, al quale porremo delle domande relative alle controverse interpretazioni di alcune parti del Vecchio Testamento.


- Dr. Biglino, attraverso i Suoi testi e tramite le Sue conferenze, riprese e trasmesse da Youtube, emergono delle sconcertanti conclusioni relative a interpretazioni, “altre”, del Vecchio Testamento che stanno creando notevole imbarazzo in molti ambienti religiosi. Vuole dirci qualcosa in proposito?

Mauro Biglino - Le conclusioni ritenute più sconcertanti possono essere sintetizzate nei seguenti concetti: l’Antico Testamento non parla di Dio; nella lingua ebraica non esiste neppure un termine che abbia il significato di Dio nel senso inteso dalla religione; nell’Antico Testamento non si parla di creazione e tanto meno di creazione dal nulla così come non è contenuto il concetto di eternità.

In sostanza l’Antico testamento è un insieme di libri che dovrebbero essere oggetto di studi storici, archeologici, linguistici, genetici, sociologici, psicologici, paleobotanici, climatologici ecc… ma assolutamente non teologici. Bisogna sapere che il cosiddetto libro sacro è stato scritto in una lingua che non contiene neppure i termini specifici del pensiero teologico e i termini non esistono perché non esistono i concetti sottostanti.

In sostanza,  se non c’è una parola che indica Dio così come inteso dalla religione, significa che non esiste il concetto che quella parola dovrebbe esprimere. La teologia quindi non dovrebbe avere nulla a che fare con quei libri ma da secoli se ne è appropriata compiendo una azione a mio parere indebita.  Essa è infatti una forma di pensiero che elabora idee su Dio, ne ipotizza l’esistenza, ne definisce caratteristiche ed attributi e poi passa i secoli a discutere delle idee che essa stessa ha elaborato: ma la Bibbia si occupa chiaramente di altro.

L’imbarazzo negli ambienti religiosi è quindi comprensibile, e anche inevitabile, nel momento in cui si prende atto di questi evidenti dati di fatto.

- Da queste osservazioni emergerebbe una visione molto differente del Testo Sacro per eccellenza, quali sono le critiche che maggiormente Le vengono mosse dagli ambienti religiosi?

M.B. - La critica fondamentale concerne proprio l’approccio da me scelto che consiste nel fare una lettura letterale del testo. Questa lettura è da sempre osteggiata e sostituita con quelle teologiche, allegoriche, metaforiche, mistiche, che hanno l’obiettivo di nascondere sotto coltri di mistero ciò che invece il testo narra con una semplicità ed una evidenza disarmanti.

Questo è il vero motivo del contendere: la chiarezza disponibile per tutti contro il mistero gestito, interpretato e commentato dai detentori del potere.

Con i libri anticotestamentari dobbiamo registrare una situazione che supera anche il limite del normale buon senso e che è così rappresentabile: noi non sappiamo chi li ha scritti, non sappiamo quando furono scritti nella loro prima stesura, non sappiamo come furono scritti in origine, anzi abbiamo la certezza che non corrispondevano a quelli che possediamo oggi (come scrive il Prof Alexander Rofe, docente presso la Hebrew Univestity di Gerusalemme), non sappiamo neppure come fossero letti data l’assenza delle vocali, ma pretendiamo di sapere e affermare con indiscutibile certezza che sono stati ispirati da Dio e che, attraverso le categorie dell’allegoria e della metafora, molto spesso quando contengono scritta una cosa ne vogliono indicare e rappresentare un’altra. 

Si tratta a mio avviso di una pretesa assolutamente insostenibile dalla quale deriva il tentativo di dimostrare che la lettura letterale non va fatta perché sarebbe la lettura degli ignoranti. Io sostengo invece che non sapendo nulla sulle origini di quei libri abbiamo almeno il dovere di provare a dare credito a ciò che vi è letteralmente scritto e ciò che vi è letteralmente scritto non ha nulla che vedere con l’edificio costruito dal pensiero teologico.


- Ultimamente Lei ha affermato che nella Bibbia non si parla di Dio, è un’ affermazione molto forte, vorrebbe spiegare questa posizione?

M.B. - L’Antico Testamento è un insieme di libri che narra una storia concreta costituita dalle vicende concernenti il rapporto tra una famiglia, quella di Giacobbe, e un individuo di nome Yahweh cui venne affidato l’incarico di occuparsene. Egli era un militare, un uomo di guerra così come definito in Esodo, e si comportò di conseguenza: cercò di utilizzare i suoi per conquistare territori che non gli erano stati assegnati, senza per altro riuscirci mai appieno.

Lui non era Dio e nessuno nella Bibbia lo considerava tale, neppure Mosè. Nei libri e nelle conferenze ho ampiamente documentato su base testuale come lo stesso popolo che lo seguiva sapesse bene di avere a che fare con uno dei tanti Elohim. Dal periodo postesilico (V sec. a.C.) in poi, il pensiero sacerdotale giudaico e l’elaborazione profetica hanno poi tentato di presentarlo come il più grande e importante degli Elohim: un tentativo dalle finalità anche comprensibili ma che va riconosciuto e inteso come tale, nulla di più. 

Non posso ovviamente riprendere qui le varie analisi per motivi di spazio ma l’evidenza testuale non lascia dubbi e non a caso invito sempre il pubblico a leggere l’Antico testamento con mente libera, considerandolo come uno dei tanti libri scritti dall’umanità nel corso della sua storia. Suggerisco di farlo avendo l’accortezza di tenere presente i seguenti punti:

  • quando nella nostra Bibbia troviamo scritto Dio, in ebraico abbiamo il plurale Elohim, spesso accompagnato dal verbo al plurale che le traduzioni invece rendono falsamente con il singolare;

  • quando nella nostra bibbia troviamo scritto il Signore o l’Eterno, in ebraico abbiamo Yahweh;

  • quando nella nostra Bibbia troviamo scritto l’Altissimo, in ebraico abbiamo Elyon, che risulta chiaramente essere l’epiteto con cui viene identificato il più alto in grado nel gruppo degli Elohim.


Così facendo si avranno interessanti sorprese.

- Affermando che il termine Elohim voglia esprimere un significato di pluralità, se ne dovrebbe dedurre che indicasse un concetto di “divinità”, inteso come gli dei e non come Dio, è corretto?

M.B. - La questione è che nella Bibbia non esiste il “teismo”,  concetto tipicamente greco che è stato introdotto a forza e artificiosamente in un testo che non lo contiene: non esiste quindi il monoteismo e neppure il politeismo.  

Tradurre con Dio il termine Elohim significa operare una scelta di assoluta fantasia infatti sarebbe bene non tradurlo mai per un motivo semplice ed evidente: nessuno sa con certezza cosa voglia dire. Le correnti dogmatiche non hanno ovviamente dubbi, per loro significa Dio, ma quel vocabolo plurale viene tradotto in tutti i modi possibili proprio a causa della profonda non conoscenza che lo circonda, motivo per il quale sarebbe più corretto trascriverlo tale e quale o, al più, sostituirlo con una espressione del tipo “quelli là”, senza sottoporlo ad alcuna interpretazione.

Da questa traduzione artificiosa inizia la mistificazione. Il problema del plurale ha posto questioni che l’esegesi teologica è costretta a tentare di risolvere con vari tipi di spiegazione che analizzo nei miei lavori ma la conclusione non muta la sostanza dei fatti: quale che sia la spiegazione del plurale che i teologi vorranno utilizzare come definitiva questa andrà applicata a tutti gli Elohim di cui parla la Bibbia e la loro pluralità è evidente e innegabile: sono persino nominati singolarmente.

Nel libro che uscirà tra qualche mese ho inserito una analisi parallela tra un testo biblico e uno extrabiblico che parlano entrambi di Yahweh e del suo collega rivale Kmeosh: la pariteticità dei due Elohim risulta di una evidenza indiscutibile.

- Cambiare in modo così radicale la “visione del Libro Sacro” potrebbe creare disorientamento e sconcerto, quindi le Sue opinioni devono essere assolutamente verificate e verificabili, una bella responsabilità!

M.B. - La verifica è data dalla lettura del testo biblico condotta sulla base di una ipotesi di lavoro molto semplice: facciamo finta che quando gli autori biblici scrivevano una cosa volessero dire proprio quella.

Invece la dottrina tradizionale opera sulla base di preconcetti teologici assolutamente ingiustificati anche perché con i libri anticotestamentari dobbiamo registrare una situazione che supera ogni limite e che ho rappresentato prima: noi non sappiamo quasi nulla di quei libri ma pretendiamo di sapere e affermare con indiscutibile certezza che siano stati ispirati da Dio e che, molto spesso, quando contengono scritta una cosa ne vogliono indicare e rappresentare un’altra.

Nelle conferenze spiego come neppure il libro di Isaia, il più importante dei profeti, abbia un autore certo, anzi semmai siamo certi che nella migliore delle ipotesi ne abbia avuti almeno tre e che abbiano scritto nell’arco di circa 250 anni.

Ma non è tutto. Gli studiosi sanno che gran parte dei racconti biblici delle origini sono copie rielaborate di testi più antichi (sumeri, accadici e fenici) e qui dobbiamo registrare un’altra colossale assurdità: la teologia sostiene che i racconti antichi siano miti, favole, leggende, mentre la Bibbia è verità ispirata da Dio.

In pratica si sostiene che gli originali sono invenzioni fantasiose mentre la copia (cioè la Bibbia) è verità rivelata: non potremmo fare questa affermazione con nessun altro testo, ma in ambito religioso non ci si fa alcuno scrupolo nel fare affermazioni prive di ogni giustificazione.

I trattati di teologia sono infatti “liberamente tratti” dall’Antico Testamento e spesso non avvertono neppure la necessità di trovare in esso giustificazione dal momento che l’assunto di base è il seguente: quando il testo contiene elementi contrari alla dottrina viene sottoposto ad una interpretazione che fa uso dell’allegoria o della metafora e gli si fa dire altro. E’ quindi la teologia a ritenere dogmaticamente di non doversi sottoporre alla verifica.


- Lei fa spesso riferimento ai testi di Zecharia Sitchin, recentemente scomparso, e ai suoi studi sui Sumeri. Ritiene che alcune tribù che hanno poi formato il popolo ebraico derivassero da queste popolazioni, localizzate tra il Tigri e l’Eufrate?

M.B. - In uno dei miei libri ho provato a documentare l’ipotesi che la civiltà sumera fosse il derivato della conoscenza trasmessa dagli Elohim al gruppo degli adam che si trovò ad agire proprio nel territorio in cui si sviluppò quella cultura che l’archeologia sostiene non avere avuto una apparente evoluzione ma essere comparsa già formata e dotata di conoscenze e tecnologie la cui provenienza non è al momento documentata.

Nel lavoro che sto scrivendo ora riporto una serie di acquisizioni derivanti da vari ambiti della scienza ufficiale (genetica, medicina, paleobotanica, paleozoologia…) in cui questa ipotesi trova straordinarie conferme: anche qui sarebbe bene che la scienza ufficiale procedesse con ulteriori approfondimenti e verifiche. Se tutti “facessimo finta che “ quei testi contenessero cronache concrete potremmo trovare risposte a domande che al momento ancora  le attendono e forse non le troveranno mai se si continuerà a considerare i testi antichi come miti, leggende, favole, allegorie o metafore.

- Dr. Biglino, dai Suoi studi emerge l’idea che gli dei biblici possano essere stati degli Extraterrestri giunti sulla Terra molti millenni or sono per scopi piuttosto inquietanti, ne vogliamo parlare?

M.B. - Dico subito che la Bibbia non fa riferimenti precisi a luoghi di provenienza. Unico indizio è dato dal termine nefilim tradotto normalmente con “giganti”, un vocabolo plurale la cui forma singolare in aramaico (nefila) indica la costellazione di Orione.

Seguendo la scelte metodologica del “fare finta che” noto che gli Elohim biblici hanno esattamente le stesse caratteristiche dei theoi greci (il mio nuovo lavoro conterrà proprio la documentazione di queste corrispondenze straordinarie), dei deva indiani, degli anunnaki sumero-accadici, dei viracochas centro e sudamericani, degli asi nordici ecc… gruppi di governanti molto potenti e tecnologicamente evoluti che i racconti dei popoli di tutti i continenti dicono essere arrivati dalle stelle.

Quegli individui hanno operato sulla terra utilizzando ed applicando le loro conoscenze scientifiche e le loro dotazioni tecnologiche grazie alle quali hanno anche “fabbricato” l’uomo partendo dagli ominidi con cui sono venuti in contatto: anche questo ci narra la Bibbia in parallelo con gli altri libri scritti dall’umanità.

In sostanza non ho alcuna difficoltà a fare una affermazione che capisco essere apparentemente inaccettabile: partendo da una normale e disincantata lettura della Bibbia è decisamente più facile ricavare l’esistenza di quegli individui che non quella di Dio. Su questo non ho dubbi.

- La ringrazio Dr. Biglino, le Sue risposte susciteranno sicuramente ulteriori discussioni e apriranno nuovi dibattiti. Il tema è scottante e attualissimo. Vorrei invitarLa nuovamente per approfondire altri aspetti delle Sue ricerche, valutando anche le implicazioni che potrebbero interessare il Nuovo Testamento.


M.B. - Sono io che ringrazio dell’attenzione e dell’interesse per il mio lavoro. Dichiaro fin da ora la mia disponibilità per altri futuri incontri. Un carissimo saluto ai lettori che invito ancora una vota ad accostarsi alla Bibbia con mente serena allo scopo di elaborare proprie personali convinzioni senza passare attraverso mediazioni esterne (compresa la mia naturalmente).


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Zecharia Sitchin

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Articolo pubblicato il 11/01/2015