
Versi tratti dal romanzo "La Danza dei Tarocchi" e.book ed Mondi Velati
I Catari
Dei Catari ‘l pensier novo s’accende
a convertir le barbare masnade
e ora ‘l grande Spirito riprende
il passo dall’Albion per l’altre strade.
E votansi pel malo le borgate,
e cade come solo uomo cade.
E moion le mefitiche, stregate
paludi di quel morb’avvelenato.
Se voli nel pensier d’antiche date,
che livide le acque han trasformato,
rivedi l’altre vite e le rimiri
ed il ricordo sembra, ridestato.
Calandomi nel mar dei miei sospiri
si come si tuffava il pellicano,
compiendo col pensier tremendi giri,
portai l’essenza mia ben più lontano.
E poi vagai nel nulla più profondo,
ducendomi da sol, coll’altra mano,
fintanto che una luce sullo sfondo,
mi disse che la Via non fu smarrita.
Fedele fui d’Amor nello mio mondo,
fedele a lei, cui dedicai la vita:
poiché amai Sophia, come una sfida,
quel grande amore, oggi non si cita.
Vagai nel mio pensier, senza una guida
che palesasse a me, lo volto santo,
al par d’un pellegrin, che nudo grida,
finché trovato avea, candido manto.
Ricordo quel calor d'antica specie
che tutto m’avvolgea, si come un guanto.
Ricordo quella notte color pece
e vivida la croce sul mio petto,
che tant’orror tra i vili Mori fece,
per ripudiar la voce di Maometto.
E mentre m’ affrettav’ in questi passi,
mondando dal cor mio, ogni sospetto,
posai in basso quei, pensieri lassi,
vedendone in alto di novelli.
Li vidi come nei lucenti sassi,
ad opera d’Astrologi e maghelli,
ch’il tempo non li avea ancor creati:
ancor prima che ov’ eran’ uccelli.
E apparvero color che fur dannati,
tacciati d’eresia da quella Chiesa
che senz’appello, li mondò bruciati,
ponendone per lei la giusta resa.
M’apparve nel martirio quel Giordano
ch’ancor prima del rogo ebb’accesa
l’idea che Dio nell’Omo, fu sovrano.
Keplero si produsse in dotti canti,
giungendo a decifrar il grande Arcano,
spingendo l’Univers’ ancor più avanti,
minando d’Aristotele la scienza
e tutt’il Paradiso, co’ suoi santi.
Ed il Nolano pose la semenza
menand’il suo pensiero più lontano
donand’al pesce suo, tutta la lenza,
e pure quella che, non era in mano.
Portò quel gran pensiero d’infinito
spiegando le sue Tesi, sempre invano,
a quel Clemente che, alzando il dito,
lo condannò a bruciar com’impostore.
Ma ‘l suo pensier, che tanto parve ardito,
col tempo riscattò tutto l’onore.
Poi vennero, sublimi senza eguali,
quegl’Angioli mandati dal Signore:
parlavan di mercurio, zolfo, e sali
ponendo sulla Croce rubea Rosa,
che dallo Spirto tien, lontano i mali.
Giammai trovassi pria simil cosa,
giammai pensiero venne più sublime,
Cristiano la descrisse come sposa,
ed ora io la canto tra le rime.
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Articolo pubblicato il 26/12/2015