TANDEM TRA FINZIONE E REALTÀ: il Dottor Jekill e Mr.Hide, l’Uomo invisibile e altre varie ed eventuali

Un'altra infornata di miti letterari sotto la lente in "Tandem" con il mio collega Milo Julini: Jekill e Hide, Uomini invisibili e Fantasmi dell'opera, più qualche viaggio nel tempo assortito per chiudere in bellezza

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L’Uomo invisibile, il Fantasma dell’Opéra e altre mostruose creature letterarie
  

Continuiamo questa settimana il surf tra le onde di alcuni dei personaggi più "celebri" del mondo della narrativa, sempre in tandem col collega Milo Julini che vi parlerà dei medesimi sotto il profilo letterario e culturale.

Partendo da quello che personalmente conosco meno, "Il fantasma dell'opera", potremmo citare due film omonimi che cercano di ricalcarne abbastanza fedelmente la vicenda con due generi diversi.

Il primo è "Il fantasma dell'opera" di Joel Schumacher, trasposizione "musical" (genere non molto gradito a chi vi scrive) del celebre romanzo uscito al cinema nel 2004.


Il film si avvale di un buon cast come Gerard Butler (il famoso "Leonida" del pacchiano "300" di Zack Snyder) nel ruolo di protagonista, Emmy Rossum (la giovane vittima dell'ottimo "Mystic River" di Clint Eastwood) come bella di turno e il sempre buon Patrick Wilson (l'esorcista dei due riusciti "Conjuring" di James Wan) nel ruolo del Visconte di Chagny.

Belle le musiche per chi ama il genere e sempre valido il lavoro di Schumacher alla regia, affidabile regista di mestiere che porta sempre il suo buon film alla fine della fiera, tranne nel caso dei due "Batman" di intermezzo tra la saga di Tim Burton e quella di Christopher Nolan forse, decisamente poco riusciti per il sottoscritto ma comunque campioni di incasso al botteghino; segno che probabilmente i film dell'uomo pipistrello hanno talmente uno zoccolo duro di aficionados che sbancherebbero i box office di tutto il mondo anche se il film fosse composto da un'unica inquadratura del bat-segnale che rimanesse fissa nei cieli fino ai titoli di coda.


L'altro film omonimo è invece "Il fantasma dell'opera" del 1998 di Dario Argento, talmente mal riuscito che al sottoscritto piange quasi il cuore doverne parlare, avendo amato i suoi precedenti horror come "Profondo rosso", "Suspiria" e "Phenomena"; specie quest'ultimo che personalmente chi vi scrive considera l'ultimo film davvero riuscito del celeberrimo regista italiano.

Limitiamoci a dire che il film è un disastro dal lato tecnico, dove il talento visivo e la fantasia visionaria e colorata dei vecchi film sembrano svaniti per lasciare il posto alla sciatta messa in scena da fiction televisiva; oltre che essere completamente sballato come personaggi e sceneggiatura, con un Julian Sands protagonista per nulla mostruoso che anzi sembra uno dei fotomodelli squinternati usciti da "Zoolander" e una Asia Argento che ormai non capisce più in quale pessimo film del padre sta recitando, da "Trauma" a "La sindrome di Stendhal" o questo pseudo-horror che "ammazza" (unico vero omicidio del film) un grande classico come il famoso musicista sfigurato dell'opera.


Parlando invece di un ottimo film che invece ha ottimi riferimenti al fantasma dell'opera, pur non avendone il nome, possiamo senz'altro citare il bellissimo "Darkman" diretto da Sam Raimi.

Film action/horror del 1990 con protagonista un giovane Liam Neeson ancora lontano dal successo internazionale di "Schindler's List", qui nel ruolo di un giovane scienziato in cerca di vendetta dopo essere stato orribilmente sfigurato da una banda di criminali capeggiata da Larry Drake, attore icona dell'horror da "I racconti della cripta" fino a "Dr. Giggles".


Grazie alla geniale invenzione di una pelle sintetica (purtroppo dalla durata limitata alla luce del sole) con cui può assumere le sembianze di chi più preferisce, lo scienziato darà filo da torcere agli spietati criminali, mettendoli l'uno contro gli altri mentre al contempo cerca di "ricucire" i suoi rapporti con l'ex fidanzata (la sempre ottima Frances McDormand) avvocato in carriera che poi è anche la causa prima per cui a suo tempo è stato attaccato dai criminali.

Mirabile esempio di cinema che unisce sapientemente alcune virtuose scene d'azione a dei momenti d'introspezione psicologica ottimamente riproposti in chiave horror, dagli inseguimenti iperbolici ai trucchi e le maschere facciali alla "Mission impossible" con cui l'eroe sgomina uno dopo l'altro i malviventi, fino ai momenti di solitudine e rabbia disperata per la sua irreversibile condizione di vendicatore dal volto deturpato.

Ottima al solito la regia di Sam Raimi, qui al suo apice action assieme ai suoi famosi "Spiderman", perfettamente ritmata con le musiche dell'inossidabile Danny Elfman, autore di grido dai film di Tim Burton fino al conosciutissimo ritornello d'apertura de "I Simpsons".


Parlando di un altro mostro mitico della cultura contemporanea e non, possiamo citare allora qualche film ispirato al celebre racconto "Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde".

Se esistesse ancora una copia del film, ormai andato perso per sempre, potremmo magari parlare del "Dr. Jekyll and Mr. Hyde" del 1908 di Otis Turner, film antecedente addirittura a quelli che poi diventeranno "dizionario universale del cinema" come i film di Griffith, Murnau o Fritz Lang.

Pur non essendo ispirato al romanzo di Stevenson, uno dei film icona del genere "psico-patologico" è senz'altro "Psycho", indiscusso capolavoro di Alfred Hitchcock del 1960.


Reduce dall'immenso successo del precedente "Intrigo internazionale", il buon Alfred faticò non poco per realizzare questo film la cui sceneggiatura era già stata rifiutata da tutti i produttori di Hollywood, bollato senza pietà come "horror a buon mercato" a cui una casa di produzione degna di questo nome non si sarebbe mai avvicinata.

Ma grazie alla testarda insistenza del regista britannico, il quale alla fine mise in gioco i suoi beni personali producendo il film di tasca sua (vedi la vicenda narrata nell'ottimo film "Hitchcock" del 2012 di Sacha Gervasi) il film riuscì finalmente a vedere la luce e anzi ad affermarsi come il più immenso e redditizio successo cinematografico e campione d'incassi dell'intera filmografia Hichcockiana.


La vicenda è ormai nota a tutti: in fuga dopo aver derubato uno dei suoi clienti, la bella Janet Leigh si ritrova suo malgrado a sostare nel dimenticato e fuori mano Bates Motel.

Per sua sfortuna il proprietario sarà lo schizofrenico Norman Bates, che nella sua psiche divisa in una "riesumazione" della madre morta uccide la sventurata ladra mettendo in moto tutti gli eventi che porteranno alla conclusione della storia.


Spostandoci più ai giorni nostri, nello sterminato catalogo di film con protagonista dalla "personalità divisa", tra i quali potremmo citare ad esempio "Identità", "Fight club" o "Secret Window" (con le dovute scuse di spoiler a chi ancora non li conosce), uno di quelli che spicca maggiormente per classe e originalità è "Doppia personalità", film del 1992 diretto da Brian De Palma.

Ottima in primis la scelta dell'attore protagonista, John Lithgow, già arruolato da De Palma per il suo film d'esordio "Obsession" del 1976 e anche nel famoso "Blow out" del 1981; anche se per i più del pubblico da "pop-corn" sarà magari ricordato come l'ottuso padre bacchettone allergico alla danza nel piccolo dance-cult "Footloose" del 1984.


Un pò riduttiva invece la scelta nel titolo italiano quanto a "doppia" personalità; infatti il protagonista, vittima degli abusi ed esperimenti del padre sulla psiche infantile, è scisso in molteplici personalità in contrasto tra loro, dal rude e spietato "Caino" (non a caso il titolo originale era "Raising Cain") alla altrettanto senza scrupoli ma più umana "Margo", fino al piccolo e indifeso "Josh" e inoltre la personalità originaria del figlio "Carter".

Un insieme di caratteri superbamente interpretati da Lithgow, che in alcune scene passa da un personaggio all'altro in modo semplicemente incredibile e altrettanto ottimamente diretto dal solito De Palma, in un crescendo di inquadrature di chiara ispirazione Hichcockiana e le solite scene a "schermo diviso" montate e inquadrate con perizia inappuntabile da parte del regista.


Cambiando ancora mito letterario, parliamo anche dell'indimenticato "Uomo invisibile" nato dalla penna del grande George Wells e portato al cinema in tante versatili e divertenti alternative.

Saltando a piè pari il film del 1933 diretto dal buon James Whale e tutta la sua scia di seguiti come "Il ritorno dell'uomo invisibile" o "La donna invisibile" del 1940, "L'agente invisibile" del 1942 e anche "La rivincita dell'uomo invisibile" del 1944; arriviamo direttamente ai giorni nostri per "Avventure di un uomo invisibile" diretto da uno dei moderni maestri horror come John Carpenter.


Considerato dai più dei suoi fans come "film minore" del regista, in realtà per il sottoscritto è un divertentissimo epigono sul genere pieno di idee e spunti originali (più visivi e di regia che di sceneggiatura, abbastanza banale) sulla condizione dell'invisibilità portato al cinema un pò per tutti questa volta, anzichè horror invece come commedia action fantascientifica.

L'invisibile di turno è infatti il simpatico attore comico Chevy Chase, affiancato dalla sempre bella e brava "ex-replicante" Daryl Hannah; cui da la caccia il sempre in gamba Sam Neill qui nel ruolo di agente governativo senza scrupoli disposto a tutto per mettere le mani sull'invisibile protagonista.

Un film leggero e spensierato, ottimamente diretto da un Carpenter forse un pò lontano dalle sue corde più orrorifiche ma senza dubbio in grado come al solito di portare a casa più che dignitosamente la pagnotta, per quello che rimane probabilmente il più "divertente" film sulla scia dell'uomo invisibile.


Decisamente più "cattivo" e truculento è invece "L'uomo senza ombra", film del 2000 per la regia di Paul Verhoeven.

In questo caso infatti, il sempre geniale scienziato di turno (Kevin Bacon) è costretto, causa rischio di taglio dei finanziamenti, a testare su sè stesso l'ancora instabile formula dell'invisibilità.


Riuscendo nell'intento diventa invisibile ma per sua sfortuna fallisce invece il processo inverso di tornare ad essere normale, rimanendo bloccato nei laboratori tra i suoi colleghi e finendo sempre più oppresso da una psicosi di "onnipotenza" che lo porterà ad una catena di omicidi e addirittura lo stupro della sua bella vicina di casa.

Perfettamente riuscito nella prima metà ma forse un pò troppo "action" e frenetico nella parte finale, il film resta comunque un'altra ottima variante della storia degli invisibili al cinema, sempre ovviamente per merito di un regista come Verhoeven che fa della fantasia visiva e la perizia tecnica il suo marchio di fabbrica, fin dai suoi film più personali e indipendenti come "Il quarto uomo" e "L'amore e il sangue" per arrivare ai più hollywoodiani "Robocop" e "Atto di forza".


Ma per una volta parliamo anche di un discreto film italiano sull'argomento con "Il ragazzo invisibile", divertente film del 2014 di Gabriele Salvatores.

Inizialmente oppresso dai compagni di scuola e la mamma poliziotta, un bambino (il piccolo attore Ludovico Girardello) scopre in sè il potere di diventare invisibile e si lancia così in un mondo di avventure come super-eroe.


Ma un gruppo di individui poco raccomandabili sono sulle sue tracce e rapendo alcuni suoi amici e minacciandolo, lo costringono ad un faccia a faccia finale dove scoprirà la verità sui suoi poteri e la sua vera famiglia.

Un bel film che precede il decisamente più riuscito e di successo "Lo chiamavano Jeeg Robot" di quest'anno del regista Gabriele Mainetti, più adulto e più originale come personaggi e situazioni; ma che comunque risulta più che godibile e perfettamente all'altezza di tante boiate super-eroistiche all'americana come "I fantastici quattro" o "Capitan America"; probabilmente con meno miliardi a disposizione per gli effetti speciali, ma almeno un regista decisamente più capace e fantasioso come il nostro Salvatores al timone di comando.


Per finire poi, seguendo ancora l'articolo del mio collega Julini che vi parla del famoso "La macchina del tempo", sempre del grande G. Wells, innanzitutto vi rimando al mio articolo "Tre passi NEL TEMPO", dove parlavo a lungo di viaggi temporali nel cinema.

Aggiungo poi a coda di quell'articolo altri 4 film che mi ero dimenticato di menzionare (o che ancora non avevo visto) sull'argomento "viaggi temporali".

Il primo è "I cacciatori del tempo", film del 1987 di  Michael Schultz , da me stranamente e imperdonabilmente dimenticato nel precedente articolo nonostante fosse il primo film in assoluto che abbia mai visto con gente che viaggia avanti e indietro nel tempo, prima ancora della grandiosa saga di Zemeckis "Ritorno al futuro" o la serie tv "Quantum Leap".


Nel film un professore di storia (William Devane) si accorge in una vecchia fotografia di un cowboy che maneggia una pistola non ancora fabbricata in quell'epoca, iniziando incuriosito ad indagare sul personaggio.

Personaggio che si scoprirà poi essere lo spietato Klaus Kinski, uno scienziato che dopo aver ucciso il collega con il quale ha creato una macchina del tempo scappa poi rifugiandosi nel passato, in attesa di modificare un evento storico del vecchio west dal quale è ossessionato.

Un bel film con due ottimi attori nel ruolo di buono e cattivo, una buona riproposizione del periodo western e inoltre una piccola parte per la bella e brava attrice Lauren Hutton, anch'essa come "viaggiatrice temporale" che metterà in guardia il buon professore dai metodi e gli scopi del solito cupo e glaciale Kinski.


Il secondo, film sud-coreano ancora inedito in Italia, è invece "11 A.M.", film del 2013 diretto da Hyun-seok Kim.

Ambientato in un isolato complesso di ricerca subacqueo finanziato da un mecenate russo, il film vede questo gruppo di scienziati costretti anch'essi a "forzare i tempi" sulla loro macchina a causa della minaccia di taglio dei fondi.

Decidono così di provare la validità e il funzionamento della loro macchina "Trotsky" (sempre in onore del russo che li finanzia) viaggiando nel tempo per sole 24 ore e restando 15 minuti nel futuro giorno successivo.


Ma al suo arrivo lo scienziato trova il laboratorio deserto, semi-distrutto e al buio; come non bastasse poi qualcuno lo aggredisce cercando di strangolarlo.

Ritornato a stento nel giorno precedente, lo scienziato e i suoi colleghi dovranno scoprire che cosa sia mai successo per arrivare al disastro totale e all'uccidersi l'un l'altro nel breve arco di 24 ore.

Un film ottimamente montato, non facile per un film di viaggi nel tempo dove a volte è dura far tornare i vari elementi della storia, con pochi ed essenziali effetti speciali e un nugolo di attori ben differenziati nelle parti dei loro personaggi.

Una piccola chicca che, speriamo insomma, prima o poi arrivi anche in Italia.


Terzo film temporale è poi "Synchronicity", film del 2015 di Jacob Gentry.

Decisamente più complicato e introverso del precedente, anche questa storia vede uno scienziato costretto a compromessi nelle sue ricerche per mancanza di soldi.

Un film di viaggi nel tempo che sembra forse già visto fino al buon colpo di scena finale, una piccola trovata che però cambia radicalmente il genere di film e tutto quello che avevamo visto fino a quel momento; trasformandolo effettivamente in un film che non è più sui viaggi nel tempo, vi anticipo senza però rivelarvi tutta la trama fin da subito.


Dignitosi sia gli effetti speciali che le atmosfere decisamente "alla Blade Runner" come costumi, musiche e scenografie molto suggestive.

Non male anche i pochi attori protagonisti, su tutti Chad McKnight nel ruolo di scienziato e la sexy Brianne Davis come misteriosa "femme fatale" proveniente dal futuro.

Ovviamente menzione merita il sempre in forma Michael Ironside, qui nel ruolo di russo cattivone di turno il quale la sa più lunga di quanto vorrebbe lasciare intendere all'inizio.


Infine, concludendo l'articolo col mio ultimo "particolarissimo" film sui viaggi nel tempo, vi consiglio senz'altro l'originale "Endorphine", film canadese del 2015 opera prima del regista André Turpin.

Storia dalle inquietanti atmosfere Lynchiane e temporalmente "disconnesso" come la psiche della sua protagonista, la giovane e brava Sophie Nélisse, il film ci trasporta fin da subito nel "mood"/umore giusto con un interessante mini-documentario sulla descrizione del tempo.

Cos'è il tempo? Come lo misuriamo? Esiste davvero nel mondo fisico o è solo una particolare maniera di "percepire" il mondo del nostro cervello?

Tutte domande che la protagonista non si pone ma vive in prima persona, sperimentando l'alterazione di prevedere futuro e passato con la violenta morte della madre e un suo amico con cui gioca a "soffocarsi".

Un film difficile da spiegare e da vedere che sicuramente non è per tutti, una storia che richiede attenzione e voglia di lasciarsi sommergere dall'atmosfera irreale ma decisamente ben riuscita che il regista riesce a mettere in scena.

Un altro di quei film che speriamo prima o poi arrivi all'attenzione della, a volte troppo sbadata, nostrana distribuzione cinematografica tricolore.



UN ALTRO TANDEM E' PASSATO E SIAMO LIETI DI AVERVI ANCORA INTRATTENUTO PARLANDOVI DI OTTIMI FILM E LIBRI ASSIEME AL MIO COLLEGA MILO JULINI, CON IL QUALE PROSEGUIREMO ANCORA PARLANDOVI DI AUTORI, LIBRI E FILM CHE HANNO FATTO LA STORIA DELL'IMMAGINARIO COLLETTIVO E SPERANDO DI FORNIRVI SEMPRE BUONI CONSIGLI E DRITTE SULLE OPERE PIU' ORIGINALI E SPASSOSE SU QUESTI ARGOMENTI, OVVIAMENTE FILTRANDONE IN QUANTITA' E CERCANDO DI PREDILIGERE AL NUMERO LA QUALITA'. BUONA DOMENICA A TUTTI!

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Articolo pubblicato il 09/10/2016