
Gli illustri spettatori dell’Ostensione del 4 maggio 1842, effettuata in occasione del matrimonio del principe ereditario Vittorio Emanuele con la principessa Maria Adelaide d’Austria
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L’Ostensione della Sindone nel 1842 si effettua nella sua ricorrenza liturgica del 4 maggio, in occasione di un matrimonio di Casa Savoia, quello del principe ereditario Vittorio Emanuele (il futuro Vittorio Emanuele II) con la principessa Maria Adelaide d’Austria, celebrato a Stupinigi dall’Arcivescovo di Torino, Luigi Fransoni, il 12 aprile di quell’anno.
L’Ostensione del 1842 è soltanto un momento del programma piuttosto intenso dei festeggiamenti per il matrimonio ma, dalle cronache, appare un evento molto sentito dalla popolazione torinese.
Possediamo documenti, cronache e testimonianze di illustri spettatori di questa Ostensione, che avviene ancora con l’antico sistema ma senza il padiglione porticato, che separava la piazza Reale dalla piazza Castello, usato appositamente per le Ostensioni. Questo padiglione è bruciato all’inizio dell’800 ed è stato sostituito, nel 1840, dalla cancellata opera di Pelagio Palagi.
Le Ostensioni avvengono quindi dai balconi del Palazzo Madama, dove la Sindone è sollevata e mostrata alla popolazione, senza preoccuparsi della deperibilità della reliquia, sistema sconcertante e quasi inconcepibile per noi, abituati alle sofisticate cautele tecnologiche per la sua tutela.
Alle 9 del mattino del 4 maggio, l’urna che contiene la cassa con la Sindone viene portata al Palazzo Madama con una solenne processione, fra colpi di cannone e i rintocchi delle campane. Nella grande sala, dove è stato allestito un altare, si rompono i sigilli, la Sindone viene estratta dall’Arcivescovo di Torino e da quattro Vescovi che lo assistono, Monsignor Pasio, vescovo d’Alessandria, capo del Magistrato della Riforma degli Studi; Monsignor Charvaz, vescovo di Pinerolo, precettore di Vittorio Emanuele; Monsignor Bruno di Tournafort, vescovo di Fossano, elemosiniere di S.M. e Monsignor Ricardi di Netro, vescovo di Savona, elemosiniere di S.M. che hanno già partecipato alla celebrazione del matrimonio del principe ereditario a Stupinigi.
La Sindone viene distesa sopra un tavolo, coperto da un finissimo panno e il Re Carlo Alberto, la Regina, il principe ereditario con la moglie, i genitori della sposa, principi e principesse di Torino e di Milano con tutta la Corte, si inginocchiano a venerarla e baciarla.
I cinque Vescovi sollevano quindi la Sindone e la espongono per un quarto d’ora alla pubblica venerazione dal balcone del Palazzo Madama rivolto verso l’attuale via Garibaldi.
Il tempo è nuvoloso ma assiste uno sterminato numero di persone che formano una massa compatta in piazza Castello e nelle vie principali che vi si aprono. Ci sono spettatori anche sui balconi, alle finestre e persino sui tetti. Quando la Sindone viene esposta, tutti si scoprono il capo e si inginocchiano, con tanta devozione che il Re Carlo Alberto si commuove.
L’esposizione viene ripetuta agli altri tre lati del Palazzo, sulla loggia verso la piazza Carignano, poi su quella verso la via Po e infine su una loggia in legno costruita in corrispondenza delle attuali Prefettura e via Giuseppe Verdi.
Dopo ogni esposizione, nelle sale corrispondenti alle logge, la Sindone viene distesa su un tavolo per essere venerata e baciata dai componenti del Senato (tribunale supremo dello Stato sabaudo), della Camera dei Conti, della rappresentanza del Municipio e della Università.
La Sindone viene quindi stesa sulla tavola posta nella grande sala, custodita da due Vescovi, e qui viene venerata da tutti i Corpi religiosi regolari e secolari.
Alle quattro e mezza del pomeriggio la quadruplice esposizione viene ripetuta.
È ancora aumentato il numero degli spettatori, torinesi e forestieri arrivati da province vicine e lontane.
Dopo le quattro esposizioni, la Sindone viene avvolta, sigillata con lo stemma reale, riposta nella sua cassa e, con una solenne processione, riportata nella Cappella del Guarini.
Questa è la cronaca che ci forniscono la “Relazione ufficiale” e Luigi Cibrario nel suo libro “Le feste torinesi dell’aprile 1842” (Torino, 1842).
La relazione più vissuta è quella di Silvio Pellico, contenuta in una lettera scritta al padre domenicano Raimondo Feraudi, amico di famiglia e residente a Saluzzo, nella stessa giornata del 4 maggio 1842. Silvio Pellico scrive: «Dev’essere stato un sacrifizio per te e per Giuseppina [sorella di Silvio Pellico] di non potere venire a vedere l’esposizione della SS. Sindone. Io ho avuto questo bene; sono andato colla signora Marchesa di Barolo alla finestra di una casa in piazza Castello all’angolo di via Doragrossa, e quindi dirimpetto al balcone del Palazzo di Madama da questa parte. Fu fatta l’ostensione prima a questo balcone, poi a quelli degli altri tre lati. […] L’aria è un po’ nuvolosa, ma senza pioggia, ed anzi trapelano raggi di sole. Il concorso è immenso, e certamente la curiosità non v’ha parte quanta la divozione. Oh quanto infatti è veneranda questa Reliquia! Non si può mirare senza un profondo commovimento».
Un’altra testimonianza è quella del conte Paolo Capello di San Franco, Procuratore generale di Cassazione a riposo, che nel 1898 scrive: «Oltre nonagenario, io sono probabilmente il solo superstite della Suprema Magistratura Torinese che abbia avuto l’insigne privilegio, quale Sostituto Avvocato dei poveri, di godere dell’invito diretto al Reale Senato di assistere in toga magna alla santa esposizione dallo stesso Palazzo Madama, diguisaché ricordo pienamente d’avere, immeritamente, non solo toccato un lembo di quella Sacra Tela, ma di averla anche divotamente baciata distinguendo perfettamente sovr’essa le orme d’un Corpo, del quale doppio favore ho sempre conservato e sempre conserverò la più preziosa delle mie spirituali reminiscenze».
A quella Ostensione assiste anche il padre del conte Paolo Capello di San Franco, il conte Luigi (1770-1847), autore di un dizionario mitologico e di un dizionario piemontese, che così descrive la sensazione provata alla vista della reliquia nel suo articolo “Un cenno sulla SS. Sindone”, pubblicato nel 1842 sulla rivista “Museo Scientifico, Letterario e Artistico”: «Il 4 maggio fu per noi un giorno di lieta mestizia, poiché eravamo tutti compresi dal gaudio nell’assistere all’esposizione del Sacro Lenzuolo, ed eravamo ad un tempo compresi da un terrore nel considerare l’uso cui esso era stato destinato. I nostri occhi non sapevano scostarsi da quella vista».
Anche San Giovanni Bosco assiste a questa Ostensione. Lo ricorda il suo biografo don Giovanni Battista Lemoyne, nelle sue “Memorie biografiche”: «Don Bosco pure vi accorse e con lui tutti i giovani dell’Oratorio».
San Giuseppe Benedetto Cottolengo, particolarmente devoto alla Sindone, muore a Chieri il 30 aprile, alcuni giorni prima dell’Ostensione: secondo il suo biografo don Pietro Paolo Gastaldi, mentre il 21 aprile si recava a Chieri, prendendo spunto dalla folla festante che riempiva le vie di Torino, aveva esposto una lunga riflessione sulla reliquia alle tre suore che lo accompagnavano.
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Articolo pubblicato il 30/04/2015