Cell – la minaccia dei cellulari di Stephen King

Una sorta di zombie-movie che parte da un’idea interessante ma perde mordente dopo pochi minuti

Anno: 2016  

Titolo originale: Id.  

Paese: USA 

Durata: 98 minuti 

Genere: Horror, Thriller 

Regia: Tod Williams

Soggetto: Stephen King (romanzo)

Sceneggiatura: Stephen King, Adam Alleca

Cast: John Cusack, Samuel L. Jackson, Isabelle Fuhram

Il luogo affollato di umanità brulicante per eccellenza, l’aeroporto; da qui parte Cell, pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Stephen King, con una generosa carrellata di teste chine sui cellulari all’uscita del gate, sulle scale mobili, nei bagni. Immagini tristemente quotidiane che regalano al film una partenza sottilmente inquietante. Poi succede qualcosa, e chi parla al telefono viene tramortito da un misterioso e fortissimo segnale che carica le persone di una forza violenta e cieca, e i pochi non colpiti vengono uccisi dai propri simili senza un motivo in un crescendo di panico.

Tra i pochissimi sopravvissuti, a Boston, seguiamo il protagonista Clay (un John Cusack non esattamente in splendida forma) mentre tenta di raggiungere moglie e figlio e si unisce ad altri sopravvissuti, il macchinista della metropolitana Tom (Samuel L. Jackson) e la giovane Alice. In ciò che ormai è diventato uno scenario catastrofico privo di esseri umani in normali condizioni, i tre incontreranno altri superstiti e cercheranno di sfuggire a orde di “zombie” dalla coscienza e volontà annullate, che emettono suoni simili a quelli dei cellulari e sono collegati tra loro come un’unica, letale rete di brutalità, vagando in gruppo alla ricerca di individui da trasformare a loro volta in macchine da violenza.

L’idea di partenza è interessante e intrigante, andando a scavare in una moderna ossessione potenzialmente distruttiva (esistono già decine di studi che comprovano quanto deleterio sia l’uso massiccio di smartphone per le relazioni interpersonali); terribilmente attuale quindi vedere un film che ipotizzi l’estremizzazione delle conseguenze di qualcosa con cui abbiamo a che fare ogni giorno.

Purtroppo, dopo le prime sequenze il film scende precipitosamente nel già visto, le immagini di desolazione post-apocalittica sono identiche a quelle di qualsiasi altro film del genere e il meccanismo fuga/inseguimento con casi umani difficili e zombie alle calcagna non ha proprio nulla di innovativo.

Una lentezza tediosa è poco ammissibile in una pellicola che dura a malapena un’ora e mezza, e il tentativo di analizzare la psicologia dei personaggi si smarrisce nella eccessiva spettacolarizzazione, trovata cinematografica che sarebbe anche vincente se non servisse da mera copertura per i difetti di sceneggiatura. Bizzarro che il co-autore di quest’ultima sia proprio Stephen King, che ha dichiarato di aver modificato il finale per l’adattamento poiché non era stato apprezzato dai lettori.

John Cusack e Samuel L. Jackson sono alla seconda collaborazione dopo l’horror psicologico 1408 del 2007, già tratto da King, ma se allora il risultato fu un’ottima alchimia tra i due attori in un film oscuro e perfettamente funzionante, qui tanto lo spaesato Cusack (che farebbe meglio ad accettare una volta per tutte l’incanutimento) che il sempreverde Jackson fanno solo ricordare con rammarico le loro ottime interpretazioni, dando costantemente l’impressione di essere mortalmente annoiati e poco convinti della serietà del film.

Il regista Tod Williams, subentrato a Eli Roth che era in trattative per dirigere la pellicola da una decina d’anni ma che all’ultimo si è ritirato per divergenze con la produzione, conosciuto soprattutto per Paranormal Activity 2, tenta inizialmente la strada dell’immedesimazione attraverso soggettive tremolanti e poco convinte, poi abbandonate per cogliere in tutta la loro supposta potenza le immagini, a volte anche in campo lungo, degli uomini-cellulari.

Sostanzialmente, Cell pecca di stanchezza. Di King, del regista, degli spettatori stufi di vedere l’ennesima variante dello stesso film. Peccato, perché elementi interessanti non mancherebbero, come il mistero dell’uomo con la felpa rossa disegnato dal protagonista e sognato da tutti i sopravvissuti, la mancanza inevitabile di individualità e privacy in un mondo in cui tutti sono connessi, l’accennato rapporto famigliare di Clay, il soffocamento dell’individuo nella metropoli, tutti intravisti ma non approfonditi a dovere.

Stanco, lento e noioso. Un buon cast e una firma autorevole non sono sufficienti a produrre un bel film.

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Articolo pubblicato il 26/07/2016