Race - Il colore della vittoria – la grandiosa storia vera di Jesse Owens

Il campione di atletica afroamericano che bruciò ogni record partecipando alle Olimpiadi del 1936 in una Berlino infestata dal nazismo

Anno: 2016

Titolo originale: Race

Paese: Canada, Germania, Francia

Durata: 134 minuti

Genere: Biografico, Drammatico

Regia: Stephen Hopkins

Sceneggiatura: Joe Shrapnel, Anna Waterhouse

Cast: Stephan James, Jason Sudeikis, Jeremy Irons, Carice van Houten, Shanice Banton, William Hurt

 

Ad agosto partirà la trentunesima edizione dei Giochi Olimpici a Rio de Janeiro, e non c’era momento migliore per vedere il dovuto biopic su Jesse Owens, lo straordinario atleta che tenne il mondo con il fiato sospeso vincendo ben quattro ori alle Olimpiadi di Berlino del 1936, i cui record in diverse discipline sono rimasti imbattuti per decenni.

Ottant’anni dopo i suoi successi arriva al cinema Race – Il colore della vittoria, diretto dall’australiano Stephen Hopkins, già regista di Tu chiamami Peter, controversa biografia di Peter Sellers.

 

Il film, il cui titolo ha il doppio significato di “corsa” e “razza”, inizia con il ventenne Owens che lascia famiglia, fidanzata e figlioletta per la Ohio State University, dove ha modo di mettere alla prova la sua passione per la corsa e raggiungere importanti risultati nelle discipline atletiche, fino a guadagnarsi l’ammissione alle Olimpiadi del 1936. Ma le politiche razziali del regime nazista sono spietate, tanto da far vacillare il comitato olimpico americano, che vorrebbe proporre in gara diversi atleti di religione ebraica e di colore. Avery Brundage, presidente del comitato, interpretato da un ottimo e inarrestabile Jeremy Irons, rifiuta di boicottare la partecipazione ai giochi, così Owens si ritrova nella Germania di Hitler. Al suo fianco fin dall’inizio, l’allenatore Larry Snyder, tenace e determinato ex sportivo, che vede nel giovane Jesse non un essere inferiore per via del colore ma un atleta appassionato e in grado di sbaragliare ogni avversario. Gli esiti della gare sono storia, come l’amicizia nata in gara con Luz Long, avversario tedesco che Owens batté e che fu mandato a morire in guerra pochi anni più tardi per aver tradito il suo paese aiutando Owens sul campo.

 

La suspense è palpabile per tutta la durata del film, il cui punto forte è proprio questa capacità di stregare lo spettatore e fargli trattenere il fiato insieme alle migliaia di persone che videro il giovane afroamericano battere ogni record e mandare in frantumi l’intenzione del Führer di celebrare la superiorità della razza ariana, lottando, oltre che contro il tempo, anche contro il pregiudizio e l’odio cieco che impedirono a due suoi compagni di squadra ebrei di gareggiare.

 

Bruciante e promettente la performance nel ruolo del protagonista del giovane Stephan James, visto nel 2014 nel coraggioso Selma – la strada per la verità. Le anziane figlie di Owens, la cui approvazione era inscindibile per la realizzazione del film, hanno rilasciato un’intervista al settimanale americano Parade dicendosi fiere e soddisfatte del ritratto del padre, e posando con James per una fotografia. Inizialmente Owens sarebbe dovuto essere interpretato da John Boyega, poi scelto da J. J. Abrams per uno dei principali personaggi del settimo episodio di Star Wars.

 

Nel cast, oltre al già citato Irons, appare brevemente William Hurt, nei panni del presidente della Amateur Athletic Union, che tentò senza successo di boicottare le Olimpiadi per via delle inaccettabili leggi razziali tedesche, opponendosi a Brundage. Larry Snyder, il coach risoluto che fece del ragazzo di provincia un campione mondiale, è interpretato da Jason Sudeikis, convincente e schietto, intelligentemente in procinto di ricostruirsi la carriera dopo troppe commedie demenziali.

 

Il grande difetto del film, se vogliamo tralasciare un tono leggermente didascalico, quasi necessario quando si maneggia certo materiale leggendario, è il manicheismo con cui si stagliano da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Dello stesso Owens viene fatto un ritratto al limite dell’agiografia, senza la sfumatura di un difetto o una debolezza, lasciando per esempio sottintendere che la scappatella avuta con una giovane donna in una delle sue trasferte fosse necessaria alla sua affermazione come campione.

 

Sull’altro fronte, il personaggio di Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, ferma restando la raggelante interpretazione del tedesco Barnaby Metschurat, è eccessivamente immerso in una tangibile, fosca atmosfera da cattivo della storia, da diavolaccio ultraterreno sceso a interpretare il male in persona. Senza nulla scontare agli abomini del regime nazista, la caratterizzazione del personaggio sembra davvero tagliata a colpi di accetta.

In egual modo, la pellicola eccede nel far apparire come una paladina della giustizia Leni Riefenstahl, regista e fotografa che filmò i giochi e ne creò il documentario Olympia, includendo, nonostante il divieto di Goebbels, anche l’ultima gara di Owens, ma che negli stessi anni girava giubilanti film di propaganda per celebrare il regime.

 

Nonostante ciò, il film accende i riflettori su un’importante pagina di Storia e di storia dello sport, facendo rivivere un atleta glorioso e la sua coraggiosa lotta all’ingiustizia; da non dimenticare che le notizie sulle vittorie di Owens vennero censurate nel Sud degli Stati Uniti e che il pluripremiato sportivo non venne mai ricevuto dal presidente Roosevelt.

 

Verrà amato dagli amanti dello sport e non solo, per la sua capacità di emozionare, il ritmo incalzante e tecnicamente perfetto e, non ultima, l’occasione di conoscere un grande uomo del passato.

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Articolo pubblicato il 13/04/2016