I dimenticati - "Angeli perduti"

La storia di tre anime perdute nella Hong Kong psichedelica del regista cinese Wong Kar-wai

Wong Kar-wai porta al cinema nel 1995 questo che forse (secondo l'opinione di chi vi scrive) è il suo film più personale e meglio riuscito, ambientato nella Hong Kong dove egli stesso è cresciuto fin dalla tenera età di cinque anni, facendo fortuna come regista, sceneggiatore e produttore cinematografico.

"Angeli perduti" è un film a tre corsie, durante il quale seguiamo di volta in volta l'intrecciarsi e l'allontanarsi delle vicende di tre personaggi molto particolari: un killer professionista di nome Ming (Leon Lai), la sua anonima socia e procacciatrice di "affari" (una dolce e sensuale Michele Reis) e un ragazzo sbandato completamente muto, He Zhiwu (un simpaticissimo Takeshi Kaneshiro).


La storia si alterna quindi spaziando tra un riuscito mix di generi diversi, con alcune sparatorie spettacolari e ritmatissime nel classico e puro stile action orientale, momenti tristi e di solitudine che attanagliano tutti i protagonisti, fino a siparietti divertenti tra gli alienati personaggi del film che incrociano nella quotidiana mondanità (più notturna che quotidiana a dire il vero) persone normalissime del tutto ignare della loro natura; spezzoni tutti commentati con la voce narrante alternata tra i tre protagonisti.

Ottimi anche i vari attori che ruotano intorno al trio principale Lai/Reis/Kaneshiro, su tutti in special modo il simpatico Man-Lei Chan, papà sempre arrabbiato e in canottiera del giovane muto Kaneshiro; oltre che la più famosa Karen Mok nel ruolo di una promessa amorosa (anche se psicologicamente non proprio stabile) capace di far credere al killer Lai di poter cambiare vita per un breve lasso di tempo.


Ma cerchiamo di analizzare con più attenzione quello che maggiormente rimane e colpisce di questo film.


LUCI DELLA CITTA' IN UNA CONFEZIONE DI GRAN CLASSE
Altra protagonista indussa della storia è poi la stessa città di Hong Kong, colorata, spietata e luminosa come un perverso albero di Natale in un pornoshop illuminato al neon; una città sempre aperta e affollata giorno e notte dove i nostri protagonisti si muovono spaesati e incapaci di trovare un equilibrio e un loro posto naturale in mezzo agli altri.

Gli altri che dovrebbero essere i cosiddetti "normali", rispetto ai tre "freak" protagonisti, altri a cui essi guardano a volte con invidia per la loro pace e tranquillità, ma anche con una vena di compassione per le loro vite monotone e tutte uguali, vissute con idilliaca e fasulla sicurezza nei loro appartamentini tutti uguali assieme alle loro famigliole tutte uguali; le loro vite tristemente e perennemente scandite dal ritmo lavoro/casa/famiglia che li accompagnerà senza sorprese fino all'ultimo dei loro giorni e l'ultimo dei loro respiri su questa terra.


Meglio piuttosto per loro essere un killer costretto a ricucirsi le ferite da solo dopo ogni assalto armato, oppure la sua socia che ripudia e rifugge ogni contatto umano con altre persone, oppure infine ancora il più aperto e solare ragazzo muto, incapace però per la sua irrefrenabile euforia di trovare e tenersi un lavoro normale, così come anche soltanto fare una vita normale, costringendolo a rubacchiare furbescamente di notte nei vari negozi ormai chiusi per tirare a campare alla giornata.

Tre personaggi al limite della morale e della legalità, tre pezzi di un puzzle che non combaciano, come il killer e la socia che potrebbero vivere felici assieme, ma non lo faranno mai; oppure ancora la socia e il muto in fuga in moto a tutta velocità verso una vita di coppia che, entrambi lo sanno bene, non ha nessun futuro.

Tre personaggi quindi che vivono soprattutto il presente, l'oggi, "colgono l'attimo", come direbbe il poeta Orazio; per i quali pianificare e programmare una vita normale e un futuro felice rimarrà sempre un desiderio inespresso e inattuabile per via delle loro stessa natura, creature raramente sensibili che si elevano al di sopra di noi comuni mortali come angeli. pur essendo perduti e sperduti come bambini nelle fauci di Hong Kong.


La stessa Hong Kong che come già detto è rappresentata come una "città drago", tanto spettacolare quanto fasulla come un mostro di cartapesta, fatta di insegne colorate e marciapiedi luridi e bagnati, un andirivieni di facce sconosciute o dimenticate nella quale perdersi è un attimo e smarrita la via si viene inghiottiti senza pietà assieme ai tuoi sogni e le tue speranze per una vita migliore.


TRE PERSONAGGI CHE HANNO TROVATO UN AUTORE
Inquadrando meglio i tre caratteri principali, il killer si pone senza dubbio come il più egoista ed elitario del trio, in guerra contro tutto e contro tutti, corteggiato e ammirato dalla sua "socia" che però abbandonerà senza esitazioni per poi cercare di instaurare un improbabile rapporto con la già menzionata, allegra e pazzerella ragazza sbandata interpretata da Karen Mok.

Il killer non ha nessun dilemma morale nello svolgere il suo lavoro su commissione, ribadendo anzi di "essere contento di fare un mestiere dove tutto è già deciso", vittime e carnefici, di cui lui deve essere sono un anonimo e disinteressato strumento di morte e distruzione.


La sua socia è altrettanto egoista e disinteressata, verso tutti eccetto il killer, unico con cui vorrebbe stringere e allacciare un rapporto più profondo ma senza idea di come poter fare per raggiungerlo, toccarlo e farlo innamorare perdutamente come lei lo è di lui.

Limitandosi quindi a procurargli clienti e affari, rovistare tra la sua immondizia e lasciargli dei messaggi in un bar frequentato da entrambi (mai contemporaneamente però) e col quale comunicano affidando pizzini al barista e attraverso le canzoni melodiche cinesi che ruotano all'infinito nel juke-box del locale.


La vediamo incrociare a volte il terzo strampalato personaggio, il muto Kaneshiro, perennemente ricercato dalla polizia per questo o quel motivo e che a volte lei aiuta a nascondersi o fuggire.

Il muto vive col padre, ovviamente scontento della vita trasandata del figlio, costretto a subire i suoi subitanei cambiamenti d'umore e scherzi demenziali; ma con il quale ha indubbiamente un rapporto di affetto inespresso e sepolto come i sentimenti di tutti gli altri protagonisti della vicenda.


Nel suo scorrabandare notturno per i negozi e locali chiusi della città, a volte aiuta o bullizza (difficile discernere) alcuni strambi personaggi come un omino comune che cerca di evitarlo ma riesce sempre a pescare, tagliandogli i capelli o ingozzandolo a forza di gelato, in quello che per lui è uno dei suoi pochi, pazzeschi, rapporti d'amicizia della sua vita altrimenti molto solitaria.


OH MAMMA MIA, QUANTI STILI DI REGIA
Decisamente particolare lo stile di regia di Wong Kar-wai, con inquadrature sempre ravvicinate a seguire o precedere i personaggi, riflessi di sbieco e di traverso nelle mille superfici riflettenti della notte di Hong Kong, sommersi dalla luce o parzialmente nascosti nell'ombra dei locali e lungo le strade attraverso le quali si snoda tutta la vicenda.

Calda ed erotica la fotografia ogni volta che la bella Michele Reis è protagonista della scena, ammaliante sirena noir perennemente con una sigaretta accesa in mano, fascinosamente poggiata al juke-box ad ascoltare i brani che il killer le lascia come dedica prima di mollarla, il capo chino e la chioma di capelli neri a coprirle il viso segnato dalle lacrime per un amore che, ormai ha capito, non riuscirà mai a conquistare.


Decisamente più "frenetica" invece tutta la serie di sequenze che hanno protagonista il killer Leon Lai, sia nelle scene palesemente action con sparatorie a due mani in puro stile alla John Woo, che quando cerca di corteggiare la psicolabile Karen Mok, sputando parole a raffica come le pallottole con quali falcidia le sue vittime negli arroventati scontri a fuoco di cui è protagonista.

Il killer si muove e si veste sempre in modo ordinato e con eleganza, inquadrato con classe quasi fosse un incrocio tra un rappresentante "di morte" porta a porta, vestito in completo a metà tra un avvocato e un soldato, calmo e placido mentre con una semi-automatica per mano sbriga le "commissioni" affidatogli dalla sua bella socia Reis.


Infine è umoristico e comico il taglio dato al personaggio di Kaneshiro, il più interessante del trio secondo il sottoscritto, una specie di omaggio al cinema muto stesso se vogliamo, in un certo senso, capace di esprimersi perfettamente attraverso la mimica e il viso vispo e allegro dell'attore che lo interpreta.

Personaggio comunque si divertente, ma anche capace di lanciarsi in violente risse senza alcun motivo e subito dopo corteggiare una ragazza col viso ancora coperto dai lividi e le botte appena ricevute, sigaretta spezzata alle labbra senza accorgersi che la ragazza in realtà e la bella Reis che lo aveva aiutato tempo addietro.


Evocativa e felice la scorrazzata finale in moto dei due lungo le autostrade di Hong Kong, sfrecciando a tutta velocità sull'asfalto e cercando di lasciarsi alle spalle la solitudine e l'incompiutezza delle loro esistenze.


SPERO DI AVER SUSCITATO IN VOI ABBASTANZA INTERESSE PER VOLER GUARDARE QUESTA PICCOLA CHICCA DI WONG KAR-WAI, REGISTA DI CUI VI CONSIGLIO SENZA REMORE TUTTA LA FILMOGRAFIA COME "HONG KONG EXPRESS" (PREQUEL SPIRITUALE DI QUESTO FILM) OPPURE "2046" (ALTRO FILM DI AMORE E SOLITUDINE E "L'ARTE DELLO SCRIVERE") OPPURE ANCORA IL PIU' RECENTE "THE GRANDMASTER", BIOGRAFIA ROMANZATA DEL CELEBRE CAMPIONE E MAESTRO D'ARTI MARZIALI YIP MAN. BUONA VISIONE A TUTTI E LUNGA VITA AL CINEMA E I CINEASTI ORIENTALI!

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Articolo pubblicato il 20/03/2016