Dal primo gennaio 2016 nuove regole in banca

Con la direttiva europea BRRD ( Bank Recovering and Resolution Directive)

Con l' inizio dell' anno, altre sorprese si profilano all' orizzonte del cliente delle banche italiane ( ed europee): una vera e propria rivoluzione delle regole bancarie, statuite dal primo gennaio 2016 dal BRRD ( Bank Recovery and Resolution Directive).

Queste nuove direttive sono obbligatorie, pena severe sanzioni per le banche, ed il cliente dovrebbe essere informato dagli istituti di credito di quanto sta succedendo in merito ai rapporti tra banca ed il suo cliente.

Se questo non avviene, o non è ancora avvenuto, lo facciamo noi per informare i lettori che, ovviamente, hanno tutti un conto in banca od un rapporto con le banche a qualsiasi titolo.

Quello che è successo con Banca Marche e le altre banche “salvate” è solo un’anteprima. Dal 1° gennaio 2016 non è la banca a pagare, ma il cliente.

Le nuove regole europee

Con il nuovo anno anche l’Italia si è dovuta adattare alla direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), che introduce in tutti i Paesi europei le stesse regole per prevenire e gestire le crisi delle banche. Un argomento particolarmente delicato, anche perché gli effetti potrebbero non fermarsi alla banca coinvolta: se dopo il fallimento di una banca il timore di perdere i propri soldi sfocia in una “corsa agli sportelli”, la crisi può allargarsi all’intero sistema. E a quel punto non importa più quanto sia sana, in teoria, la banca: son dolori per tutti.

Per questo, si è deciso di definire in anticipo come far fronte alla crisi di una banca. L’obiettivo è far continuare la banca nella sua normale operatività, per evitare che fallisca (la cosiddetta liquidazione coatta amministrativa) ed evitare, di conseguenza, “l’effetto-panico” sul mercato.

Un primo assaggio lo si è avuto con le quattro banche “salvate” lo scorso novembre . Il passaggio dalla “vecchia” alla “nuova” banca è avvenuto senza che filiali e sportelli chiudessero neanche un solo giorno.

Cosa cambia per il cliente

Se fino ad adesso le crisi bancarie sono state risolte, in un modo o nell’altro, con l’intervento di altre banche o con aiuti pubblici, d’ora in poi dovrà essere la banca stessa, o meglio i suoi investitori, a “auto-salvarsi”: bail-in significa proprio auto salvataggio.

Il primo passo è stato stabilire una “autorità di risoluzione” per ogni Paese (per l’Italia, è Banca d’Italia). Questa autorità ha diversi compiti. Il primo è preparare un “piano di azione” pronto all’uso se e quando si dovessero manifestare i primi segnali di pericolo per i conti della banca. Il secondo compito è intervenire per tempo, avviando questo “piano di azione” prima che sia troppo tardi per risanare la banca.

Quattro strade per evitare il fallimento

Quando non c’è modo di risolvere la crisi con la normale gestione (ad esempio con un aumento di capitale), le “autorità di risoluzione” possono intervenire in più modi, scegliendo quello più adatto o combinandoli tra loro. Il primo è vendere una parte delle attività della banca a un acquirente privato. A patto, ovviamente, che la banca abbia dei “gioielli” da vendere e che ci sia un acquirente.

La seconda possibilità è trasferire temporaneamente l’attività della banca a una nuova società, gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato. È quello che è stato fatto anche con le quattro banche “salvate” a novembre.

La terza opzione è trasferire i crediti dubbi, in sostanza la parte “malata” del bilancio della banca, a una bad bank, cioè a una società che ne curi la liquidazione. Anche questa parte della nuova normativa è già stata “anticipata” con il salvataggio in extremis delle quattro banche.

E se tutto questo non è applicabile o non basta, si arriva all’opzione più temuta: il bail-in. Si svalutano azioni, obbligazioni, depositi per riassorbire le perdite e rifornire la banca del capitale necessario per proseguire l’attività.

Controlli più severi

Per il legislatore europeo, in sintesi, ora è il cliente che deve prendere la piena responsabilità dei suoi investimenti, senza più contare sullo Stato che, in un modo o nell’altro, ci metteva una pezza.

Principio condivisibile, in teoria, ma solo a patto che il cliente sia sufficientemente informato sullo “stato di salute” della banca in modo da prendere decisioni consapevoli. Ma la triste realtà è che, spesso, non è così: casi più o meno recenti di scandali bancari hanno dimostrato che la pubblicazione dei bilanci non basta a garantire un’adeguata informazione.

Tanto più che a mettere i bastoni tra le ruote è un’altra direttiva europea che impone d’ora in poi alle società quotate di pubblicare i conti semestralmente, e non più trimestralmente.

Il bail in, questo sconosciuto

A fine novembre Governo e Banca d’Italia hanno utilizzato alcune delle nuove regole per salvare quattro banche in crisi: Banca delle Marche, Cassa di risparmio di Chieti, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio e Cassa di risparmio di Ferrara.

Di fatto, questa operazione è stata concepita per dribblare le regole del bail-in e il suo spirito di base: e cioè che a pagare devono essere in primis i privati (azionisti, obbligazionisti, correntisti per gli importi sopra 100.000 euro) e solo in ultima istanza il fondo di risoluzione, o peggio ancora la collettività.

Azionisti e obbligazionisti “subordinati” hanno pagato in prima persona (ora si parla di un fondo di solidarietà per risarcirli almeno in parte). E il resto delle perdite su chi ricade? Ancora una volta sulla collettività, tramite il sistema bancario e tramite lo Stato che comunque, tra garanzie e minori tasse dalle banche “salvatrici”, ci ha rimesso.

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Articolo pubblicato il 22/01/2016