Gli Immortali – “Le relazioni pericolose”

Tratto dall’omonimo romanzo epistolare del XVIII secolo, capolavoro di crudeltà e raffinatezza diretto da Stephen Frears

Anno: 1988

Titolo originale: Dangerous Liaisons 

Paese: USA, Regno Unito

Durata: 119 minuti

Genere: Drammatico

Regia: Stephen Frears

Soggetto: Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos 

(romanzo)

Sceneggiatura: Christoper Hampton

Cast: John Malkovich, Glenn Close, Michelle Pfeiffer, Uma Thurman, Keanu Reeves, Mildred Natwick, Swoosie Kurtz

Le relazioni pericolose appartiene a quella troppo ampia categoria di gioielli del cinema semi-dimenticati che meriterebbero una poderosa spolverata. Uscito nel 1988, il film è tratto da un capolavoro della letteratura cervellotico e labirintico scritto dal nobile Choderlos de Laclos nella Francia pre-rivoluzionaria del 1782. Romanzo epistolare di assoluto fascino e complessità, scandalizzò la società ancien régime fondamentalmente perché ne ritraeva aspetti del tutto consueti, tirando in ballo eros, intrighi, macchinazioni e seduzioni illecite.

Protagonista è il visconte di Valmont (John Malkovich), affascinante libertino dedito alle conquiste e agli intrallazzi, spinto dalla sua perfida amica marchesa di Merteuil (Glenn Close) a vendicare l’orgoglio di entrambi seducendo la giovane Cécile Volanges (Uma Thurman), promessa sposa di un ex amante della marchesa, fuggito in passato con una precedente conquista di Valmont. Poco intrigato da una vittoria troppo accessibile, il visconte sta invece tramando per far capitolare tra le sue braccia la pia Madame de Tourvel, donna sposata nota per la sua devozione e virtù. In un gioco di incastri complicato e irreversibile, intrighi e passioni, incontri galanti e cattiverie condurranno i personaggi in un’inarrestabile catena di eventi dagli esiti imponderabili e tragici.

Stephen Frears, tra i più talentuosi registi britannici degli ultimi trent’anni, dà vita a quella che è unanimemente riconosciuta come la migliore trasposizione del romanzo di Laclos (ne esiste una precedente versione diretta da Roger Vadim nel 1959 e un’altra, uscita pochi mesi dopo quella di Frears, che vede Milos Forman alla regia, di gran lunga più edulcorata e anemica).

L’attrattiva del film, ben lungi dall’essere una banale pellicola sentimentale, è dovuta all’abile costruzione che lo fa apparire come un’opera in due atti quasi distinti; se la prima parte è un tripudio di galanterie e maneggi dal tono frizzante e disinvolto, notevolmente dilettevole, via via che le macchinazioni e i complotti scatenano la loro forza devastante il film abbraccia tutta la tragicità delle conseguenze, culminando in un finale fosco che non lascia nemmeno uno spiraglio di speranza.

Meravigliose le speculari immagini di apertura e chiusura, che vedono la Merteuil dapprima gonfia della sua bellezza e del suo potere, colta in un domestico rito mattutino, e alla fine, davanti allo stesso specchio, distrutta dalle proprie manipolazioni, nell’atto di cancellarsi il trucco dal viso come nell’intenzione di annientare se stessa.

Visivamente voluttuoso e invitante, con un gusto squisito per la ricostruzione, curata nei più piccoli dettagli di broccati e parrucche incipriate (che valse al film un Oscar ai costumi e uno alla scenografia); Frears è abile nel fare uso di elementi classici del mondo barocco come specchi, infilate di stanze e candele dalla luce morbida per seguire e spiare i suoi personaggi, le cui molteplici e scambievoli relazioni sono prevalentemente catturate in sontuosi interni.

La regia, che fa ampio e spietato uso di primi e primissimi piani, è sorretta nella sua raffinatezza da una sceneggiatura compatta e senza sbavature, che illumina la complessità e le contraddizioni insite nei sentimenti umani, degnamente premiata con un Oscar a Christopher Hampton, scrittore di grande talento che ha firmato pellicole acclamate come Espiazione e A Dangerous Method.

John Malkovich, eccezionale e tristemente sottovalutato attore dalla lunga e importante carriera anche teatrale, si rivela semplicemente perfetto per interpretare il meschino, licenzioso e caustico visconte di Valmont, in una delle sue migliori e più godibili interpretazioni, premiata con un David di Donatello. La forte carica ironica – oltre che erotica - di cui ammanta il suo personaggio è uno degli elementi più attraenti del film; le sue smorfie sono irresistibili e in grado di sostenere una scena senza parole, e spesso la macchina da presa si muove in funzione dei suoi movimenti, della sua gestualità. Resta un mistero insondabile il motivo per cui decine di attori mai davvero eccelsi e indubbiamente meno meritevoli abbiano la costante attenzione dell’Academy e dei Golden Globe, mentre lui ha sempre ed esclusivamente vinto premi minori.

Malkovich collaborerà nuovamente con Frears in Mary Reilly nel 1996, altro esempio di perfetta consonanza tra regista e attore.

La perfidia e le macchinazioni della marchesa di Merteuil sono nelle sapienti mani di Glenn Close, assolutamente agghiacciante nei panni opulenti di una delle più grandi manipolatrici della letteratura e del cinema,  in un’interpretazione magistrale della crudeltà. Ottime anche Michelle Pfeiffer, la cui pura bellezza rende perfettamente credibile la virtuosa Madame de Tourvel, e una giovanissima e acerba Uma Thurman nei panni verginali e timidi di Cécile Volanges.

 

Un capolavoro aggraziato e spietato allo stesso tempo, che sonda nelle profondità dell’animo umano, tracciando uno spaccato di un’epoca licenziosa che, se non è più in grado di scandalizzarci, può comunque divertire e, in certi casi, emozionare.


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Articolo pubblicato il 29/07/2016