Tre passi RIDENDO ALL'ITALIANA

Ricordiamo assieme alcuni dei film che hanno fatto ridere, piangere... o piangere dal ridere gli italiani delle ultime quattro generazioni

Cominciamo tristemente questo articolo, che pur tratta di film tutti da ridere, unendoci al lutto per il recente scomparso e famoso regista del genere Ettore Scola, spentosi questa settimana nella serata di Martedì 19 Gennaio.

Grande esperto del genere fin dagli anni '70, il suo film più amato (non solo dal sottoscritto) è probabilmente "C'eravamo tanto amati" del 1974, ambientato nell'immediato dopo guerra e che ci narra le vicissitudini personali di tre amici (Nino Manfredi, Vittorio Gassman e Stefano Satta Flores) che avranno tre destini diversi finendo poi col ritrovarsi a cena molti anni dopo, in un triste ma al contempo epilogo e sommario delle loro esistenze.


Chi tra loro farà carriera, chi invece finirà affossato per colpa del suo ideologismo politico, lungo 30 anni di vicende dalla liberazione fino al travagliato '78, ognuno sballottato dagli alti e bassi della vita e rincorrendo i propri amori, a volte anche in comune, come nel caso della bella attrice intepretata dalla bellissima Stefania Sandrelli.

Il film è un grande classico della commedia all'italiana, fortemente legato ad altri capolavori tricolore, su cui tra tutti "Ladri di biciclette" di Vittorio De Sica che viene a più riprese menzionato in vari passaggi e da vari personaggi nel corso della storia, segnando in particolare il destino del personaggio interpretato da Flores.

Parlando sempre di commedia italiana e ricordando un altro lutto che ci aveva colpito pochi anni prima, impossibile non parlare anche dei film del grande Monicelli, padre dell'indimenticata e indimenticabile saga di "Amici miei".

Nell'immensa filmografia del regista posso andare a pescare alcuni dei film che mi hanno divertito fin da piccolissimo, ignaro ancora dei dialoghi e della trama ma solo per le smorfie e la gestualità dei suoi protagonisti.

Uno su tutti è il bellissimo "L'armata Brancaleone", dove (ancora) Vittorio Gassman guida stoicamente (e stolidamente) un manipolo di miserabili verso un feudo pugliese del quale sono venuti in proprietà, tramite una pergamena sottratta alle spoglie di un cavaliere dato per morto durante un assalto.


Una commedia quindi tutta "on the road" durante la quale la sgangherata compagine di Gassman incontrerà i personaggi più disparati (e disperati), come ad esempio un principe caduto in rovina mirabilmente interpretato dal futuro "Indio" di Sergio Leone, Gian Maria Volontè, qui stupidamente a suo agio nell'idiozia generale che governa l'Armata.

Il film è un divertentissimo trip di dialoghi e situazioni non-sense degno dei migliori Monty Phiton, ha avuto un altro spassosissimo seguito (forse però non all'altezza e originale quanto il primo) con "Brancaleone alle crociate", sempre diretto da Monicelli, che praticamente riprende la storia dove si interrompe il primo capitolo, con l'Armata in fuga per le crociate per redimere il loro onore e le loro anime e sfuggire all'iraconda vendetta del Cavaliere dato per morto all'inizio del film.

Sempre parlando di Monicelli poi è d'uopo citare un altro pezzo di storia della commedia italiana, "I soliti ignoti", dove una banda di sfigatissimi ladri e truffatori si mette assieme per il colpo gobbo della vita, svaligiare la "comare", una cassaforte piena di preziosi di una gioielleria.

Un film dove la miseria non è mai stata così divertente, una banda di ladri non è mai stata così inefficiente e disorganizzata, senza contare poi il ruolo a margine della bellissima Claudia Cardinale, timida e casta sorellina del gelosissimo siciliano "Ferribotte", promessa sposa a un ricco ben partito ma in realtà segretamente innamorata di uno degli spiantati membri della banda.


Una improbabile e incapace marmaglia in pieno stile "anti-Ocean's Eleven", che si ritrova unita quasi per caso ognuno col suo ruolo e il suo bagaglio di conoscenze, nonchè il suo fardello di demenza e inettitudine da apportare alla banda, sempre interpretati da i soliti Gassman e Marcello Mastroianni per arrivare a "l'esperto di casseforti", incarnato alla perfezione dalla mimica inimitabile e la parlata a raffica del solito simpaticissimo Totò.

Una volta nominato Totò, ovviamente, si chiude una porta ma si spalanca una valanga di ottime commedie che sarebbe possibile nominare, come i citati Scola e Monicelli, di cui ovviamente mi limito solo a citare quelli che personalmente ritengo, se non i migliori, i più "particolari" pezzi di cinema che hanno offerto nello spaccato italiano durante le loro lunghissime e fertilissime carriere di comici e registi.

Mi viene in mente a tal proposito l'allucinato "Che fine ha fatto Totò Baby?", film del 1964 di Ottavio Alessi, commedia che si rifà apertamente al terrificante "Che fine ha fatto Baby Jane?" di Robert Aldrich di pochi anni prima, dove una disgraziatissima Bette Davis sottoponeva a una serie di crudeltà fisiche e psicologiche la sorella invalida Joan Crawford.

Il film di Alessi parte come la classica commedia piena di scambi ed equivoci, da una valigia con un morto all'interno ad un'altra piena invece di semi di marijuana, che portano i due ladri spiantati Totò e il suo "malmenatissimo" fratello Pietro De Vico fin dentro la tana del conte Misha Auer (inteprete di sè stesso), organizzatore di feste e vitaiolo che però è al laccio e dipende dal soldo nella borsetta della moglie.


Inizialmente coinvolto nell'omicidio della moglie del Conte, "Totò Baby" finirà in breve per diventare un feroce serial killer, prendendo sempre più il gusto dell'uccidere e sempre più allucinato dalla marijuana che consuma a piatti interi come fosse comune insalata.

Una divertente commedia che si trasforma in uno "pseudo-horror" abbastanza atipico nel finale, con un Totò perfettamente a suo agio come pazzo furioso e il povero De Vico perennemente bullizzato dall'inizio alla fine della pellicola.

Una famosa coppia che ho sempre visto poi come di una comicità molto simile a quella di Totò (pur non eguagliandone la fantasia nelle movenze e la recitazione) sono stati poi i famosissimi "Franco e Ciccio", protagonisti di centinaia di film comici diretti dai più diversi e dotati registi italiani.

Forse il più divertente tra tutti è "Il bello, il brutto, il cretino", film del 1967 di Giovanni Grimaldi, dove ovviamente i due sono alla caccia di un tesoro, assieme al "bello" Mimmo Palmara, sulla falsariga del trio del film culto di Sergio Leone "Il buono, il brutto, il cattivo".


Sempre ricalcando il film di Leone, i due fanno società come fuggitivo consegnato alla polizia per la taglia e aiutato poi a fuggire dal socio, colpo che si allargherà poi a tre partecipanti nel finale quando Palmara decide di unirsi al duo per riscuotere taglie a tradimento.

Il film vive quasi tutto ovviamente sui battibecchi tra i due protagonisti siciliani, spalleggiati degnamente da Palmara e dalla bella Brigitt Petry, nel ruolo della prostituta che metterà in saccoccia con sagacia e furbizia lo spiantato trio di improbabili pistoleri.

Altro film del duo comico che mi rimase particolarmente nel cuore fu poi "Ku-Fu? Dalla Sicilia con furore", film del 1973 diretto da Nando Cicero, ovviamente altra presa in giro dei famosi film "marziali" del grande Bruce Lee.

In realtà anzi solo Franco (detto "il Fico d'India") è protagonista della pellicola, nel ruolo dell'allievo prediletto del maestro "Kon Chi Lai", in lotta epocale con la gang "Lho-Con-Te'".


Ottima lavoro di mazzate rustiche e risate grossolane ma efficaci, che copia e scimmiotta in modo efficace lo stile di regia, fotografico e le "pose" da duro del mitico Bruce, sostituendolo con la faccia da schiaffi del imbranatissimo comico siciliano.

Oltre ai duelli d'onore nella faida secolare delle due bande, il nostro dovrà destreggiarsi contro tre ferocissimi sicari mandati a sconfiggerlo e inoltre vincere un torneo di arti marziali dove in palio c'è un lavoro come vigile urbano nel comune di Roma.

Tutt'altro tipo di vigile è invece Alberto Sordi, in uno dei suoi ruoli che al sottoscritto sono piaciuti più di tutti, nel film (appunto) "Il vigile" diretto da Luigi Zampa del 1960.

Nel ruolo di incorruttibile ma esageramente rompiscatole vigile urbano, carica ottenuta per pura fortuna, Sordi è in lotta perenne con gli abitanti del luogo e il sindaco De Sica, esasperato dall'eccessivo zelo del vigile urbano e la sua comunque inefficienza a ricoprire la carica nonostante la sua ossessiva e fastidiosa, quanto spassosa e esilarante per gli spettatori, personalità dirompente con cui si vendicherà di una vita come vittima delle prese in giro dei suoi concittadini.


Tanti piccoli screzi e siparietti per una storia leggera e divertente, una piccola parte anche per la fascinosa Silvia Koscina (nel ruolo di sè stessa) e anche il molto bravo Franco di Trocchio, figlio del vigile che però si dimostra spesso più adulto e responsabile del suo ingestibile genitore.

Sempre di Zampa è poi il film di qualche anno dopo "Il medico della mutua", sempre con protagonista l'Albertone nazionale, commedia grottesca ma anche critica graffiante al nostro sistema sanitario nazionale.

Nel ruolo di un giovane medico a caccia di lavoro, Sordi prende di mira un vecchio dottore con migliaia di mutuati e la sua anziana signora, alla quale comincerà a fare la corte nella speranza di "ereditare" la ricca lista di pazienti del marito.

Ovviamente molto più composto dello sfrenato vigile urbano del film precedente, il dottor Sordi comunque non manca di simpatia nell'intepretare un uomo in carriera senza scrupoli e senza pietà verso niente e nessuno, che vede nella sanità pubblica nient'altro che una catena di montaggio con i poveri malati al posto degli ingranaggi, prescrivendo ricette di cure e medicine a pioggia sia che essi ne abbiano reale necessità o che invece sia il medico a necessitare di rimborsi da parte della convenzione con la mutua.


Molto divertenti soprattutto i siparietti coi vari pazienti, tra i quali su tutti ricordiamo la memorabile faccia da schiaffi di "Jimmy il Fenomeno", attore caratterista presente in una infinità di pellicole del genere, non di meno il precedente "Ku-fu" di cui abbiamo parlato e altre storiche pellicole come ad esempio la saga del trucidissimo "Er monnezza" interpretato da Thomas Milian.

Passando a giorni più recenti e vicini all'infanzia di chi vi scrive, altra ottima commedia con una spietata "lotta tra classi" è il famoso "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto", film del 1974 diretto dalla bravissima Lina Wertmüller.

Protagonisti sono la ricca e snob Mariangela Melato e il rozzo e cafone Giancarlo Giannini, qui nel ruolo di un insolita coppia che per una coincidenza si riscoprono novelli "Robinson Crusoe" in un isola deserta.

Lontani dalla civiltà Giannini si rivale di tutte le umiliazioni subite dalla ricca e prepotente despota Melato, in uno sfiancante (ma divertente) gioco al "padre padrone" contro l'assoluta "non autosufficienza" della donna, finendo però con l'innamorarsi della stessa che ricambia al punto di ignorare addirittura i soccorsi che potrebbero recuperarli dall'isola.


Isola che lasceranno comunque, assieme ai loro sentimenti, in quanto una volta riacquisiti i loro status sociali di ricca borghese e marinaio ignorante sarà impossibile ritornare alla passione vissuta su quel lembo di terra deserta dov'erano naufragati.

Altro ottimo film della Wertmüller è poi "Io speriamo che me la cavo", pellicola del '92 con Paolo Villaggio nel ruolo di un maestro erroneamente trasferito in un paesino della Campania.

Tra gli ovvi casi di assenteismo e lavoro di malavoglia da parte dei suoi colleghi, dei bidelli e perfino della preside della sua scuola, Villaggio riesce comunque a stringere un rapporto stretto con gli sboccatissimi allievi della sua classe, in special modo con l'inizialmente arcigno Raffaele (Ciro Esposito) in tutta una serie di scene delicate e commoventi ma anche una divertente presa in giro sullo sgangherato sistema scolastico del paesino meridionale.


Indimenticabile l'epitaffio sulla vita del vecchietto suo vicino di casa, con cui condivide la vista sul balcone tutte le sere:
"La vita è come la scaletta del pollaio, corta e piena di merda."

Naturalmente menzionando Paolo Villaggio va citato il personaggio principe di tutta la sua carriera, nonchè altra icona della commedia all'italiana, lo sfortunatissimo ragioniere "Fantozzi", tragicomica bandiera italiana dell'impiegato medio per eccellenza e protagonista di ben 10 film tra il 1975 e il 1999.

Protagonista non solo di un mondo pieno di personaggi caratteristici come la moglie Pina e la mostruosa figlia Mariangela, il collega semi-vedente Filini e la sua fiamma Silvani (una simpaticissima Anna Mazzamauro); ma anche creatore di un vero e proprio modo e stile di linguaggio pieno di congiuntivi coniugati alla bell'è meglio ("lei venghi qua, no vadi la") e figure mitiche come il "MegaDirettore Galattico" della "MegaDitta" dove lavora o altri ancora come la teutonica "Contessina Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare".


Altrettanto divertenti, anche se misconosciuti ai più rispetto al personaggio precedente, sono i due film dedicati all'alter-ego Fantozziano incarnato dal personaggio di "Fracchia", protagonista di due film di Neri Parenti e altrettanto eterno sfortunato come il ragioniere suo personaggio parallelo.

Fracchia si trova ad affrontare nei suoi due film due temibili avversari, la "belva umana" nel primo, sempre interpretato da Paolo Villaggio però nel ruolo di un feroce criminale, smosso umanamente solo dai sentimenti per la madre; nonchè addirittura Dracula in persona nel secondo, in una divertentissima girandola di gag e situazioni assurde e farsesche, dove a volte gli capiterà di cavarsela, per assurdo, proprio grazie alla sua puntuale e inossidabile iella che lo perseguita.


Perfettamente conscio di aver dimenticato tante gustose commedie e protagonisti come i vari Lino Banfi, Renato Pozzetto, Carlo Verdone, Roberto Benigni e tanti tanti altri ancora, passo comunque ai 3 consigli finali che come al solito chiudono tutti i miei articoli, reo-confesso delle limitazioni di un articolo così breve su un argomento così ampio come la commedia all'italiana.


Caruso Pascoski di padre polacco (1988 - Francesco Nuti)
Comunissima quanto irreale e surreale storia di amore e divorzio e poi di nuovo amore tra il protagonista (Nuti) e la sua bellissima moglie (Clarissa Burt).

In un tira e molla che parte da quando sono bambini, tra l'opprimente famiglia di Caruso e la sua fissa per la piccola Giulia, fin quando da adulti arrivano a sposarsi e poi mollarsi per colpa di uno dei pazienti del protagonista, psico-analista che ha in cura i più assurdi casi umani di tutta la città.

Letteralmente da sbellicarsi dalle risate le scene col protagonista ubriaco fradicio, aggrappato come un poppante in braccio a un Maresciallo ("me lo dai un bacetto"), nonchè l'escalation di crescita dalla pubertà all'adolescenza, fino alla maturità da adulto tutta condensata nello sguardo fisso ma sempre pronto allo sberleffo del talento innato di Nuti per i ruoli "seriamente comici".

Bellissima ovviamente la Burt nel ruolo della sua compagna, sexy e simpatica ma anche fragile e volubile d'umore e d'amore come poche donne nei suoi panni, perfetta indecisa e sballata compagna per un personaggio "fuori fuoco" come quello interpretato da Nuti.

Molto bravo anche Ricky Tognazzi nel ruolo di un paziente di Caruso, prima sospetto omosessuale, senonchè poi amante e poi nuovo marito della bella moglie del protagonista che chiederà il divorzio per poterci andare a vivere assieme.

Un film divertito e divertente, pieno di sotto-storie con personaggi laterali indimenticabili, magistralmente interpretato e diretto da un altro grande regista che purtroppo ci ha lasciato da tempo, ridotto all'invalidità dopo un terribile incidente nel 2006 e a cui auguriamo sempre di riprendersi e ritrovare quella pace, nella vita e nell'arte, che gli è sempre mancata nonostante la sua instancabile ricerca.


Concorrenza sleale (2001 - Ettore Scola)
Nella settimana della sua scomparsa e vista la sua immensa filmografia, dalla quale dove cogli cogli caschi comunque bene scegliendo ottimi film, peschiamo uno delle sue ultime fatiche che vi consiglio come esempio della commedia all'italiana di Ettore Scola.

Il film gioca sul tema degli amici/nemici in quanto rivali in affari, Diego Abatantuono e Sergio Castellitto.

Dapprima colmi di simpatica acredine concorrenziale l'uno per l'altro, con la promulgazione delle leggi razziste fasciste il lavoro e la vita di Castellitto cominciano ad andare in malora, nel dispiacere del suo amico a cui manca però il coraggio per difenderlo e reagire, come accadde purtroppo alla maggior parte delle persone civili che furono costrette a subire l'incivile crescendo dell'idiozia del governo di Mussolini.

Scola affronta quindi con molto tatto e anche con discreta dose di umorismo il dramma più "urbano" dell'iniziale segregazione degli ebrei, prima dei campi di concentramento e le docce di sterminio, nella altrettanto crudele e complice indifferenza della gente comune, come il personaggio di Abatantuono (giustamente schernito per questo da un grande Gérard Depardieu).

Molto divertenti in specie i soffi di voce dei finti tonti borghesi che preferiscono ignorare l'evidente e drammatico evolversi della situazione del paese, in una indifferente continuazione della vita come niente fosse, perfino mentre il paese si apprestava ormai all'imminente discesa nella seconda guerra.

Un ottimo film, delicato e simpatico, diretto col solito mestiere consolidato e ottime inquadrature (specie verso la fine) degne dei migliori film neo-realistici italiani degli anni '50.


Song'e Napule (2013 - Manetti Bros)
Arrivando più ai giorni nostri, ecco un divertente film tutto ambientato nel mondo della "musica neomelodica" napoletana.

Un poliziotto sfaccendato e sfaticato (Alessandro Roja) che però se la cava a suonare il pianoforte, viene incaricato dai suoi superiori di infiltrarsi all'interno della band del famoso cantante napoletano "Lollo love", interpretato con goliardia e convinzione dal simpatico Giampaolo Morelli.

Lo scopo della manovra è quello di riuscire a partecipare a un matrimonio dove è garantita la presenza di un super-latitante ricercato in tutta Italia, lo spietato "fantasma" Ciro Serracane, interpretato dal baffetto trucido di Peppe Servillo.

Il film è sia un omaggio che una divertita presa in giro al genere musicale e i suoi cantanti tutti napoletani, amatissimi in patria quanto dileggiati e spernacchiati nel resto di Italia, in un fenomeno musicale di certo a dimensione locale, ma che ha comunque una sua dignità e una non disprezzabile ideologia alla sua base.

Molto bravo Roja come protagonista, ben lontano dal lercio (ma elegante) traditore "Dandi" della serie "Romanzo Criminale", qui invece spaesato e sbalestrato poliziotto/musicista che finirà per subire anch'esso il fascino partenopeo del vulcanico "Lollo Love", oltre che naturalmente subire ancora più da vicino il fascino della sorella del cantante, una solare e altrettanto spigliata "guagliona" interpretata dalla sempre sorridente Serena Rossi.

Un bel thriller comico del sapore dei vecchi tempi, dal Monnezza ai vecchi film con la Fenech infiltrata e poliziotta nelle vesti più disparate (e più succinte possibili), in un film che potrebbe forse dare una sveglia ai soliti De Sica, Boldi e Vanzina a tirare fuori qualcosa di nuovo ogni tanto dal cappello, anzichè il solito Natale ambientato Chissadove che ormai gli italiani si guardano più per inerzia che per reale interesse.


RIPETO ANCORA LE MIE SCUSE PER GLI INNUMEREVOLI FILM E ATTORI COMICI CHE DEVO AVER OMESSO IN QUESTO ARTICOLO, RESTANDO COMUNQUE SEMPRE APERTO A VOSTRI SUGGERIMENTI O REPRIMENDE NELLO SPAZIO AI COMMENTI DISQUS SOTTOSTANTE. ALLA PROSSIMA SETTIMANA, CERCANDO DI RIDERE ALMENO UNA VOLTA GIORNO CHE ALLUNGA LA VITA E FA BENE AL VISO!

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Articolo pubblicato il 24/01/2016